Tre tonalità di giallo
di massimolegnani
Colza
Claudio solleva le braccia, le
unisce sopra la testa e osserva la propria ombra che si proietta laggiù tra i
fiori. Vorrebbe tuffarsi in quel mare giallo che non è Cina ma campo di colza.
Resta istanti sul bordo del dirupo come un tuffatore sul trampolino prima del
tuffo. Tuffarsi, immergersi, confondersi nell'odiato colore tanto simile a lui.
Al mattino allo specchio la vede e gli sembra di sentirla la bile che sale
inarrestabile, gialli i suoi occhi, gialla la pelle. Tuffarsi e svanire in quel
modo al mondo senza lasciare traccia.
Istanti, poi le braccia ricadono
inerti, l'attimo è passato. Rinuncia a quella morte improbabile e rassegnato
accetta il breve tratto di vita che ancora gli manca.
Quando ripassa
di lì la colza è ormai sfiorita.
Zafferano
Ricordi l'Abruzzo? Mi è tornato in
mente ora per via del giallo che cercavamo e non vedevamo, camuffato com'era da
altro colore. Noi, felicemente spersi per paesini e silenzi, viaggiavamo senza
meta a caccia di piccoli stupori e ogni giorno c'era qualche meraviglia da
ripeterci alla sera. La meraviglia è figlia dell'ignoranza, diceva
mio padre con un sottile disprezzo equamente suddiviso tra l'una e l'altra. Ma
a volte la meraviglia è l'anticamera della conoscenza: non capivamo quei campi
di un viola sterminato su nell'altopiano battuto dal vento. Zafferano,
ci disse un pastore e il nostro stupore s'infittì.Ma
come, viola? E il giallo zafferano? Quello rise, mica cresce
nei campi già in bustine! È un lavoro lungo, da donne.
Ci indicò una casa colonica quasi
all'orizzonte. La curiosità ci spinse fino a quella masseria lontana da ogni
luogo. Attorno a un enorme tavolo donne di ogni età, le giovani e le vecchie
accomunate dall'antichità dei gesti. Ci lasciarono entrare per assistere alla
ripulitura dei fiori, dimenticandosi presto di noi. Ognuna aveva ai piedi un
sacco di iuta colmo di fiori, ne pescava uno e lo strofinava con una perizia
forse già appresa succhiando il seno della madre.
Le dita, quelle nodose delle
anziane quelle sottili di donne poco più che bambine, erano strumenti di pari
delicatezza e precisione, perchè solo una
minima parte del croco conteneva la polvere preziosa. È come mungere
formiche ci disse una ragazzina china sugli stami, confondendo forse
mammiferi ed insetti ma rendendo bene la difficoltà del loro lavoro. Il
mucchietto d'oro al centro del tavolo intanto cresceva con una lentezza
esasperante, ma le donne mostravano una rassegnazione allegra alla fatica che
alleviavano con ciarle in un dialetto stretto da cui eravamo esclusi. Magari
ridevano dei nostri sguardi da turisti attoniti, e per noi già questo farle
ridere sarebbe stato un modo per ripagarle del mondo a parte che ci avevano mostrato.
L'agguato
Lo aspettava
nascosto nel folto della tuia, pronto a sbarrargli l'unica via di fuga. Da
giorni studiava i suoi spostamenti e sapeva che prima o poi sarebbe comparso
lì, attratto dallo splendore del prato alla sera. Non c'era fretta, bastava
attendere l'attimo propizio, perché l'attesa è già metà del delitto e l'essere
pazienti, immobili ma pronti allo scatto è forse più impegnativo dell'azione
stessa. A lui vibravano solo i baffi, impercettibilmente, il resto del corpo un
fascio di muscoli trattenuti a stento, come una muta di cani a una battuta di
caccia. Non c'era odio in lui né spazio per alcuna emozione, solo una freddezzavouttuosa, il suo era semplicemente un lavoro che
andava fatto, e bene. Un lavoro pulito che richiede eleganza di gesti esatti.
Lo vede ma
rimane ancora fermo trattenendo anche il respiro. Attende che quello si chini
in avanti e solo allora gli balza alle spalle. Nessuna lotta, nessuna
possibilità di scampo, sono colpi precisi subito mortali.
A cose fatte
giungono in tanti, i pavidi, gli affamati, gli opportunisti, gli adulatori,
insomma la solita pessima schiera attorno al banchetto del vincitore.
A notte fonda
sul prato rischiarato dalla luna restano poche ossa spolpate, qualche lucente
piuma nera e un inconfondibile becco giallo.