Esiste una parte migliore in noi, o
meglio riusciamo a progredire senza che ci sia imposto?
di Lorenzo
Russo
Prendo per esempio la situazione politica nel Medio
Oriente, che crea in tutti noi preoccupazioni.
Sappiamo da sempre, che l'unica possibilità di creare una
pace duratura in questa zona è il riconoscimento dei diritti d'esistenza
d'entrambi i popoli.
Sono due popoli vicini, addirittura imparentati, ma come
condannati dal destino a contraddirsi e combattersi sempre.
Due parenti vicini che non si sopportano, anzi si odiano,
da non poter esistere insieme, come se tutte le caratteristiche avverse
dell'uomo siano talmente radicate nei loro geni, da generare continuamente
incomprensione e diffidenza.
Gli uni, gli ebrei, costretti all'esodo, sognarono sempre
di ritornare nella loro terra natia. Lo considerarono così fortemente, da
intenderlo confermato nei libri sacri della loro religione. Di fatto, fu il
credo indissolubile in essa a sostenerli nel corso del loro esodo, durato due
millenni, donando loro speranza e volontà di sopravvivere.
L'ebreo e la sua religione sono quindi sinonimi della
forza di sopravvivenza in un mondo ostile.
Perché ostile, mi chiedo? Qui ho un'unica risposta: perché
é destino di un popolo, la cui esistenza é immedesimata dalla volontà del loro
Dio, l'essere avversato dal resto del mondo, che, non identificandosi in questo
forte credo, rimane inferiore, sia intellettualmente sia caratterialmente.
Il loro ritorno fu infine legittimato dalle Nazioni Unite,
ma non fu mai concordato con il loro contraente di sempre "i
palestinesi" che, di fatto, si ritrovarono confrontati con il nemico di
sempre.
Gli ebrei rioccuparono, quindi, la loro terra d'origine
con l'uso della stessa forza che li scacciò due mila anni orsono.
Il riuscire a costruire un proprio stato, ritenuto
addirittura un diritto di nascita di stampo divino, dimostra la legittimità del
diritto stesso, che così include la certezza e l'obbligo di essere realizzato,
in segno di obbedienza alla volontà incontestabile del loro Dio, uguale quale
altro credo l'avversario o il non credente sostenga e legittimi.
Si traccia qui un rapporto intangibile e irreversibile tra
questo popolo e il suo Dio, sia quando lo punisce gravemente per le colpe e
omissioni commesse sia quando lo sostiene, affinché non soccomba alle punizioni
inflittegli e sotto le quali ogni altro popolo avrebbe prevalentemente
rinunciato.
Si nota, qui, l'agire di un Dio, forte e severo, che
pretende dal suo popolo d'essere dimostrazione della sua volontà, un popolo
prediletto o maledetto, quindi, secondo i punti di vista scelti.
Ne risulta, anche, che è sempre l'eterna diffidenza, che
io ritengo d'essere il riflesso del costrutto dimensionale che accompagna
l'essere umano nella sua esistenza, che vediamo ancor oggi operare tra questi
due popoli.
L'uomo non ha ancora capito, che ciò che considera nemico
in un altro essere, non altro è che il riflesso dei suoi timori, a volte anche
giustificabili, che si riflettono in lui.
Solo nel loro superamento, anche a costo dei rischi che
potrebbe comportare, riesce l'uomo a riconoscerlo come un suo simile, e quindi
parte complementare di se stesso.
Così si dovrebbe intendere il significato delle parole
pronunciate duemila anni fa da Gesù Cristo: quando sei colpito su una guancia,
rispondi offrendo anche l'altra.
Quanta saggezza racchiudono, tanto da risuonare all'inizio
come un annullamento del proprio "IO" e solo dopo, e per chi vive
alla ricerca di verità utili al progredire e quindi idonee a creare un mondo
sereno e pacifico, svelano il loro vero significato liberatorio. Cristo le ha
pronunciate per annunciare l'inizio di una nuova Era per l'uomo, la cui
realizzazione lo libererebbe dalle ristrettezze terrestri.
Le forze positive dell'Universo sono trasmesse attraverso
le parole dei saggi, esse si fondano sulla speranza in un buon fine della vita
attraverso il quale poter raggiungere uno stadio migliore.
Sta ora all'uomo intenderle e seguirle, prima che sia
troppo tardi per lui.
Potrebbe avvenire che un giorno lo imporrà la scienza
medica con interventi chirurgici e susseguenti terapie, sulle quali
esperimentano già da qualche tempo scienziati in tutto il mondo, con il
risultato che non sarebbe più il frutto di un processo personale identificatore
e liberatorio e non rifletterebbe la propria personalità in tutta la sua
complessità.
Due metodi che si contrastano ma aventi a priori lo stesso
fine: quello di liberare l'uomo dalla sua restrizione dimensionale.
Mi sa di più che sia imposto dalla classe del potere per
dominare la massa non asservente la sua volontà, mi sa anche che non sia
realizzabile senza una mutazione delle leggi che reggono la nostra dimensione,
progetto quindi impossibile da realizzare per l'uomo.
È consigliabile, allora, il metodo secondo il quale chi s'impegna a riconoscere i suoi compiti, cioè a
scoprire le buone qualità ricevute dalla natura, e s'impegna ad adempierle,
riesce meglio a superare le cattive.
Dal confronto ne esce con una coscienza più chiara, forte
e libera, cioè progredita, da riuscire a vivere in dignità, perché retto dal
senso della responsabilità, stabilità d'animo e ottimismo.
Il ritenuto nemico è solitamente il prodotto di pregiudizi
offuscanti la propria mente; é più facile incolparlo, invece che riconoscere i
propri difetti, nei quali, bisogna aggiungere, purtroppo s'innesta anche il
timore reale, di rimanere soppresso e sfruttato.
Qui giace il dilemma, il cui superamento si fonda sul
Credo in un al di là.
Chiunque elimina un altro essere, che ritiene suo nemico o
anche avversario, non può non sentire in sé un senso forte di sgomento e vuoto,
come se avesse soppresso qualcosa di se stesso.
Da qui il concetto, anche da me riconosciuto, che
distingue l'Umanità in una "Entità" suddivisa in tantissime, per dar
luogo a un processo di mutazioni, voluto da volontà superiori, e il cui scopo
mi sembra d'essere una continua selezione, fino a raggiungere armonia ed equità
o qualcosa d'altro non ancora individuabile.
Cosa ci sarà alla fine di questo processo, rimane,
comunque ancora una questione della fede.
Sono del parere che ogni sopruso esercitato su un simile
sia un sopruso contro se stesso, mentre chi s'impegna a comprenderlo capisce
meglio se stesso e si unisce con lui, in un ritrovarsi sul percorso della vita
e affrontare nuovi compiti e fini comuni.
Ritengo, che una volta che le teorie sopra esposte -che io
definisco "le teorie delle speranze e sostenimenti umani"- siano
riconosciute, si possa affrontare le difficoltà e contraddizioni del giorno con
migliori possibilità di successo.
Alla diffidenza iniziale, naturale e comprensiva, può
subentrare, così, la fiducia e con essa migliorare le possibilità di
concordanza.
Quale metodo scegliere, se non il colloquio fondato sul
riconoscimento per gli altri dei diritti e doveri che si ritiene giusti per se
stessi; non dimentichiamo, però, che alla base del progresso umano sta il
sentimento dell'amore fondato sulla coscienza che solo uniti possiamo riuscire
nell'impresa e senza il quale ogni concetto razionale non avrebbe successo.
Sorretti dall'amore, comprendiamo per esempio la necessità
d'istruirci ed educarci, continuamente e
adeguatamente, nel settore sociale --che la vita sia per ognuno una scuola
permanente d'apprendimento- allo scopo di riconoscere i difetti e gli errori
commessi, che hanno bloccato il processo emancipatore, e riuscire ad avviare il
processo del rimedio.
La disponibilità al compromesso diventa una necessità
fondamentale e non deve rimanere stazionario, ma anch'esso evolversi
continuamente.
Il contrario è un perseverare in uno stato dominato dal
male, dove sia i perdenti sia i vincenti, ma soprattutto questi ultimi, non
riconoscono che il loro agire danneggia se stessi, perché giustifica le loro
debolezze, quali, per esempio, avidità, vanità e presunzione. A un perdente
segue sempre un altro simile, se non ha imparato a reagire per i suoi diritti,
così come a un vincente un altro uguale, e il timore permanente di soccombere
lo accompagna giornalmente.
Il credo che la nostra società sia irrisorio
che possa progredire senza una modifica fondamentale dell'attuale sistema,
perché è esso stesso che determina lo stato di arretratezza sia emotiva, sia
intellettuale, sia razionale della società, nella quale un sistema di
dipendenze e costrizioni controlla e blocca ogni iniziativa individuale non compiacente
con la volontà della classe del potere.
La corsa al profitto individuale è, sì, il motore del
benessere umano ma é anche il morbo che distrugge i valori sani della vita
perché, elevando a culto i simboli del benessere materiale senza limiti, diventa
velleitario e distruttore per il corpo e l'anima.
Da qui l'importanza che ogni attività umana sia intrisa di
un contenuto sociale.
Il compito dell'uomo moderno é quello di selezionare ciò
che lo danneggia da ciò che lo aiuta a raggiungere maturità, senza la quale non
può ottenere l'indispensabile equilibrio tra il pretendere e il concedere.
Proprio perché ogni rapporto umano crea dipendenze, é
necessario riconoscere il punto dove bisogna rimanere intransigente, per non
perdere il senso della responsabilità e dovere sociale.
Il mantenimento e cura dell'equilibrio tra il peso della
gravità dimensionale e la spiritualità tiene congiunto l'uomo con le energie
del bene e lo rende recepibile ai loro richiami.
Mi sembra impossibile definire un metodo comune di
controllo delle costrizioni dimensionali, ma certo é che esse devono essere
tenute in equilibrio con le forze spirituali liberatorie, se non si vuole
perdere il contatto con le energie del bene, senza le quali non é possibile
progredire.
In fin dei conti, ognuno può vivere la sua vita secondo la
sua volontà e possibilità ricevuta e alla fine non rimarrà che la traccia del
suo destino.
Non tralascio di criticare, ma solo in linea generale, lo
stile di vita libertino dei popoli benestanti, nei quali il benessere ha
sostituito il credo trascendentale, che io ritengo fondamentale per lo sviluppo
equilibrato e sano del carattere e personalità.
Con ogni sforzo di allungare la vita oltre il buon senso,
come per esempio attraverso interventi insensati della medicina, l'uomo priva
la sua esistenza dell'essenzialità del suo secondo aspetto, della morte, senza
la quale egli perde ogni speranza di resurrezione.
Di fatto, si notano, oggigiorno, molti casi di
prolungamento della vita, che non altro dimostrano di non aver vissuto per
liberarsi del fardello che la vita stessa é nel suo insieme.
Una vita intesa come l'unica forma d'esistenza dà ragione
a chi la vuole vivere per appagare i propri stimoli, senza curarsi del vicino,
che diventa l'avversario da eliminare e riconduce
l'uomo al suo stato primitivo.
Al meglio si vive la vita alla ricerca delle proprie
qualità e negli sforzi per realizzarle, uguale quale risultato si otterrebbe,
perché la vita, senza impiego costruttivo, sarebbe come un'energia consumata
per disuso.
Sta quindi al singolo d'impiegarla nel migliore dei modi,
affinché produca qualcosa di sano e utile, altrimenti é come un voler respirare
ossigeno in un ambiente che n'é privo.