Viaggio
al termine della quajetta
di massimolegnani
Quando mi hanno invitato a mangiare la “quajetta” per
festeggiare il mio ingresso a pieno titolo nell'organico dell'Ospedalino, ho pensato fosse un risotto con le quaglie,
piatto un po' pesante ma sopportabile anche per il mio stomaco cittadino.
Ma mi sono sbagliato di parecchio.
Non credo che arriverò vivo al termine della quajetta.
All'aperto, sotto il telone, tirato su in fretta
per ripararci dalla pioggia, siamo in parecchi, tutti dell'ospedalino
e tutti uomini, compresa la Pina “biunda”. La Pina è
un donnone sgraziato, le mani grandi come pale, la voce cavernosa che vorrei
avere io.
- Dutur, ci piace la quajetta?- mi
chiede mentre rimena nel pentolone dove in un brodo al colesterolo galleggiano
enormi pezzi di cotica arrotolata.
- Non so, non l'ho mai mangiata, ma sicuramente
mi piacerà.
- Il dottore di sicuro preferisce la passera!-
urla Brando all'altro capo della tavolata, suscitando risate grasse.
Accidenti, qui parlano in dialetto, bevono,
fanno battute pesanti e ridono; io non so il piemontese e le battute, anche me
le scrivessero in perfetto italiano, le afferro dopo una mezz'oretta e neanche
allora rido!
L'unico taciturno è Denzio,
seduto al mio fianco. Ha la basetta
mesta.
- Io me le ricordo le quaglie quando andavamo a
fare il fieno con la falce: avanzavi nell'erba alta dando le ritmiche rasoiate
e ogni tanto sentivi sotto la falce uno shiitt
diverso e la lama ti tornava su insanguinata. Avevi appena tagliato in due una
quaglia annidata nell'erba.- i prosperosi favoriti,
importati pari pari dall'ultima moda di metà
ottocento, incorniciano un volto afflitto, come se la piccola tragedia fosse
appena successa.
- Non sapevo avessi fatto anche il contadino.-
gli dico cercando di portarlo su discorsi meno agghiaccianti.
- Ho fatto un mucchio di mestieri e in ognuno
trovavo qualcosa che mi faceva star male. Il contadino, a parte le quaglie,
voleva dire castrare i conigli col mattone e sgozzare i maiali; tu non sai
quanto sangue butta fuori un maiale prima di morire. Io da allora non riesco
più a mangiare la sua carne. Ho fatto il fotografo: matrimoni, comunioni, ma
soprattutto funerali, morti da riprendere nella cassa o morti da fotografare
come fossero vivi con gli occhi aperti e un sorriso tirato, per il macabro
piacere dei parenti. Ho fatto il ciabattino e…-
- No, fermo, non me lo dire, non stasera. Chissà
che raccapricci ti sono capitati anche da ciabattino. Non ho ancora iniziato a
mangiare e mi è già passato l'appetito.-
Abbandono Denzio al
suo destino e vado a sedermi vicino a Bruno, il fuochista. Non è contento di
vedermi e quasi mi implora in un sussurro:
- Ehi dottore, non farmi fare figuracce.
Quella mattina Bruno, il macho tutto muscoli
dell'ospedalino, alla vista della siringa che si riempiva del suo sangue, è
andato giù lungo e tirato; ora ha paura che io, unico testimone, racconti agli
altri l'accaduto. Lo rassicuro e il mio “poteva
succedere a chiunque” lo rincuora più dell'assoluzione del parroco. Cambia
subito atteggiamento:
- Carlo, mentre aspettiamo che sia pronta la quajetta,
assaggia il salame di patate che ho fatto io.
Pensavo ad un salame finto, a base di patate per
l'appunto, ne ho messe tre fette nel piatto; invece si tratta di un insaccato
di puro aglio con qualche pezzetto di maiale: assolutamente micidiale. Gli
altri antipasti non sono certo più leggeri: bruschetta e peperoni in bagna cauda! Cerco di spegnere il gusto dell'aglio con il vinello
bianco di Notu, l'elettricista, autentica rivelazione
come vignaiuolo. Il vino scende in gola che è un piacere e mi aiuta ad
affrontare l'imminente arrivo della quajetta.
- La donna bisogna trattarla con durezza; se
gliene perdoni una te ne combina due! No, date retta a me, nessuna pietà: cazzo
duro e botte!
Brando, sigaretta tra i denti e occhi a fessura,
snocciola pillole di saggezza a un pubblico che sghignazza.
- Poveraccio, è patetico. Si atteggia a grande
amatore e nemmeno ha capito che l'abbiamo soprannominato Brando per sfotterlo.
Figurati che l'anno scorso, avendo dei dubbi sulla fedeltà della sua donna, s'è
nascosto nel bagagliaio della macchina; dopo qualche chilometro di
sballottamenti per strade di campagna, s'è messo a guaire come un cane. È
andata a finire che l'uomo che effettivamente era con la sua donna l'ha
scoperto e l'ha riempito di botte. Insomma cornuto e bastonato, altro che cazzo
duro!
Bruno è in vena di confidenze e io mezzo suonato
dal vino lo lascio dire.
- Sai invece chi è il vero mandrillo qua dentro?
Dante! L'avresti mai detto? Guardalo: brutto da far paura, magro come avesse un
cancro, quasi cieco che non sa dire che cos'ha nel piatto, s'è fatto la Nadia,
la più bella sposina del paese. È bastato un viaggio in pullman fino a Roma per
lo sciopero generale a far scoppiare un amore folle: al ritorno Nadia, sposata
da pochi mesi, ha piantato il marito e con un occhio nero è andata a vivere da
Dante.
Sono sbalordito: Dante, il portiere notturno che
non vede un accidente, Dante che con le carte appiccicate al naso, in una
memorabile notte a poker, ha ciucciato a me il primo stipendio e a don Ugo
pochi millelire facendolo sbraitare come avesse perso
una fortuna, Dante che sembra uscito da una tomba, s'è fatto la Nadia, l'aiuto
cuoca dal dolce sorriso. Cazzo, sarà il vino, ma mi piace quell'uomo!
Mentre medito sulle stranezze della vita mi
scodellano quattro mestolate di quajetta nel piatto: una montagna di fagioli sfatti e di
cotica arrotolata con lo spago. Come taglio lo spago le narici sono invase
dall'odore dolciastro di chiodi di garofano, cannella, aglio, lauro e non so
cos'altro con cui sono imbottiti i rotoli di cotica. Tracanno un vino acido e
forte che mi aiuti a vincere la nausea per tutte queste spezie. Il primo
boccone di maiale è ottimo, la carne grassa si scioglie in bocca. Mi sto
riconciliando con questo mangiare genuino, ma mentre deglutisco quasi mi
strozzo.
- Ehi, ma avete messo del pesce in mezzo al
maiale? Una lisca quasi mi uccideva!
- Ma no, dutur. Sono
le setole del maiale. Sa, l'abbiamo rasato alla buona con un coltellaccio,
qualche setola rimane sempre!-
No, non arriverò vivo al termine della quajetta