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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Nivolet, di massimolegnani 25/09/2015
 

Nivolet

di massimolegnani

 

 

 

Non finisce mai la strada che porta al colle, che poi colle è una parola stramba, ti fa pensare a qualcosa di facile, poco più impegnativo di una collina, e ti ritrovi davanti una parete smisurata che arriva fino al cielo a far impallidire il nome antagonista, il passo alpino blasonato. L'unica è salire con lentezza stemperando le energie come una borraccia che deve durarti fino in cima.

Già raggiungere Ceresole è una fatica immane che da Noasca la strada s'impenna come avesse fretta di arrivare, tornanti impilati uno sull'altro con la cura del cordame sul fondo di una barca, la galleria che ti inghiotte e non sai se ti renderà alla luce tanto è scoscesa e lunga, i tuoi muscoli che al primo impatto ti sembrano un miscuglio di legno e pasta frolla, impossibile che reggano. Eppure arrivi su in paese, respiri l'aria che sa di resina e di fieno. “C'è re sole”, ti dici a mente, uno spezzettare il nome con i denti in un gioco sciocco che vorrebbe essere stupore alla luce tersa del mattino e omaggio a un luogo che un tempo disprezzavi e ora ammiri e ami. L'essere racchiuso nel parco nazionale l'ha preservato dagli scempi di seconde case e alberghi tirati su sfacciatamente sull'onda di effimere ricchezze. Qui no, qui tutto è intonato e antico, poca ricchezza, niente cemento, la pietra e il legno a fondere le case con le rocce e gli alberi, ed un turismo fatto di scarponi e zaini per fatiche allegre e merende al sacco.

Costeggio il lago che per ora sembra enorme ma, se ce la farò, forse tra due o tre ore sarà un punto azzurro-verde che a mala pena distinguerò in fondo alla valle. E sono laghi e pozze d'acqua a scandire la salita, il Serrù e l'Agnel con dighe orrende e necessarie, altri laghetti, senza nome e senza diga, ma spontanei e vivi che di certo a sera danno da bere a stambecchi e volpi.

Salgo da solo, ho mancato l'appuntamento con il mio compagno che non so se sia più avanti o indietro, i cellulari qui sono strumenti inaffidabili. Sto sgranocchiando una barretta seduto su un parapetto in pietra a strapiombo sulla valle, potrebbe essere lui quel puntino in movimento dieci tornanti sotto, provo a chiamarlo a voce ma mi rispondono solo i fischi acuti delle marmotte.

Salgo da solo e non mi sento solo, una folla disparata mi danza in testa, persino Carducci con le “scintillanti vette” che qui era di casa e Aldo che con la Hillman di sessant'anni fa da poco è salito fin quassù, mi strabilia più la sua fatica che la mia, e Giulio e Giòche avrei voluto a fianco non per competere ma per condividere sudore e bellezza e magari una borraccia d'acqua.

E salgo ancora, che la strada per il colle non finisce mai. Ma per quanto lunga e faticosa adesso so che la percorrerò fino alla cima, perché io per un giorno all'anno ho il cuore giusto e potenza serena nelle gambe. E oggi è quel giorno.

 

 

 
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