Amarezza
di Salvatore Armando Santoro
Mi sono sporcato d'inchiostro
le dita,
il pennino ho bagnato
nell'impasto d'acqua e di more.
Altri tempi, altre date,
passate,
altro frignar di lucignoli spenti,
altre parole lucenti,
frasi che dicevano tanto,
dicevano tutto, dicevano niente.
Frasi correnti:
la guerra,
la fame,
il padre lontano,
la vedova,
la mamma vestita di nero,
le case spoglie di malta,
coi fori pieni di uccelli,
le tegole rotte,
i vicoli al buio
una voglia di vivere in fretta,
vedere scorre gli anni.
E poi il silenzio,
solo ombre lontane,
immagini che sanno di flash,
di fatti vissuti, passati,
di eventi che vorresti seguissero a ruota,
voltarti,
leggere dentro per riuscire a capire
dove il passato è finito,
dove il presente è iniziato.
Questa gran voglia di povere cose,
di pentole nere di rame,
lo scoppiettio del carbone,
il brontolare dell'acqua
con misero cibo a lessare:
castagne, le dolci patate,
cicorie ed erbe di prato,
raccolte tra i sassi,
in mezzo a incolti terreni.
Eppure si era felici,
eppure si era contenti,
il sorriso spesso volava,
il viso allietava.
Ora si ha tutto
e tutti peniamo,
siamo sempre scontenti.
nessuno ha gli occhi ridenti.