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  Scritti di altri autori  »  Poesie  »  Solo i miei occhi, i miei occhi soltanto, di Elia Belculfinè 14/11/2009
 

Solo i miei occhi, i miei occhi soltanto

di Elia Belculfinè

 

I

 

 

 

Rivivo i fuochi in riva a certe notti, vigilie dell'Assunta o l'ultima

 

novena di marzo, il frastuono delle bottiglie e le

 

conversazioni - olio che frigge;

 

 

 

la chitarra di Ornella…

 

 

 

Non vi penso con malinconia ferita, ma torno alle stelle

 

piangenti di bellezza, a qualche bacio nei

 

 

 

perimetri | di Klimt.

 

 

 

Mi ritrovo il respiro | nudo, la veglia perenne sino alla

 

sobrietà fastidiosa. || Ogni ora delle

 

 

 

mia vita è la frase di una

 

poesia, le carezze e i pugni e gli amori e 

 

 

 

la rabbia.

 

 

 

Ma il giorno mi cuce l'anima dentro una pelle di serpente magica.

 

Ho vissuto tante vite, tanti volti si affacciano al

 

 

 

mio specchio economico, montato

 

su una banda dell'armadio

 

 

 

blu intenso;

 

 

 

II

 

 

 

talvolta non li riconosco: solo i miei occhi, i miei occhi soltanto,

 

al modo dell'H2O traballante, non chiusa

 

con un sigillo

 

 

 

nella ghirba della musicalità arroventata,

 

ma istante di tutti gli indizi

 

 

 

che si raccolgono

 

 

 

nelle mani e la sera, poco più avanti dei vespri e i suoni

 

 

 

di rigonfie campane - assurde per il fatto

 

stesso di esistere. Fino a

 

 

 

6 anni fa non ne capivo il significato. Fui stupito della risposta -

 

perché suonano? - è il tempo…

 

 

 

Mi apparve insensato. || Avevo sepolto in un barattolo

 

di vetro, sotto il ciliegio dell'orto sommerso,

 

 

 

il mio tesoro dei pirati di

 

strass e bottoni, li

 

 

 

III

 

 

 

 

 

conservava Zia Anna

 

in uno stipo del salotto fra medicine e bottiglie

 

 

 

di | rum | per dolci. E

 

 

 

avevo saldato come in un proiettile la mia polvere aspra,

 

rialzato dalla terra la sua struttura a

 

 

 

somigliare alla carne.

 

 

 

Mi innamoravo anche | di alberi e | di precipizi,

 

senza stancarmi dei | miei piedi, e lo

 

 

 

sguardo aperto sulle cose che

 

diveniva la mia bocca.

 

 

 

 

 

IV

 

 

Soffiasse nel sangue disabitato | della mia voce persino

 

una ruvidità di fiore nuziale, e la dolcezza

 

 

degli intenti

 

 

per cui si prega una continuità di odori.

 

Hanno rifinito l'argilla grezza del mio pensiero | queste strane

 

 

attese e il momento delle combustioni

 

del legno marino e radiche

 

 

bagnate di

 

 

 

nafta come pan di Spagna. Ahi, l'impasto tranquillo che mani 

 

stanche rendevano un'ode di Neruda; quelle

 

mani malate d'amore.

 

 

 

E aumentavano le | cellule adipose, le | moltiplicavano

 

gli affetti; quella volta che Roberta si tirò giù

 

 

 

le mutandine durante

 

bim bum bam

 

 

V

 

 

 

Che io mi copra naso e orecchie, la resistenza dell'azzurro, l'arco

 

a sesto acuto delle nuvole, adesso, e per quanto

 

 

 

io chiuda gli occhi, incunea

 

canti di arterie e

 

 

 

molari per altri sensi più rari che le dita. Come sia possibile lo

 

ignoro, eppure accade. E accade che sogni,

 

nutrito del siero

 

 

 

ultramillenario, e i polsi non sono, a questo

 

punto, che l'inutile giuramento

 

 

 

denudato;

 

 

 

un trambusto di lingue di fuoco

 

piovose – come un inverno a Londra, come

 

 

 

piane lacrime sudice

 

 

 

di gioia. || Ho preso a vivere

 

dentro l'aggressivo carbone privo di sesso. E in camicie e biancheria

 

 

 

da branda al sole lungo | un

 

rocchetto

 

 

 

sbrogliato di fil di ferro, fino a diventare bacio.  || Ho imparato le cifre

 

difficilissime di una parte di mondo, ma sono i volumi degli

 

 

 

amori che risollevano | il mio sangue di colomba

 

 

 

preziosa, | i volumi di tutti gli amori il

 

mio cauto bagliore impreciso.

 

 

 

 
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