La
principessa e l’aquila
di
Gianluca Ferrari
per
Aisholpan Nurgaiv
Là
nelle steppe tutte vento, ai piedi
delle
nevi eterne sugli Altai sta una
ragazza
tredicenne – Aisholpan colei
che
ha superato millenni
di
simbiosi uomo-aquila infrangendo
pregiudizi;
ha gli occhi dolcemente
arcuati,
per bambole belati, la voce
di
una radio tra vapori randagi
della
yurta e il braccio è picco
su
cui calano penne rapaci il verso
che
scalfisce questi orizzonti senza
fine
(qui l’Asia è ancora polvere, grido
d’antiche
orde, un impeto invisibile
che
si tramanda nello spinoso tremolio
del
cardo). Vedendola a cavallo
diretta
verso il grande gong di luce
con
la compagna dalle ali imponenti,
la
si direbbe un angelo delle pianure
pronto
a risalire spazi più elevati
cui
sa di appartenere. Aisholpan tra fieri
caroselli
calmucchi, con un vezzoso
viola
sulle unghie richiama la sua aquila
e
nell’immensità selvaggia offre
la
mano cavalcante, la groppa
del
cuore all’atterraggio, gote rosse
sfidano
l’oltraggio; con sorriso adolescente
dimostra
che anche lei può ben domare
il
volo che raggiunge stelle, perfino
andare
a caccia della volpe tra gelide
muraglie
irosi sciami di nevischi
sulle
vette. Dice che forse sarà
medico,
più avanti; intanto torna
nell’allegro
crocchio delle trecce scure,
tra
amiche; ride e qualche sogno le attraversa
gli
occhi con maestoso volo lasciando
luccichii
di sole. Ha già lenito smorfie
scettiche
di vecchi capi tartari Aisholpan,
la
prima donna che con grazia sconvolge
rituali
finora inaccessibili.
Da Acquerelli
gotici (edito in proprio, 2020)
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