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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  La mia straordinaria, bellissima vita normale di Roberta De Tomi 05/01/2007
 

LA MIA STRAORDINARIA, BELLISSIMA VITA NORMALE

 

                                                             26 Gennaio 2006

 

Caro diario,

per caso ti ho ritrovato. Eri in soffitta, sommerso da decine di scartoffie, strapiene di scarabocchi e di libri più o meno scolastici. Eri lì, la copertina spruzzata da un velo di polvere, le pagine ingiallite dal tempo, ma ancora intatte.

Non so spiegarmi il motivo, ma non ho resistito alla tentazione di portarti giù con me, sul letto dove, da adolescente, mi buttavo o saltavo ascoltando i Guns e i Metallica.

Quanto tempo è trascorso da allora? (Domandone!) E quanto sono cambiato, io?

A quel tempo ero un iper-complessato, senzadonne ed obiettivi. In pratica, ero uno sfigato, un imbranato secchione metallaro e che si sottraeva alle prove di virilità che tanto andavano tra noi ragazzi:

1) Chi rimorchiava di più nel fine settimana.

2) Metro alla mano si stabiliva chi aveva la virilità più lunga.

E a peggiorare la situazione c'era un altro dettaglio.

Avevo un diario.

Come le ragazze della mia età, avevo l'abitudine di riversare i miei pensieri e tutto ciò che mi accadeva, tra le tue pagine. Mi eri necessario, era il rito che mi permetteva di esorcizzare le mie ansie e di dormire sonni più tranquilli. Senza contare che scrivendo avevo la possibilità di fare il punto della mia schifida vita.

Per fortuna, anche quel periodo è andato. Dopo la maturità, mi sono iscritto ad Economia e in quattro anni mi sono laureato. Nel frattempo ho lavoricchiato in un ufficio dove poi sono stato assunto come impiegato, mentre stavo facendo la tesi. Un lavoro regolare: otto ore, stipendio ok, straordinari sì, ma non troppo. Poi, gli amici, il cinema, i libri, un po' di tv, ma niente reality; e i viaggetti per rompere la monotonia del day by day.

Il timido Riccardo non è più l'imbranato di allora. O meglio, resta un bonaccione che a vent'anni ha scoperto la gioia di vivere e la fiducia in se stesso, grazie ad una ragazza che ha amato e da cui è stato amato; e grazie agli esami, alle persone che lo hanno più o meno fregato, alla vita che ad un certo punto lo ha apostrofato con un vigoroso: “Allora, ti dai una mossa?” E Riccardo la mossa se l'è data, anche perché la spinta l'aveva fatto cadere, e lui aveva dovuto rialzarsi.

Diario, dopo tanti anni, ti scrivo e, come facevo allora, anche adesso posso fare il punto della situazione.

Sono un laureato occupato, pieno di amici e di interessi. Cosa mi manca?

L'amore. In teoria, perché... ho conosciuto una ragazza. Non ieri, intendiamoci. L'ho adocchiata in un pub sei mesi fa, e subito l'ho abbordata. Era decisamente troppo… troppo per lasciarmela scappare! Così abbiamo cominciato a parlare.  Io le ho chiesto il cell., e lei si è dimostrata molto disponibile. (Molto, non so se intendo?)

Adesso ci frequentiamo e sto sniffando qualcosa nell'aria, del tipo… lei ci sta!

Lei è una di quelle che non se la tira, malgrado le sue sexy- mise. È una tipa avanti, solare, una che piace. Ed io ne sono innamorato. Innamorato perso.

E se lei accettasse di stare con me, non sarebbe che un valore aggiunto alla mia felicità.

Perché? Perché amo la mia vita, così straordinariamente normale eppure così straordinariamente bella.

 

12 Febbraio 2006

 

Mancano due giorni a San Valentino. Non che io creda a queste commercialate, come non credo ai giorni dell'amore, della pace ed altre cazz

È come quando si dice: “A Natale siamo tutti più buoni!”… Ma sì, puliamoci la coscienza con le frasi fatte: un pizzico di ipocrisia non guasta mai!

Ad ogni modo, io non ho bisogno di festeggiare l'amore, perché è l'amore che sta festeggiando dentro di me. E sentissi che casino che fa! Per non parlare di quando Cinzia mi chiama, dal vivo o al telefono: la musica si alza, le casse rimbombano  tanto da stordirmi!

Già, perché il valore aggiunto di cui ti parlavo è arrivato, e porta il nome della ragazza  di cui ti ho già parlato.

Bionda, occhi scuri, naso, mento e labbra fini, forme al posto giusto, voce da Paradiso: è questo l'identikit della mia ragazza. Della mia ragazza! (Mi sento un bamboccio, ma devo evidenziarlo!)

È avvenuto tutto in una sera. Per l'esattezza... è appena avvenuto.

Ho accompagnato a casa Cinzia, dopo una serata in pizzeria con i soliti: Mo', Gigi, Lepo, Fiore, Sabry, Carmen. Io mi sono fermato appena prima del suo passo, una breve gettata di cemento da cui si erge la villetta a tre piani, con ingresso da fasto e  porticato triforato. Cinzia fa per uscire, ma qualcosa la trattiene.

Preoccupato mi avvicino e le sue labbra s'incollano alle mie con un trasporto esagitato. Dopo alcuni, estatici minuti, ci stacchiamo e restiamo a guardarci negli occhi, lasciando a loro la parola. Infine lei schizza fuori dall'auto bisbigliando “Buonanotte!” Si allontana dall'abitacolo, di nuovo mi guarda, di nuovo mi raggiunge. Abbasso il finestrino, incurante del freddo che punge il mio viso, per lasciar entrare la sua dichiarazione.

“Ora puoi!”

“Ora posso, cosa?” le chiedo, guardandola come una matta.

“Chiamarmi la tua ragazza!”

E scappa in casa, voltandosi per darmi un bacio con la mano e per vedere il mio sguardo da pesce lesso illuminato da due strisce di luce lunare.

 

25 marzo 2006

 

Diario, non ho più scritto queste pagine perché non ho news. La mia vita prosegue, senza scossoni. Il dolore? Anch'io ho i miei momenti no. Momenti in cui al capo non va bene quello che faccio. Momenti in cui ci sono persone che ti sparano pallottole di frustrazione, per una felicità che non sanno trovare. Momenti di tristezza, per la morte di bambino, per una tragedia famigliare, per una lite. Ma queste cose fanno parte della vita. L'ho capito a mie spese, dopo che il dolore ha affondato nel mio cuore la sua lama affilata. Dopo aver rischiato di morire per un medicinale cui ero allergico.

Ricordo ancora le flebo, il cortisone, la gola sul punto d'ingrossarsi, la vita che sembrava volermi dire addio.

E ricordo la mia solitudine, gli amici che non avevo e gli altri che vedevo fuori di me. E le lacrime, la paura di crescere, del futuro, della vita che non sapevo cosa mi avrebbe riservato.

Tutto quello che mi è successo mi ha fatto capire che la mia vita non è poi così male. Anzi, che la mia vita è bellissima.

Ho il mio stipendio, e una somma messa da parte per i periodi di magra. Il lavoro è sempre quello: computer, fotocopie, fatture, bilanci ed occhi sempre aperti. E il divertimento pure: serate tranquille, aperitivo con stuzzichi e Prosecco, film da botteghino e letture intellettualeggianti; piccole variazioni sulla larga scala della mia vita.

La mia è – sembra – una vita  noiosa. Troppo poco stimolante, direbbe uno. Niente di eccezionale, direbbe un altro. E quasi tutti: è una vita troppo normale. E allora? Che male c'è?

Forse la maggior parte delle persone devono ancora ricevere la lezione fondamentale della vita, per imparare ad apprezzare le cose piccole e tediose...

 

 

18 maggio 2006

 

Ieri sera, io e Mo' ci siamo trovati al nostro pub: due stanze strette, tavolini e seggiole di legno, luci e musica soft, molto rilassanti.

Eravamo in vena di confidenze – come raramente avviene tra gli uomini – ed è avvenuto uno scambio d'opinioni che mi ha aperto gli occhi sui problemi che io non avverto, ma che gli altri – a quanto pare – sembrano avvertire. Che io sia un insensibile? O forse sono troppo maturo per la mia età? Oppure sono uno che si accontenta troppo? 

Per Mo' è proprio così. Per uno dei miei compagni di fughe di scuola, io sono uno che si accontenta. E quel troppo, lui lo sottolinea.

“Io non ti capisco. – sbotta tenendo tra le mani il boccale – Ti sei laureato cum laude, sei uno in gamba, uno che potrebbe avere cariche super e che potrebbe scalare i vertici aziendali... e ti fai bastare la vita così?”

Gli rispondo solo dopo aver appoggiato il boccale sul tavolo, la cui superficie è attraversata da graffi e scritte incise con cutter e chiavi.

“Non è una questione di bastarmi. La mia vita mi piace così com'é.

“Che ti piace lo so,  ma non senti l'impulso di cambiare qualcosa? Voglio dire, è sempre la solita: lavoro, uscite con gli amici, cinema; lavoro uscite con gli amici, cinema… e via, sempre così! Hai la fortuna che con Cinzia è tutto rose e fiori perché è una storia fresca, ma a lungo andare, le cose si logorano, e la noia prende il sopravvento.”

“Mi sembra ovvio, ma ancora non sei arrivato al punto!”

Mo' alza le mani e le batte con forza.

“Il punto è che sei uno che vale, e non capisco  perché tu debba continuare a sprofondare in questa provincia merdosa, quando con le tue capacità, potresti sfondare altrove. Che so io? A Milano, a Roma o anche a Londra! Mi segui? Gente nuova, casino e lavoro alla grande… Questa è vita !”

Mano a mano che le parole gli escono dalla bocca, capivo che quel discorso non è tanto rivolto a me, quanto a lui, Peter Pan dal chimerico futuro.

La sua vita è una nebulosa che lo strizza, sciupandone le qualità, che non ha ancora messo a frutto.

A diciannove anni, Mo' sognava di diventare un grande avvocato. Da quando ha iniziato l'università se lo ripete, e ad ogni esame sembra sempre più convinto. Poi qualcosa cambia la sua ottica. Mo' comincia a barcamenarsi tra mille impieghi che con Legge non hanno niente a che fare. Gli fa troppo gola l'indipendenza da mamma e papà. Va a vivere da solo e tra una bolletta e l'affitto da pagare si consuma la sua vita, un sobbarco di stipendi rimediati a rotta di collo, di libri che si aprono sempre meno, di sogni che, lentamente, si infrangono come bicchieri caduti a terra. Per non parlare degli sballi, degli spinelli sfumacchiati, dei repentini mutamenti di look: capelli rasta o rasati, camicina e golfino o tuta da ginnastica, mocassini o Nike mezzo strappate; e dei letti sfatti impiastricciati dei profumi delle ragazze di una notte.

E ancora, a ventotto anni, la sua vita è un blob di eventi e situazioni che, accumulandosi, rischiano di sommergerlo. Forse da ciò nasce l'insoddisfazione per la provincia: realtà in cui il destino ci ha sbattuto, dopo aver giocato a dadi con la vita, e in cui io, al contrario di Mo', ho imparato a distinguere le luci, velate dall'apparente grigiore. Io sono riuscito, dopo anni di buio, a trainare fuori dal bunker in cui era relegata la mia volontà, resa improvvisamente attiva. E  finalmente è venuto il momento di rafforzare le fondamenta su cui regge la precaria esistenza dell'amico, impartendogli le dritte.

Tutte queste considerazioni attraversano la mia mente. E allora, dopo avergli afferrato un lembo della giacchetta sportiva, lo scuoto, insieme alle mie parole, che  scrosciano su di lui.

“Vuoi sapere una cosa? Sei un vile!”

Vile? Parola antica, ma mi è venuta in mente proprio questa.

Mo' si alza in piedi, attirando su di sé gli sguardi dei presenti e della riccia cameriera che ha puntato all'entrata.

“Che cazzo stai dicendo?”

“Sei un vile!”

Ci troviamo in piedi, l'uno di fronte all'altro, i nostri sguardi attraversati da strali invisibili. Sembriamo due tigri infuriate, cui qualcosa impedisce di sferrare l'attacco.

Alla fine, mi siedo e lo invito a fare lo stesso; ma Mo' esita, i pugni levati a mezz'aria, il labbro inferiore coperto dai denti. Sembra combattuto tra il desiderio di andarsene e il desiderio di ascoltare ciò che ho in serbo per lui.

Accontentato!

“Non puoi continuare a proiettare sugli altri le tue insoddisfazioni. Non sono certo io quello che vorrebbe far su fagotto e andare a New-York!”

Le sue braccia si rilassano e cadono  lungo i fianchi.

“Ma veramente... dicevo soltanto che potresti aspirare a qualcosa di più...”

“... perché tu vorresti qualcosa di più!”

Interrompo bruscamente le sue giustificazioni, che mi suonano false.  Mo' È come un bambino che, sorpreso a rubare un dolcetto dalla mamma, cerca di aggrapparsi a tutte le ragioni possibili, pur di farla franca; ma alla fine, di fronte all'amico che ha sventato ogni tentativo, è costretto a capitolare.

Mo' si siede, beve l'ultimo sorso di birra, si pulisce le labbra dai residui di schiuma e, dopo essersi massaggiato le tempie – un rito apotropaico? – si confessa senza falsi pudori.

Ok, giù la maschera. Se c'é qualcuno che vorrebbe cambiare vita, quello sono io. Dopo sei anni di sbattimenti, di buste paga prosciugate prima della fine del mese, di sfighe e donne che mi hanno usato e gettato e che io ho gettato dopo averle usate, mi sono accorto di essere stanco. Volevo diventare un avvocato, vincere cause impossibili, ma poi ho cambiato idea. Ero stanco degli esami e della cazzate coi miei. Volevo dare una scossa a tutto e allora ho cominciato a correre. È stata una partenza in sprint. Ero libero, nessuno mi scassava, e potevo cambiare rotta quando mi pareva. Poi  mi sono accorto che la mia vita stimolante era tutta un'illusione, una farsa che mi ero creato per sfuggire alla noia. E nella noia sono ripiombato, perché nel cambiamento, tutto si ripeteva e si ripete. E adesso... sai qual è il mio più grande desiderio?”

“Mollare tutto e andare via?”

“No. – Mo' sorride –  Carpire a te il segreto della tua serenità. Come fai a sopportare la tua vita?”

A quella domanda rimango interdetto. Io non mi sono mai posto il problema. O meglio, me lo sono posto, ma marginalmente So solo che la mia è la vita di un anonimo di provincia, che ai grandi sogni ha sostituito ripieghi più concreti. Non che io non sia un ambizioso: come tutte le persone, non disdegno il prestigio e il denaro; ma poi, qualcosa, dentro di me, mi ha spinto ad accettare questa vita.

Cerco di iniziarlo ai miei misteri, ma riesco soltanto a cucire lembi di forse, fazzoletti di ma e cenni di quei traumi che si sono rimarginati, di un presente che, diventando passato, ha cessato di farmi male. E poi, mi accorgo che, in fondo, nemmeno io so rispondere al suo quesito.

“Davvero, vorrei essere più chiaro, ma non riesco a dirti di più!”

“Ma dai! – rise Mo' – Non puoi non saperlo! Sei sempre troppo carico, tutte le volte che usciamo. Dopo quattro anni di lavoro, hai ancora l'entusiasmo dei novellini che vogliono imparare tutto e subito! Devi avere un segreto, perché io al tuo posto sarei schiattato di noia!”

“E invece non ho segreti!”

“Ma vaff...”

L'amico mi batte le spalle scherzoso e insiste. Vola uno scambio di parole che diventa una cantilena infantile, cui io pongo fine. Così: “Il mio segreto è questo. Amo la mia vita, mi piace e non la cambierei mai. Punto!”

Il mio dardo sortisce il suo effetto e l'amico si rassegna.

Ok, mi arrendo!”

Si alza in piedi e mettendosi la giacchetta in jeans, sembra meditare. Infine, dopo avermi lanciato un'occhiata seria, dice: “Credo proprio che cambierò!”

E mi saluta, affrettandosi verso l'uscio e con il passo risoluto di chi ha deciso finalmente dove andare. Chissà cosa voleva dire con quel cambierò…

 

26 maggio 2006

 

Due sms dal figliol prodigo: “Ric, sono in full-immersion. Diritto Romano. Tra due settimane esame. Meno tredici alla Laurea. Stop con le pare, rimetto... (primo sms) “...la testa sulle spalle. La mia bellissima vita normale, saluta la tua bellissima vita normale. Grazie di tutto. Mo'.” (secondo sms).

Il testo è qua, vicino a me, lo leggo e lo rileggo, e non penso a cancellarlo.

Già perchè Mo' non ha fatto altro che farmi apprezzare ancora di più la mia vita.

E mentre ti ripongo nel cassetto, costato con piacere una cosa: che non ti ho scritto di sofferenze e mali come fanno tutti, e come ho fatto io in passato. No, ho scritto per dirti quanto sto bene, e anche se risulto banale, ovvio, scontato e bla bla bla, affermo che mi piace la mia straordinaria, bellissima vita normale.

 

                                                                                                                                                                         Riccardo

 

 

 

 
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