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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Angelo grigio e Il custode delle cose (in)utili, di massimolegnani 29/01/2016
 

Angelo grigio

di massimolegnani

 

 

Dicono che avesse messo incinta una studentessa del suo corso e che in un'altra occasione fosse stato riempito di botte da un fidanzato giustamente imbufalito. Dicono anche che un tempo avesse una famiglia, ma che ora vivesse solo. Dicono. Di certo invece c'è che si faceva dare numero di cellulare e indirizzo mail dai suoi allievi con la scusa di poterli seguire meglio nella preparazione degli esami, e può darsi fosse sincero. Ma poi non resisteva alla tentazione e finiva con l'insidiare le ragazze con messaggi dal contenuto ambiguo, quando era sobrio, e con telefonate esplicite quand'era ubriaco.

Una brutta persona, insomma.

Eppure in facoltà e per strada era gentile, colto e solitario. Gli occhi perennemente velati di tristezza, lo sguardo mansueto, il portamento un poco curvo come sotto un peso, non aveva nulla del professore arrogante o dello scaltro profittatore della propria posizione. Piuttosto sembrava un uomo inquieto e fragile. Ma aveva colpe indubbie e un'enorme fame d'affetto, mal condotta.

Mescolato tra il pubblico durante una seduta di laurea per me speciale, l'ho visto battagliare appassionatamente con i colleghi, loro impaludati, lui con un negligente abito grigio, perché fosse attribuita la lode a due ragazze meritevoli. . E l'ha spuntata. Pensare che queste due ragazze poche settimane prima avevano respinto in modo brusco e categorico le sue continue intemperanze.

Poco tempo dopo, in una sera più nebbiosa delle altre, si è incamminato, inutilmente sobrio, nelle acque del Po, come in una via del centro, andando avanti quasi sereno fino a esserne sommerso e trascinato via. Forse era un angelo grigio che ha scelto l'acqua anziché la terra o il cielo.

 

 

 

Il custode delle cose (in)utili

di massimolegnani

 

Trascurato in fondo a un cassetto ritrovi un cucchiaio in legno, di quelli lunghi e massicci, quasi un mestolo, non fosse per la sua concavità poco pronunciata. È tutto consumato, levigato all'impugnatura e smusso all'estremo a furia di rimestare nel fondo delle pentole quando anche l'ultimo frammento di cibo andava rispettato. Forse era della tua bisnonna, rotolato di casa in casa fino a te. Lo guardi, lo tasti, ne segui le linee e le sbeccature, immagini l'uso negli anni a rigirare polente e spezzatini, te ne commuovi però non trovi volti e gesti nella memoria, troppa distanza tra te e il tempo in cui questo era un oggetto vivo. Stai per buttarlo tra i rifiuti quando abbaiando sopraggiunge il tuo cane che reclama attenzione e gioco. Così per scherzo glielo fai annusare. Lui subito guaisce, scodinzola, si eccita. Lo lecca con l'avidità di un buongustaio e sembra scovare infinitesimali residui di cibo che nel tempo si sono stratificati nel legno. Lo fiuta con la pignoleria e la pazienza dell'esperto, ti accorgi che annusa e distingue l'odore delle diverse mani che per generazioni l'hanno stretto, sente a naso l'umanità nascosta nelle venature, differenzia una traccia da un'altra. Ricostruisce meglio di te una genealogia che avevi perduta o mai cercata.

Allora è quasi con riconoscenza che glielo affidi. Seppellirà il cucchiaio in un luogo sicuro del giardino e andrà spesso a controllare che nessuno l'abbia rubato. D'ora in avanti sarà lui il custode delle cose (in)utili.

 

 
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