Viaggi
di massimolegnani
Ciao Riccardo,
io sono Batman, dico al bambino in barella mostrando la maglietta
figa con la sua effige inconfondibile mentre salgo finto-allegro in
ambulanza. Lui che sonnecchiava pallido alza una palpebra, mi squadra e la
richiude. Bè, non è stato un gran successo ma
almeno so che il ragazzino è facilmente risvegliabile. E poi la mamma, che s'è
appollaiata sullo strapuntino come una tortora impaurita, forse si è sentita
confortata dalla mia battuta. O forse sta pensando che le toccherà viaggiare
con un medico cretino. È che non so interpretare il suo commento, oh,
se c'è Batman con noi siamo tranquilli. Lo scopriremo solo andando.
Trent'anni di
trasporti mi sono tornati tutti in mente quando l'altro giorno dopo tanto tempo
ne ho compiuto ancora uno. Sono cambiati i tempi, da qualche anno i
neonati bisognosi ce li viene a prendere il team specializzato da Torino e ai
bambini più grandi di solito provvedono i miei colleghi più giovani, che io ho
accumulato anni, stanchezza e qualche diritto a esserne esentato. Però stavolta
per necessità è toccato a me partire.
Chissà, forse è l'ultimo mio
viaggio, speriamo vada tutto bene, penso, mentre faccio gli ultimi
controlli e do l'ok all'autista per la partenza. Presto andrò in
pensione, spiego alla mamma che certo non aveva sentito i miei pensieri
muti. La notizia non pare rincuorarla, anche se per educazione accenna un
sorriso tirato, magari avrebbe voluto davvero Batman al suo fianco e non un
decrepito pediatra.
Mi scuoto e riprendo un minimo di
professionalità, controllo che la trasfusione continui a scendere regolare,
ascolto il battito, fisso il bracciale della pressione al braccino esile,
ispeziono il cavo orale del bambino. Tranquillizzo la mamma dicendole che la
situazione è stabile, Riccardo non sembra più sanguinare, ha un colorito ancora
cereo ma piano pianola trasfusione farà il suo effetto. Lei lo accarezza e
mi dice che è fiduciosa.
Il viaggio in autostrada procede
senza scossoni, Riccardo dorme, la mamma gli tiene una mano, io ripenso ad
altri trasporti pieni di patemi, le mani dentro un'incubatrice a ventilare
neonati dal respiro precario o frenetiche attorno a bambini in convulsioni o
premurose a proteggere dalle vibrazioni una testolina in cocci. Quanti gesti le
mie mani, quanti volti in apprensione, quanti contrattempi a cui far fronte,
quanta speranza e quanta paura, quanta adrenalina nelle fiale e nelle vene,
quanti invecchiamenti in poche ore dentro questa specie di camera iperbarica a
rovescio. Ma anche quanta pena condivisa, quanti sollievi, quanti abbracci,
quante carezze ad alleviare, quanti legami durati il tempo di un trasporto
eppure ancora vivi (io a lei la porto nel cuore, mi ha detto a
distanza di anni una donna incontrata per strada e non ricordo chi fosse il
figlio ma ho in mente gli occhi silenziosi della mamma mentre accudivo il suo
bambino). E ricordo le tragedie, sfiorate o prese in pieno, che non sempre
esiste il lieto fine. E soprattutto ricordo le persone, le madri dignitose,
quella signora scalza in un incongruo abito da sera strappato e sporco di
sangue, i padri scalmanati, quell'uomo che scuoteva l'ambulanza urlando,
ricordo le sue mani picchiare minacciose contro i vetri mentre l'autista si era
fermato smarrito dopo aver sbagliato uscita ad Alessandria), i nonni silenziosi
(sul piazzale dell'ospedale, le porte della lettiga ancora spalancate, un
ometto mi guarda trafficare con le connessioni dell'incubatrice, sembra un pensionato
davanti ai lavori in corso, faccio per cacciarlo in malo modo e lui con
timidezza mi prometta che mia nipote ce la farà).
Vorrei raccontare qualche episodio a
questa mamma, distrarla, stabilire un contatto che renda più lieve il viaggio,
ma inaspettatamente è lei a narrarmi di una sua altra esperienza in ambulanza (ero
caduta in bicicletta dentro una galleria, il dolore, il panico del buio, mio
marito che si fa in quattro a fermare le auto, a dare l'allarme, a soccorrermi,
a parlarmi di continuo, a viaggiare con me in ambulanza, le gambe fratturate
eppure ricordo la gioia di averlo al mio fianco).
Siamo in città, gli scossoni sul pavè svegliano Riccardo. Si guarda intorno, vede la
mamma, ricorda dov'è. Imbronciato mi chiede, ma non ce l'ha la sirena
l'ambulanza di Batman?
Picchio sul vetro all'autista che
accende la sirena. Io ho come sempre un brivido a sentirla, ma Riccardo ride e
dice evvaii!
E anche questa è andata.