Less is more
di massimolegnani
Il treno mi stava portando rapidamente lontano dalla
Catalogna.
Avevo trovato posto in uno scompartimento quasi vuoto e ora, sprofondato nei
soffici velluti della prima classe, mi beavo a guardare il sole ancora basso
sopra il mare. Erano stati giorni vorticosi, ricchi di affari e di avventura. “Barcellona
è una femmina elegante”. Mi piacque quella definizione inventata lì per lì,
così la ripetei a voce alta, rivolto al mio sconosciuto compagno di viaggio.
Questi era un uomo corpulento con un paio di baffoni neri che gli nascondevano
la bocca. Annuì educatamente alle mie parole, ma non ne aggiunse di sue.
Piuttosto approfittò di quel primo contatto per cavare dal taschino due grossi
sigari ancora sigillati e offrirmene uno. Mescolammo silenziosamente il fumo
dolciastro a quello più aspro della locomotiva che penetrava dal finestrino
socchiuso. Poi, quando già eravamo passati in Francia, disse:
- Elegante forse, sinuosa di certo. Le morbide curve di Barcellona.
- Bè, morbide curve. Ha viali rettilinei che
l'attraversano per chilometri e quartieri squadrati come Torino, non so se ci è
mai stato.
L'uomo fece un sorriso comprensivo, poi disse:
- Barcellona è donna sensuale, prosperosa nelle facciate dei palazzi
d'ottocento tondeggianti come seni, ed elegante sì, ma fin troppo curata, negli
abbellimenti dei balconi, occhi ripassati con la matita nera e dei comignoli,
come orecchini elaborati ai lobi. I viali sono il sesso maschile che prepotente
la possiedono. E lei con discrezione si lascia fare, ricordando forse le sue
origini.
Io avevo in mente Anita, che sera dopo sera era sembrata cedere e concedersi,
un poco almeno, a me che la sognavo già dal viaggio precedente. Le sue risa
discrete ad arginare i miei assalti, il fuoco nei suoi occhi e il lieve affanno
che le ondeggiava il petto nel dirmi “non ancora”. Avevo in mente Anita
e mi disturbavano quei “viali dritti che la possiedono con prepotenza facile”.
Mormorai sovrappensiero:
- Anita, no.
- Scusi, non comprendo.
- Volevo dire, la città non la vedo così. Ma mi mancano le parole per dirle che
cosa rappresenta per me Barcellona. Sa, io sono un uomo d'affari che si è fatto
da solo. Confesso che non ho cultura, mi fido del mio istinto, di ciò che
provo. Ma poi non so spiegare il come e il perchè.
- Era in città per lavoro?
- Sì. Qualche anno fa ho escogitato un nuovo sistema per grandi ponteggi
costituito da tubi in ferro componibili che sta avendo un discreto successo in
tutta Europa. E qui a Barcellona in previsione dell'Esposizione Mondiale del
prossimo anno, molte ditte stanno acquistando i miei tubi.
- Ah, so di che parla. Le faccio i miei complimenti.
- Anche lei nel settore?
- Solo indirettamente.
- Lei è un imprenditore spagnolo?
Il signore di fronte a me scoppiò in una risata molto mediterranea che mise in
evidenza una dentatura candida e irregolare.
- Mi scambiano spesso per spagnolo, per via dei baffi scuri e della carnagione
olivastra, ma sono tedesco, nonostante il mio cognome sia di chiara origine
olandese. I miei progenitori devono aver vagato per mezza Europa e qualche
donna di famiglia non deve essere stata del tutto irreprensibile.
Un'altra violenta risata scosse lo scompartimento. Risi anch'io, un po' per
educazione e un po' perchè l'uomo aveva un
buonumore contagioso. Questi aggiunse:
- Non ci siamo ancora presentati. Mi chiamo Ludwig Mies van der Rohe*, permette?
Mi alzai in piedi e strinsi la sua mano aggiungendo:
- Alberto Innocenti, molto lieto.
- Ah, ecco come si chiamano i suoi tubi! Non riuscivo a ricordarlo.
Il suo nome, al contrario, non mi diceva nulla, ma l'uomo era simpatico.
Festeggiammo la conoscenza con un altro sigaro, che questa volta fui io ad
offrire. Conversammo a lungo, usando il linguaggio tipico dei treni
internazionali, una miscela improvvisata di inglese, spagnolo e francese,
condita di gesti e ammiccamenti. C'intendevamo a meraviglia. Anche se su
parecchi argomenti scoprimmo di avere idee opposte, questo non creò alcun
attrito, anzi, ciascuno mostrava di apprezzare la posizione altrui pur non rinunciando
alla propria. Dicono sia questa la magia del treno.
Le ore e i paesaggi intorno a noi scorrevano veloci. Ormai non mancava molto a
Parigi, dove io sarei sceso.
- Signor Innocenti, vorrei tornare con le parole a Barcellona. Mi preme la sua
opinione su un'idea che mi sta frullando in testa.
- Mi dica, le darò volentieri un parere.
Il signor Mies sembrava imbarazzato,
temetti che volesse rivolgermi domande troppo personali, magari che gli
parlassi di Anita. Fortunatamente fugò presto i miei timori.
- Devo premettere che sono un architetto piuttosto conosciuto. Non lo sto
dicendo per vanteria, ma per farle capire. Bene, il mio governo mi ha assegnato
l'incarico di progettare il padiglione che tra un anno rappresenterà la
Germania all'Esposizione Mondiale di Barcellona.
- Accidenti! Deve essere una bella soddisfazione. Congratulazioni.
- Grazie. Pensi, mi hanno dato carta bianca e io ne voglio approfittare per
esprimere la mia visione dell'architettura, senza farmi condizionare
dall'ambiente.
- È giusto, ma qual è la sua idea di architettura? La esprima con concetti
semplici che anche un profano come me possa capire.
- “Less is more”.
Come dire il meno è meglio. Sono per la purezza delle linee, la semplificazione
delle forme, la leggerezza della struttura. La mia idea è che chi guardi una
mia opera debba essere contagiato dalla sua apparente semplicità.
- Ora capisco il suo discorso su Barcellona. Quel Gaudì non
deve piacerle molto.
- Già! Direi che siamo agli antipodi: lui ha reinventato il barocco, io sono
innamorato del romanico.
- Immagino che i suoi colleghi staranno progettando padiglioni che ricordino
l'architettura catalana.
- Esatto, ed è proprio questo il punto: io non voglio seguire quella strada.
Per riprendere la metafora femminile, più che una formosa donna spagnola, ho in
mente una parigina snella. Ha presente il tipo, zigomi alti, nasino all'insù e
corpo esile?
- Sì. E ho compreso che cosa intende con questa metafora. Comunque io sono per
la spagnola formosa.
Il signor Mies rise rumorosamente:
- Meglio! Così non ci succederà di contenderci le stesse donne. Ma torniamo al
progetto: ho in mente una struttura snella e ampie superfici lisce.
Aveva tirato fuori un blocco da disegno su cui andava tracciando con rapidità
lo schizzo di un edificio. Riprese a parlare:
- Se le dico superficie liscia, lei a che materiali pensa?
Mi piacque il modo con cui me lo chiese, il suo protendersi in avanti, come se
la mia risposta potesse essere risolutiva.
- Bè, il vetro, il marmo, ma soprattutto
l'acqua.
- L'acqua!- Ludwig Mies mi guardò
stupefatto. Poi riprese:
- Sa che all'acqua non avevo pensato? Accidenti, le parlo di semplificazioni,
essenzialità e dimentico l'elemento puro e liscio per eccellenza! Idiota che
sono. Signor Innocenti lei è un genio.
E subito aggiunse allo schizzo una specie di grande vasca davanti alla
costruzione. Poi staccò il foglio dal blocco e me lo porse. Intanto il treno
aveva imboccato la gare du Lyon. Ci salutammo calorosamente e ci demmo un ideale
appuntamento per l'anno dopo a Barcellona.
Per una serie di circostanze sono rimasto lontano da Barcellona per quasi
vent'anni. Ho dimenticato Anita e la Spagna, ho vissuto in altre direzioni. Ora
che le guerre tacciono e che mi sono ritirato dagli affari, ci sono voluto
tornare. La città non è cambiata, ma forse sono cambiati i miei occhi e di
certo la donna che mi sta a fianco, mia moglie.
Barcellona mi piace sempre, ma non più per le sue curve che trovo troppo
morbide; guardo i palazzi del paseo e vedo
frontoni carichi di ninnoli e pinnacoli. È altro che mi affascina di lei e
ancora non so dire.
Ieri andando verso il museo nazionale ho visto le indicazioni per il quartiere
dell'Esposizione del 1929. Non pensavo fosse rimasto in piedi qualcosa dopo
vent'anni. Così sono andato a cercare il padiglione tedesco. È in fondo a una
spianata, di poco rialzato rispetto al terreno circostante: niente di
faraonico, una costruzione a un piano, dalle grandi vetrate e dai marmi
levigati. Pochi ambienti dalle forme pure che circondano un cortiletto
interamente occupato da una vasca in cui si riflettono le linee dritte
dell'edificio.
Qui ho provato uno strano senso di pace. Non so dire meglio, ma il signor Mies avrebbe compreso il mio stupore e probabilmente
ne sarebbe stato felice.
* Ludwig Mies van der Rohe è stato il
capofila del Bahuhaus, movimento d'architettura
tedesco. Il padiglione da lui progettato è ancora visibile a Barcellona. Il
resto è immaginazione.