L’astroterra
di
Corrado Calabrò
La
mia cabina è col letto a due piazze
ed ha la zona pranzo
ed un soggiorno.
Ce ne sono di tutte le misure:
a forma di
torretta, a cassettone,
altre addossate fitte fitte a schiera
e
poche recintate con piscina.
Eh!
a bordo siamo veramente in molti
e, per quanto sia grande
l'astronave,
incominciamo a stare un po' strettini;
si
spiega che la ciurma sia irrequieta.
E poi ci sono quelli morti
in viaggio;
deposti nella stiva nei tanti anni
di questo
nostro andare senza tappe,
ce li portiamo appresso, insieme al
resto,
come ogni passeggero il suo passaggio.
Levo
in alto le braccia dalla tolda
e le protendo nella notte al
cielo
lattiginoso, dove si tramanda
che una volta ci
fossero le stelle
della galassia a segnare la rotta
dando
un senso-non senso all’oltreterra.
Col
capo rovesciato e gli occhi chiusi
riesco ancora a vederle
virtualmente.
Se Ulisse navigò a forza di remi
già
Telemaco fece un televiaggio:
l’odissea è
circoscritta nella mente.
A
cielo aperto, forse io solo veglio.
Non si sente corrente né
rumore:
solca la nostra nave spazio e tempo
e spazio e
tempo sono il suo motore.
da
Una vita per il suo verso (Mondadori,
Milano, 2002)
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