Nivolet
di massimolegnani
Non finisce mai
la strada che porta al colle, che poi colle è una parola stramba, ti fa pensare
a qualcosa di facile, poco più impegnativo di una collina, e ti ritrovi davanti
una parete smisurata che arriva fino al cielo a far impallidire il nome antagonista,
il passo alpino blasonato. L'unica è salire con lentezza stemperando le energie
come una borraccia che deve durarti fino in cima.
Già raggiungere Ceresole è una fatica immane che da Noasca la strada s'impenna come avesse fretta di
arrivare, tornanti impilati uno sull'altro con la cura del cordame sul fondo di
una barca, la galleria che ti inghiotte e non sai se ti renderà alla luce tanto
è scoscesa e lunga, i tuoi muscoli che al primo impatto ti sembrano un
miscuglio di legno e pasta frolla, impossibile che reggano. Eppure arrivi su in
paese, respiri l'aria che sa di resina e di fieno. “C'è re sole”, ti dici a
mente, uno spezzettare il nome con i denti in un gioco sciocco che vorrebbe
essere stupore alla luce tersa del mattino e omaggio a un luogo che un tempo
disprezzavi e ora ammiri e ami. L'essere racchiuso nel parco nazionale l'ha
preservato dagli scempi di seconde case e alberghi tirati su sfacciatamente
sull'onda di effimere ricchezze. Qui no, qui tutto è intonato e antico, poca
ricchezza, niente cemento, la pietra e il legno a fondere le case con le rocce
e gli alberi, ed un turismo fatto di scarponi e zaini per fatiche allegre e
merende al sacco.
Costeggio il
lago che per ora sembra enorme ma, se ce la farò, forse tra due o tre ore sarà
un punto azzurro-verde che a mala pena distinguerò in fondo alla valle. E sono
laghi e pozze d'acqua a scandire la salita, il Serrù e
l'Agnel con dighe orrende e necessarie, altri
laghetti, senza nome e senza diga, ma spontanei e vivi che di certo a sera
danno da bere a stambecchi e volpi.
Salgo da solo,
ho mancato l'appuntamento con il mio compagno che non so se sia più avanti o
indietro, i cellulari qui sono strumenti inaffidabili. Sto sgranocchiando una
barretta seduto su un parapetto in pietra a strapiombo sulla valle, potrebbe
essere lui quel puntino in movimento dieci tornanti sotto, provo a chiamarlo a
voce ma mi rispondono solo i fischi acuti delle marmotte.
Salgo da solo e
non mi sento solo, una folla disparata mi danza in testa, persino Carducci con
le “scintillanti vette” che qui era di casa e Aldo che con la Hillman di sessant'anni fa da poco è salito fin
quassù, mi strabilia più la sua fatica che la mia, e Giulio e Giòche avrei voluto a fianco non per competere ma per
condividere sudore e bellezza e magari una borraccia d'acqua.
E salgo ancora,
che la strada per il colle non finisce mai. Ma per quanto lunga e faticosa
adesso so che la percorrerò fino alla cima, perché io per un giorno all'anno ho
il cuore giusto e potenza serena nelle gambe. E oggi è quel giorno.