Palindromi
vaganti
di
Danila oppio
All’“angolo
Bar a Bologna”
Gironzolavano
vecchi sorci
Poiché
“i topi non avevano nipoti”.
Seduta
accanto ad un tavolino traballante
Un’attempata
attrice ormai dimenticata
mormorava
parole sconnesse:
“Avida
di vita, desiai ogni amore vero,
ma
ingoiai sedativi, da diva”.
Il
suo giovane cavaliere come un “ossesso” le gridava:
“O
mordo tua nuora, o aro un autodromo”
Non
ti sopporto, così ubriaca e impasticcata!
“Avevi
visioni d’un evo ove nudi noi si viveva!”
“O
notte! Dove vai? Ti avevo detto no!”
Ma
“Ava” “odia lui per essere più laido”
E
gli ribatte: “E’ malasorte! Ti carbonizzino braci,
tetro
salame!”
E
“accese carboni, ma cade da camino brace secca!”
Un
passante, che ogni giorno li incontrava
scuotendo
la testa, mormorava:
“Ettore
evitava le madame lavative e rotte”.
“Ora
tra te e lei, fiele e tartaro!”
Eppure
di questa vecchia carampana
Non
riesce a liberarsene. E la sfotte.
Diceva
di lei: “Ad una vera pia donna dei simili fili
misi
e annodai: pareva nuda”.
“O
rei fortuna l’ebbe! La nutro fiero!”
“Ora
per poi io preparo” il mio ricco futuro.
Ma
forse lasciarla non vuole:
erediterà
una fortuna,
se
la vegliarda muore.
Un
tempo la “onorarono”,
ora
percepisce, come avesse un “radar”
il
disprezzo e l’indifferenza
per
aver perduto il fascino
della
diva che un tempo fu.
Con
quei suoi capelli blu,
colorati
all’ “anilina”
ha
assunto l’aspetto di una vecchia gallina.
Insieme
alle amiche di sempre, come Nilla,
in
una fredda stanza in catalessia
“E
Nilla gelava nuda, ratta radunava le galline”.
Tutte
vecchie e grinzose come lei.
Così
se ne stava Ada in pessima compagnia
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