Sergente
di
Tiziana Monari
Eri
sergente
e
sei lì in quella foto color seppia
luccicante
di bottoni ed alamari
la
bottoniera inappuntabile, le tre stellette incise
gli
occhi che contenevano l’abisso
in
un turbine di neve sibilante
Chissà
cosa pensavi?
Al
reggimento ormai perduto
al
respiro dei cavalli nella steppa
all’assedio
che chiudeva la città a tenaglia
ai
fantasmi dei soldati senza nome che cadevano mietuti come il grano
dalla falce
o
alla grande, serena quiete della morte
forse
pensavi alla spavalda astuzia del male, all’inerme cecità
del bene
ai
paesi ibernati sotto la neve, al profumo di resina e di cenere
ad
un diluvio di fuoco
al
sangue che copriva lo stupore del massacro
sei
lì immobile con le parole che ti morivano alla bocca
in
una valle di luppolo e cicogne
i
faggi coperti dal nevischio
i
salici ed i noccioli che ondeggiavano nel vento
sei
lì che annaspi in cerca di sole per liberarti da un funebre
presagio
il
gelo tagliente sulla faccia
le
spalle infossate sotto il peso della vita
sei
lì sotto i picchi e le nebbie del Pasubio
il
tuono nel cuore, l’uragano nel respiro
il
dolore levigato come ciottolo di fiume
in
mezzo alle ombre, nel vento leggero della piana
in
una valle senza eco che non rimanda voci.
Qui
non ci sono voci
solo
il freddo crudo della pianura.
Ed
il silenzio dei morti.
I
morti delle colline del Carso.
|