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  Editoriali  »  Esiste una parte migliore in noi, o meglio riusciamo a progredire senza che ci sia imposto, di Lorenzo Russo 04/05/2012
 

Esiste una parte migliore in noi, o meglio riusciamo a progredire senza che ci sia imposto?

di Lorenzo Russo

 

 

Prendo per esempio la situazione politica nel Medio Oriente, che crea in tutti noi preoccupazioni.

Sappiamo da sempre, che l'unica possibilità di creare una pace duratura in questa zona è il riconoscimento dei diritti d'esistenza d'entrambi i popoli.

Sono due popoli vicini, addirittura imparentati, ma come condannati dal destino a contraddirsi e combattersi sempre.

Due parenti vicini che non si sopportano, anzi si odiano, da non poter esistere insieme, come se tutte le caratteristiche avverse dell'uomo siano talmente radicate nei loro geni, da generare continuamente incomprensione e diffidenza.

Gli uni, gli ebrei, costretti all'esodo, sognarono sempre di ritornare nella loro terra natia. Lo considerarono così fortemente, da intenderlo confermato nei libri sacri della loro religione. Di fatto, fu il credo indissolubile in essa a sostenerli nel corso del loro esodo, durato due millenni, donando loro speranza e volontà di sopravvivere.

L'ebreo e la sua religione sono quindi sinonimi della forza di sopravvivenza in un mondo ostile.

Perché ostile, mi chiedo? Qui ho un'unica risposta: perché é destino di un popolo, la cui esistenza é immedesimata dalla volontà del loro Dio, l'essere avversato dal resto del mondo, che, non identificandosi in questo forte credo, rimane inferiore, sia intellettualmente sia caratterialmente.

Il loro ritorno fu infine legittimato dalle Nazioni Unite, ma non fu mai concordato con il loro contraente di sempre "i palestinesi" che, di fatto, si ritrovarono confrontati con il nemico di sempre.

Gli ebrei rioccuparono, quindi, la loro terra d'origine con l'uso della stessa forza che li scacciò due mila anni orsono.

Il riuscire a costruire un proprio stato, ritenuto addirittura un diritto di nascita di stampo divino, dimostra la legittimità del diritto stesso, che così include la certezza e l'obbligo di essere realizzato, in segno di obbedienza alla volontà incontestabile del loro Dio, uguale quale altro credo l'avversario o il non credente sostenga e legittimi.

Si traccia qui un rapporto intangibile e irreversibile tra questo popolo e il suo Dio, sia quando lo punisce gravemente per le colpe e omissioni commesse sia quando lo sostiene, affinché non soccomba alle punizioni inflittegli e sotto le quali ogni altro popolo avrebbe prevalentemente rinunciato.

Si nota, qui, l'agire di un Dio, forte e severo, che pretende dal suo popolo d'essere dimostrazione della sua volontà, un popolo prediletto o maledetto, quindi, secondo i punti di vista scelti.

Ne risulta, anche, che è sempre l'eterna diffidenza, che io ritengo d'essere il riflesso del costrutto dimensionale che accompagna l'essere umano nella sua esistenza, che vediamo ancor oggi operare tra questi due popoli.

L'uomo non ha ancora capito, che ciò che considera nemico in un altro essere, non altro è che il riflesso dei suoi timori, a volte anche giustificabili, che si riflettono in lui.

Solo nel loro superamento, anche a costo dei rischi che potrebbe comportare, riesce l'uomo a riconoscerlo come un suo simile, e quindi parte complementare di se stesso.

Così si dovrebbe intendere il significato delle parole pronunciate duemila anni fa da Gesù Cristo: quando sei colpito su una guancia, rispondi offrendo anche l'altra.

Quanta saggezza racchiudono, tanto da risuonare all'inizio come un annullamento del proprio "IO" e solo dopo, e per chi vive alla ricerca di verità utili al progredire e quindi idonee a creare un mondo sereno e pacifico, svelano il loro vero significato liberatorio. Cristo le ha pronunciate per annunciare l'inizio di una nuova Era per l'uomo, la cui realizzazione lo libererebbe dalle ristrettezze terrestri.

Le forze positive dell'Universo sono trasmesse attraverso le parole dei saggi, esse si fondano sulla speranza in un buon fine della vita attraverso il quale poter raggiungere uno stadio migliore.

Sta ora all'uomo intenderle e seguirle, prima che sia troppo tardi per lui.

Potrebbe avvenire che un giorno lo imporrà la scienza medica con interventi chirurgici e susseguenti terapie, sulle quali esperimentano già da qualche tempo scienziati in tutto il mondo, con il risultato che non sarebbe più il frutto di un processo personale identificatore e liberatorio e non rifletterebbe la propria personalità in tutta la sua complessità.

Due metodi che si contrastano ma aventi a priori lo stesso fine: quello di liberare l'uomo dalla sua restrizione dimensionale.

Mi sa di più che sia imposto dalla classe del potere per dominare la massa non asservente la sua volontà, mi sa anche che non sia realizzabile senza una mutazione delle leggi che reggono la nostra dimensione, progetto quindi impossibile da realizzare per l'uomo.

È consigliabile, allora, il metodo secondo il quale chi s'impegna a riconoscere i suoi compiti, cioè a scoprire le buone qualità ricevute dalla natura, e s'impegna ad adempierle, riesce meglio a superare le cattive.

Dal confronto ne esce con una coscienza più chiara, forte e libera, cioè progredita, da riuscire a vivere in dignità, perché retto dal senso della responsabilità, stabilità d'animo e ottimismo.

Il ritenuto nemico è solitamente il prodotto di pregiudizi offuscanti la propria mente; é più facile incolparlo, invece che riconoscere i propri difetti, nei quali, bisogna aggiungere, purtroppo s'innesta anche il timore reale, di rimanere soppresso e sfruttato.

Qui giace il dilemma, il cui superamento si fonda sul Credo in un al di là.

Chiunque elimina un altro essere, che ritiene suo nemico o anche avversario, non può non sentire in sé un senso forte di sgomento e vuoto, come se avesse soppresso qualcosa di se stesso.

Da qui il concetto, anche da me riconosciuto, che distingue l'Umanità in una "Entità" suddivisa in tantissime, per dar luogo a un processo di mutazioni, voluto da volontà superiori, e il cui scopo mi sembra d'essere una continua selezione, fino a raggiungere armonia ed equità o qualcosa d'altro non ancora individuabile.

Cosa ci sarà alla fine di questo processo, rimane, comunque ancora una questione della fede.

Sono del parere che ogni sopruso esercitato su un simile sia un sopruso contro se stesso, mentre chi s'impegna a comprenderlo capisce meglio se stesso e si unisce con lui, in un ritrovarsi sul percorso della vita e affrontare nuovi compiti e fini comuni.

Ritengo, che una volta che le teorie sopra esposte -che io definisco "le teorie delle speranze e sostenimenti umani"- siano riconosciute, si possa affrontare le difficoltà e contraddizioni del giorno con migliori possibilità di successo.

Alla diffidenza iniziale, naturale e comprensiva, può subentrare, così, la fiducia e con essa migliorare le possibilità di concordanza.

Quale metodo scegliere, se non il colloquio fondato sul riconoscimento per gli altri dei diritti e doveri che si ritiene giusti per se stessi; non dimentichiamo, però, che alla base del progresso umano sta il sentimento dell'amore fondato sulla coscienza che solo uniti possiamo riuscire nell'impresa e senza il quale ogni concetto razionale non avrebbe successo.

Sorretti dall'amore, comprendiamo per esempio la necessità d'istruirci ed educarci, continuamente e adeguatamente, nel settore sociale --che la vita sia per ognuno una scuola permanente d'apprendimento- allo scopo di riconoscere i difetti e gli errori commessi, che hanno bloccato il processo emancipatore, e riuscire ad avviare il processo del rimedio.

La disponibilità al compromesso diventa una necessità fondamentale e non deve rimanere stazionario, ma anch'esso evolversi continuamente.

Il contrario è un perseverare in uno stato dominato dal male, dove sia i perdenti sia i vincenti, ma soprattutto questi ultimi, non riconoscono che il loro agire danneggia se stessi, perché giustifica le loro debolezze, quali, per esempio, avidità, vanità e presunzione. A un perdente segue sempre un altro simile, se non ha imparato a reagire per i suoi diritti, così come a un vincente un altro uguale, e il timore permanente di soccombere lo accompagna giornalmente.

Il credo che la nostra società sia irrisorio che possa progredire senza una modifica fondamentale dell'attuale sistema, perché è esso stesso che determina lo stato di arretratezza sia emotiva, sia intellettuale, sia razionale della società, nella quale un sistema di dipendenze e costrizioni controlla e blocca ogni iniziativa individuale non compiacente con la volontà della classe del potere.

La corsa al profitto individuale è, sì, il motore del benessere umano ma é anche il morbo che distrugge i valori sani della vita perché, elevando a culto i simboli del benessere materiale senza limiti, diventa velleitario e distruttore per il corpo e l'anima.

Da qui l'importanza che ogni attività umana sia intrisa di un contenuto sociale.

Il compito dell'uomo moderno é quello di selezionare ciò che lo danneggia da ciò che lo aiuta a raggiungere maturità, senza la quale non può ottenere l'indispensabile equilibrio tra il pretendere e il concedere.

Proprio perché ogni rapporto umano crea dipendenze, é necessario riconoscere il punto dove bisogna rimanere intransigente, per non perdere il senso della responsabilità e dovere sociale.

Il mantenimento e cura dell'equilibrio tra il peso della gravità dimensionale e la spiritualità tiene congiunto l'uomo con le energie del bene e lo rende recepibile ai loro richiami.

Mi sembra impossibile definire un metodo comune di controllo delle costrizioni dimensionali, ma certo é che esse devono essere tenute in equilibrio con le forze spirituali liberatorie, se non si vuole perdere il contatto con le energie del bene, senza le quali non é possibile progredire.

In fin dei conti, ognuno può vivere la sua vita secondo la sua volontà e possibilità ricevuta e alla fine non rimarrà che la traccia del suo destino.

Non tralascio di criticare, ma solo in linea generale, lo stile di vita libertino dei popoli benestanti, nei quali il benessere ha sostituito il credo trascendentale, che io ritengo fondamentale per lo sviluppo equilibrato e sano del carattere e personalità.

Con ogni sforzo di allungare la vita oltre il buon senso, come per esempio attraverso interventi insensati della medicina, l'uomo priva la sua esistenza dell'essenzialità del suo secondo aspetto, della morte, senza la quale egli perde ogni speranza di resurrezione.

Di fatto, si notano, oggigiorno, molti casi di prolungamento della vita, che non altro dimostrano di non aver vissuto per liberarsi del fardello che la vita stessa é nel suo insieme.

Una vita intesa come l'unica forma d'esistenza dà ragione a chi la vuole vivere per appagare i propri stimoli, senza curarsi del vicino, che diventa l'avversario da eliminare e riconduce l'uomo al suo stato primitivo.

Al meglio si vive la vita alla ricerca delle proprie qualità e negli sforzi per realizzarle, uguale quale risultato si otterrebbe, perché la vita, senza impiego costruttivo, sarebbe come un'energia consumata per disuso.

Sta quindi al singolo d'impiegarla nel migliore dei modi, affinché produca qualcosa di sano e utile, altrimenti é come un voler respirare ossigeno in un ambiente che n'é privo.

 

 
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