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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Viaggi, di massimolegnani 07/06/2016
 

Viaggi

di massimolegnani

 

 

Ciao Riccardo, io sono Batman, dico al bambino in barella mostrando la maglietta figa con la sua effige inconfondibile mentre salgo finto-allegro in ambulanza. Lui che sonnecchiava pallido alza una palpebra, mi squadra e la richiude. , non è stato un gran successo ma almeno so che il ragazzino è facilmente risvegliabile. E poi la mamma, che s'è appollaiata sullo strapuntino come una tortora impaurita, forse si è sentita confortata dalla mia battuta. O forse sta pensando che le toccherà viaggiare con un medico cretino. È che non so interpretare il suo commento, oh, se c'è Batman con noi siamo tranquilli. Lo scopriremo solo andando.

Trent'anni di trasporti mi sono tornati tutti in mente quando l'altro giorno dopo tanto tempo ne ho compiuto ancora uno. Sono cambiati i tempi,  da qualche anno i neonati bisognosi ce li viene a prendere il team specializzato da Torino e ai bambini più grandi di solito provvedono i miei colleghi più giovani, che io ho accumulato anni, stanchezza e qualche diritto a esserne esentato. Però stavolta per necessità è toccato a me partire.

Chissà, forse è l'ultimo mio viaggio, speriamo vada tutto bene, penso, mentre faccio gli ultimi controlli e do l'ok all'autista per la partenza. Presto andrò in pensione, spiego alla mamma che certo non aveva sentito i miei pensieri muti. La notizia non pare rincuorarla, anche se per educazione accenna un sorriso tirato, magari avrebbe voluto davvero Batman al suo fianco e non un decrepito pediatra.

Mi scuoto e riprendo un minimo di professionalità, controllo che la trasfusione continui a scendere regolare, ascolto il battito, fisso il bracciale della pressione al braccino esile, ispeziono il cavo orale del bambino. Tranquillizzo la mamma dicendole che la situazione è stabile, Riccardo non sembra più sanguinare, ha un colorito ancora cereo ma piano pianola trasfusione farà il suo effetto. Lei lo accarezza e mi dice che è fiduciosa.

Il viaggio in autostrada procede senza scossoni, Riccardo dorme, la mamma gli tiene una mano, io ripenso ad altri trasporti pieni di patemi, le mani dentro un'incubatrice a ventilare neonati dal respiro precario o frenetiche attorno a bambini in convulsioni o premurose a proteggere dalle vibrazioni una testolina in cocci. Quanti gesti le mie mani, quanti volti in apprensione, quanti contrattempi a cui far fronte, quanta speranza e quanta paura, quanta adrenalina nelle fiale e nelle vene, quanti invecchiamenti in poche ore dentro questa specie di camera iperbarica a rovescio. Ma anche quanta pena condivisa, quanti sollievi, quanti abbracci, quante carezze ad alleviare, quanti legami durati il tempo di un trasporto eppure ancora vivi (io a lei la porto nel cuore, mi ha detto a distanza di anni una donna incontrata per strada e non ricordo chi fosse il figlio ma ho in mente gli occhi silenziosi della mamma mentre accudivo il suo bambino). E ricordo le tragedie, sfiorate o prese in pieno, che non sempre esiste il lieto fine. E soprattutto ricordo le persone, le madri dignitose, quella signora scalza in un incongruo abito da sera strappato e sporco di sangue, i padri scalmanati, quell'uomo che scuoteva l'ambulanza urlando, ricordo le sue mani picchiare minacciose contro i vetri mentre l'autista si era fermato smarrito dopo aver sbagliato uscita ad Alessandria), i nonni silenziosi (sul piazzale dell'ospedale, le porte della lettiga ancora spalancate, un ometto mi guarda trafficare con le connessioni dell'incubatrice, sembra un pensionato davanti ai lavori in corso, faccio per cacciarlo in malo modo e lui con timidezza mi prometta che mia nipote ce la farà).

Vorrei raccontare qualche episodio a questa mamma, distrarla, stabilire un contatto che renda più lieve il viaggio, ma inaspettatamente è lei a narrarmi di una sua altra esperienza in ambulanza (ero caduta in bicicletta dentro una galleria, il dolore, il panico del buio, mio marito che si fa in quattro a fermare le auto, a dare l'allarme, a soccorrermi, a parlarmi di continuo, a viaggiare con me in ambulanza, le gambe fratturate eppure ricordo la gioia di averlo al mio fianco).

Siamo in città, gli scossoni sul pavè svegliano Riccardo. Si guarda intorno, vede la mamma, ricorda dov'è. Imbronciato mi chiede, ma non ce l'ha la sirena l'ambulanza di Batman?

Picchio sul vetro all'autista che accende la sirena. Io ho come sempre un brivido a sentirla, ma Riccardo ride e dice evvaii!

E anche questa è andata.

 

 
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