La ballata di un vecchio panettiere (°)
Mi piace guardare su in cielo in mezzo alle foglie.
Dimentico in fretta i dolori, le mani arrossate
segnate dagli anni, dal tempo, che spesso mi toglie,
pietoso, il disegno preciso di cose passate.
Ricordo i miei palmi sporcati di scura farina,
il braccio che s'alza alla fronte ed asciuga il sudore,
l'impasto, la croce sul pane, la nera mattina,
la rossa vampata del forno che sputa calore.
Ricordo il mio nome, prestato da un santo poeta,
i miei due fratelli, mio padre, i cavalli, il biroccio.
Ma sopra ogni cosa ricordo capelli di seta
di lei che era un vaso d'argento tra vasi di coccio.
Persino il suo nome era fatto per dirla pił bella,
ma certo il suo sguardo sicuro all'intorno lanciato
spiegava di lei molte cose: non era una stella
caduta dal cielo a cercarsi un innamorato.
Eppure i miei lombi e il mio cuore, convinti dal niente,
han chiuso le orecchie alle chiacchiere, le hanno
stordite,
han chiesto Isabella al mio fianco, al piacere accogliente
di quelle sue mani veloci a far nascere vite.
Credevo che mentre crescevan le forme dei pani,
nei soliti giorni passati nei soliti modi,
potesse tra noi lievitare un sicuro domani,
dei figli, un lavoro, un amore, una casa, dei nodi.
Credevo che, mentre aiutava le donne del luogo
a mettere al mondo dei figli, a sgravarle dal peso,
potesse anche lei ricercare in un figlio lo sfogo
di un cuore che allora pensavo per me fosse acceso.
E mentre spendevo per lei i miei soldi e i miei giorni,
facendo infuriar la famiglia, la chiesa e i potenti,
la Isa rideva di
me, in cittą e nei dintorni.
Giocava con me, col mio cuore, coi miei sentimenti.
Adesso che guardo su in cielo in mezzo alle foglie
ricordo di quando correva a riempire una culla,
di quando aiutava le amiche a patire le doglie,
di quando ha gettato il mio amore, lasciandomi il nulla.
(°) Ispirata da un fatto
accaduto veramente nel 1840 a
Lodi