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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  I cardellini di Gabriella Cuscinà 22/12/2006
 

I cardellini

 

Totò un giorno stava dando da mangiare a degli uccellini e parlottava con alcuni passerotti in una strada di campagna. Era un viottolo sterrato tra alberi di carrubo il cui profumo si diffondeva intenso. In lontananza si distinguevano dei casolari e il sole cocente ne faceva brillare i tetti. S'udiva assordante il cinguettio di centinaia di uccelli, volavano a stormo tutt'intorno e ogni tanto oscuravano il cielo; scendevano dai rami degli alberi e talora venivano a mangiare direttamente dalle sue mani, poi volavano via sempre emettendo il loro festoso richiamo.

L'uomo era molto anziano e doveva amare teneramente quelle graziose bestiole. Infatti era un incanto osservare i volatili che saltellavano ai suoi piedi per beccare le mollichine cadute qua e là.

Mi fermai a guardare poiché lo spettacolo era affascinante:

“Cosa fa? Questi uccellini non hanno paura di lei?”

“No,” rispose “ vedi, io parlo con loro ed essi mi ascoltano.”

Doveva essere stato nel passato un uomo dabbene e attraente,  anche se ora dei segni evidenti di malattia l'affliggevano. I capelli erano bianchi e folti. Teneva il capo scoperto sotto il sole rovente. Gli occhi verde scuro, erano frangiati da lunghe ciglia. Era alto, abbastanza snello e con le spalle incurvate.

“Ho sempre avuto una passione particolare per tutti gli uccelli,” aggiunse “e ho anche fatto degli studi su di essi. In questa campagna per esempio, abbondano i cardellini. Sono dei piccoli uccelli dell'ordine dei passeracei, ben noti per la loro maschera rosso scarlatta. Sono animaletti sedentari e fanno uova macchiate. Io sono innamorato del loro canto. Figurati che riescono anche ad imitare il verso di altri uccelli e a ripetere semplici motivi musicali.

 Fui affascinata dal vecchio Totò.

“Sai,” riprese a dire “tempo fa ho scoperto dei ragazzi che catturavano dei cardellini in una campagna. Restai esterrefatto poiché mi sembrò una cosa assai crudele. Li prendevano vivi in una maniera ingegnosa: stendevano sull'erba una fitta rete sulla quale avevano spalmato una sostanza viscida e appiccicosa. Oppure ponevano a terra tanti rametti d'albero sporchi della stessa sostanza. Quando gli uccellini si posavano sulla rete o sui rametti, restavano inevitabilmente invischiati e incollati. Cominciavano a dibattersi e non potevano più volare. Erano bloccati, vivi e integri, ma prigionieri di quei crudeli ragazzi. Essi li andavano a vendere a dei commercianti di animali che hanno negozi pieni di gabbie, di voliere e tante varietà di uccelletti. A quanto pare, i cardellini catturati vivi vengono pagati bene, e addirittura alcuni rivenditori li accecano perché, secondo una diceria popolare, se sono ciechi cantano meglio.

Questo racconto mi fece rabbrividire e provai rabbia e disgusto.

Totò s'accorse della mia reazione e capì che condividevo i suoi sentimenti e il suo amore per gli animali. Dunque continuò:

“Io ero inorridito da tanta insensibilità. Cominciai a sognare ogni notte il volo meraviglioso di quei cardellini e li vedevo disperati e atterriti non appena venivano catturati. Per me era diventato un incubo. Ho sempre amato tutti gli animali, ma per gli uccelli ho avuto una passione particolare. Un giorno ebbi un'ispirazione. Mi procurai una rete  e la spalmai della medesima sostanza adoperata da quei ragazzi. Tornai in campagna, nel luogo preciso ove avvenivano le sacrileghe catture e nascosto, attesi che arrivassero. All'improvviso lanciai su di loro la rete e vi restarono invischiati e impiastricciati. Presero a gridare e a sbraitare cercando di togliersela di dosso. Naturalmente non ci riuscirono ed erano tutti sporchi ed imbrattati di colla. Io uscii dal mio nascondiglio e feci loro capire che ero stato l'autore di quel brutto scherzo. Mi subissarono d'improperi, ingiurie  e insulti che non sto qui a ripeterti. Quando si furono calmati, dissi che avevano avuto la stessa sorte dei cardellini, con la differenza che loro si sarebbero potuti liberare, le povere bestiole invece sarebbero rimaste prigioniere per sempre. Spiegai che non vi è cosa più bella della libertà per ogni essere vivente. Quelle creature che volavano libere e felici dovevano essere rispettate.

Da quel giorno, i ragazzi non si fecero più vedere e credo che abbiano smesso di compiere i loro atti vandalici e sacrileghi. Io continuo a parlare con gli uccellini, ma credimi, non mi sento San Francesco.

Mi sembrò la persona adatta cui esporre un mio dubbio:

“Allora, secondo lei, non è giusto tenere gli uccelli in gabbia?”

“Cara mia,” rispose “tutti gli animali dovrebbero vivere liberi sulla terra. Purtroppo l'uomo invece li assoggetta al suo volere, li usa, li sfrutta, li cattura, li uccide per vari scopi, tra cui quello dell'alimentazione che è l'unico comprensibile. Ma pensa alla piaga della vivisezione!”

“Quella!” esclamai “E' una vera infamia, secondo me.

“Già, eppure ci sono leggi ben precise in Italia che l'autorizzano e la regolamentano. Ma rimane comunque una tremenda crudeltà sezionare, da vivi, animali come i cani, i gatti, anche se allo scopo di studiarne e prelevarne organi e tessuti per esperimenti chirurgici e farmaceutici.

“Meno male,” aggiunsi “che gli scienziati hanno la giustificazione di farlo per il progresso della medicina e per il bene dell'umanità.”

“Rimane lo stesso un'infamia.”  Totò era irremovibile. Doveva essere un animalista convinto. “Vedi, alle volte neppure anestetizzano quelle povere bestie che vivisezionano. Vogliono studiare i loro organi mentre il cervello è sveglio. Mi pare una crudeltà rispetto alla quale, la cattura dei cardellini rappresenta un passatempo lodevole.

La sua ironia rivelava l'animosità che lo agitava. Io volevo continuare ad esporre i miei dubbi:

“Però non può negare che quando si sono studiati gli effetti nocivi dei raggi X sugli animali, sono state messe a punto le misure protettive per gli uomini. E grazie ai farmaci studiati sulla leucemia del topo, si può prolungare la vita dei bambini leucemici.

“Hai ragione in questo e poi non tutti i vivisettori sono dei sadici, però penso che ve ne sia un'alta percentuale. Dicono che la vivisezione sia necessaria, ma io non ci credo. Pensa che per risolvere l'antico problema dell'artrite, lesionano e fanno esperimenti sulle giunture degli animali. Oppure procurano un cancro artificiale sulle cavie, per studiarne il decorso. A me pare pazzesco!”

“Totò, deve convenire che non si può fare la sperimentazione diretta sull'uomo. Per esempio non ci dimentichiamo che il vaccino della poliomielite è stato sviluppato su animali.

“Sì, e non ci scordiamo neppure,” aggiunse scettico “che lo scienziato che ha debellato la febbre gialla, ha provato il vaccino su se stesso e sui suoi assistenti volontari. Per me, in nessun caso si ha il diritto di torturare gli animali.

Eravamo ancora fermi sotto il sole e le nostre chiacchiere sui cardellini si erano trasformate in elucubrazioni su un problema grave e annoso come quello della vivisezione. I miei dubbi erano rimasti gli stessi, ma la mia testa cominciava a cuocere per il caldo.

Salutai cordialmente Totò e continuai per la mia strada.

 

 

 

 

 

 

 

               

        

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 
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