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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Storia di un parroco di campagna, di Stefano Giannini 01/07/2016
 

Storia di un parroco di campagna

di Stefano Giannini

 

 

Al termine della lunga e commovente cerimonia, il Vescovo lo convocò per il giovedì successivo. Quella appena trascorsa era stata un'intensa giornata, piena di tensione e d'emozioni. Si era coronato un sogno per il quale aveva speso buona parte dei suoi 23 anni, passati nello studio e nella preghiera. Il pensiero del  prossimo incontro col Vescovo non lo lasciava dormire. Doveva aspettarsi una comunicazione importante, probabilmente un incarico come cappellano presso qualche importante parrocchia, o forse altro…!

La stessa mattina, nell'antica cattedrale stracolma di gente, durante la messa solenne, aveva ricevuto dal Vescovo della diocesi l'ordinamento sacerdotale.

Figlio di un piccolo commerciante di bestiame, era entrato in seminario a nove anni, dopo la terza elementare. Era stato zelante negli studi per tutto il periodo, con la ferma volontà e vocazione di diventare sacerdote e poi parroco in una qualche parrocchia del circondario: la zona collinare della media Valle del Savio dove era nato.

La cerimonia religiosa, si era protratta fino alle ore 13 e 30 di quella bella domenica di settembre del 1897. Dopo l' Ite Missa Est”, suo padre, ancora con le lacrime agli occhi per la commozione, gli andò incontro e, abbracciandolo: “ Caro figliuolo finalmente posso chiamarti Reverendo Don Francesco. Abbiamo fatto tanti sacrifici per mantenerti in seminario, ma oggi sono ripagato di tutto con la grande soddisfazione che mi hai dato”, e aggiunse: “ peccato che la mamma non sia qui ad ammirarti, così raggiante e bello nella tua veste nera, ma certamente ti guarderà dal cielo”.

Era morta a 36 anni, quando lui ne aveva appena 15.

Il giovedì alle 10 suonava il campanello del vescovado. Il segretario del Vescovo lo fece accomodare nel salone d'onore, sulle cui pareti in alto erano effigiati in sequenza i volti di ben 50 Vescovi che avevano retto l'antica Diocesi nei secoli passati.

Era intento a leggerne i nomi e le date quando entrò il Vescovo, al secolo

Sua Ecc.za Mons. Enrico Graziani, (morì d'infarto 20 giorni dopo quell'incontro) che esordi: ”Benvenuto Don Francesco, sei stato un bravo seminarista, da oggi sono certo sarai un buon parroco”, e proseguì : “ ti ho convocato per farti scegliere fra tre parrocchie vacanti che ho in diocesi: MontecastelloMontepetra e Massa. Fra una settimana mi dirai quella scelta. Pensaci con calma e il Buon Dio ti assista !“

Ne parlò con il padre e con il fratello Gildo che gli consigliarono di scegliere la parrocchia di Montecastello. Fra le tre era quella messa meglio sotto tanti aspetti: la posizione, la gente, e non da ultimo, i due grossi poderi in dotazione come prebenda.

In ogni caso avrebbe dovuto scartare Montepetra, una parrocchia disagiata, lontano dalla strada di grande comunicazione e da cinque anni senza parroco. Sita in cima ad irto colle a 500 metri s.l.m., era economicamente povera, essendo priva di terreni e la canonica semi diroccata. Senza dubbio, la più disastrata di tutte.

Nonostante i saggi consigli del padre, del fratello e di alcuni amici, la sua scelta meditata fu Montepetra, proprio il luogo sconsigliato da tutti.

Nella scelta fu determinante il suo spirito romantico. Dalle finestre della canonica il panorama era bellissimo: si poteva spaziare sul vasto catino della valle. Di lassù scorgeva il suo paese, la casa paterna e tutti i luoghi dell'infanzia che egli amava.

In seguito fece costruire un piccolo terrazzino di ferro, esposto ad Ovest verso la valle e vi installò un grosso cannocchiale col quale osservava l'antico paese di Sarsina, il seminario dove aveva trascorso i quindici anni più belli e la sua vecchia casa dove era nato, che si stagliava alta e solida in mezzo al verde.

Comunicata al Vescovo la sua scelta e dopo aver celebrato la sua prima messa presso il Santuario di Loreto, dedicando la sua vita alla Santa Vergine, prese possesso della “sua” parrocchia che avrebbe servito, guidato e amato per ben 59 anni, fino alla morte.

I parrocchiani accolsero ben volentieri questo giovanissimo e bel prete che arrivava carico d'energie e buona volontà.

Si mise subito all'opera. C'era tanto da lavorare, sia nel campo spirituale sia in quello materiale. La chiesa e la canonica subito da restaurare.

Già nel discorso d'insediamento delineò a chiari lettere il suo programma ministeriale:“Vengo a voi per piangere con chi piange, per calmare i vostri affanni e le vostre afflizioni, per proteggere gli innocenti, per consigliare chi è nel dubbio e nello smarrimento. Vengo a voi per essere il mediatore tra il cielo e la terra, per portarvi il conforto della religione cristiana e della solidarietà umana”. Un discorso da padre e da pastore fatto da un “ragazzo” di 23 anni, che risuona ancora attuale. Prosegue dicendo: “Non dovete guardare alla mia pochezza e alla mia debolezza, ma corrispondere alle mie sollecitazioni e cure per quel che, sia pure indegnamenterappresento come ministro di Dio”. Sarebbe interessante riproporre qui l'intero testo del discorso, che prosegue col delineare tutto l'ambizioso programma da attuarsi negli anni avvenire. Molti accolsero con gioia ed entusiasmo quanto andava dicendo. Solo alcuni furono scettici e dubbiosi; lo definirono un giovane prete bravo e bello ma alquanto sognatore.

L'arciprete Don Francesco, armato di grande entusiasmo, iniziò subito a spendere i suoi talenti mettendo le basi per realizzare i numerosi progetti pastorali e materiali.

Intelligentemente intuì che senza organizzazione non si produce nulla, così già entro il primo anno aveva istituito vari gruppi: un gruppo di consulenza parrocchiale formato dalle persone più in vista del paese, i cosiddetti notabili. una Scola Cantorum, tre gruppi dell'Azione Cattolica suddivisi per età, il gruppo delle donne cattoliche, le quali, oltre agli incontri settimanali sulla dottrina della chiesa, avevano il compito di insegnare il catechismo ai tanti bambini delle scuole elementari, oltre che la  cura e pulizia della chiesa e dei paramenti sacri.

Dall'altro canto iniziò la ristrutturazione della chiesa e della canonica che a causa degli scarsi mezzi economici si protrasse per alcuni anni.

Dopo l'intervento dei muratori ben due pittori trascorsero un paio di mesi ad affrescare le pareti e l'ambone della chiesa con angeli, colombe e motivi floreali.

Nel 1904 face fondere “la campana grande”, di 200 chilogrammi, sulla quale fece incidere in latino il suo nome e l'anno di costruzione.

Sul campanile installò anche un bell'orologio meccanico che batteva le ore, le mezze ora ed i quarti d'ora, i cui rintocchi erano distintamente udibili dai caseggiati sparsi anche i più distanti.

Poi costruì una casa per il contadino a cui era affidata la terra della parrocchia.

Si attivò presso le autorità provinciali e comunali per ottenere la costruzione di una scuola elementare e dell'ufficio postale che non esistevano lassù sull'ameno colle. In pochi anni ottenne entrambe le opere e fu con tanta gioia che negli anni ‘30 le inaugurò. Nel 1928 anche a Montepetra finalmente arrivò la corrente elettrica, da tutti bramata e festosamente accolta.

Ma l'opera più grandiosa e significativa , il sogno che aveva cullato fin dagli anni del seminario, fu la creazione di un bollettino parrocchiale per portare le notizie della parrocchia e il commento della parola di Dio in tutte le case.

Nel gennaio del 1926 usciva dalle stampe il primo numero. Fu un avvenimento che lo portò alla ribalta in tutta la diocesi e quelle limitrofe del Montefeltro.

Tante parrocchie fecero a gara per averne delle copie. Già l'anno successivo dalle 500 copie la tiratura passò a 1000, tutte acquistate per abbonamento.

Per quei tempi e quei luoghi di campagna che si producesse un giornalino in una piccola sperduta parrocchia montana fu veramente un fatto eccezionale.

Non v'era altra parrocchia della Diocesi che ne pubblicasse uno.

La Squilla di Montepetra”, il nome del bollettino.

Un mensile composto di otto pagine, dove c'era di tutto: cronaca locale e avvenimenti nazionali e internazionali, religione, curiosità, almanacchi, persino barzellette, e la pubblicità all'olio di oliva “La Famigliare”, al sapone di Marsiglia ed altri prodotti di uso comune.

Don Francesco ne era il direttore ed il capo redattore. L'ufficio di redazione era nel suo studio. Gli aiutanti redattori: un maestro delle elementari ed una colta nobildonna toscana che era andata in sposa ad un signore Montepetrese.

Era stampato da una Casa Editrice di Oneglia. Ne fu soppressa la pubblicazione nel 1944 (dopo 18 anni), per un editto di Mussolini. L'apparente motivazione era che si doveva risparmiare la carta a causa delle sanzioni inflitte all'Italia. In tal modo furono soppresse, in Italia, oltre 400 piccole testate giornalistiche , le quali, in qualche modo, davano fastidio al regime, poiché in dette pubblicazioni non veniva osannato, e/o non erano allineate alla “voce del padrone”.

Tutta quella vivacità di iniziative, nell'ambito ecclesiastico suscitò molta ammirazione e qualche invidia. Ma fra la gente comune di tutto il circondario vi fu corrispondenza e piena approvazione.

Fu veramente un prete eccezionale: colto, attivo, intraprendente e scrupoloso, animato da fervido zelo apostolico, come pochi altri. Per il suo costante e generoso impegno nella crescita morale, culturale e materiale della sua gente, era ammirato e stimato da tutti. Per più della metà del 900 ha fatto la storia di Montepetra. L'epigrafe sulla tomba ben sintetizza la sua vita :” Sacerdote esemplare, fu luce e guida della Parrocchia che resse per 59 anni con infinito amore paterno, illuminata saggezza, con ordine ammirevole e sublime abnegazione”. Per la sua cultura biblica e sul diritto canonico, veniva spesso chiamato a tenere relazioni durante gli esercizi spirituali in seminario e ad un'importante e antica Congregazione di parroci, romagnoli e marchigiani del Montefeltro denominata “ I Cento Parroci”, fondata nel 1675, della quale era membro.

La sua grafia era di una perfezione unica, da codici miniati, era un maestro della cosiddetta “bella calligrafia” insegnata nelle scuole; si può ancora apprezzare nei suoi numerosi scritti rimasti.

Aperto al progresso, si affrettava ad acquistare turtte le novità tecniche che apparivano sul mercato, come le lampadine colorate, con le quali illuminò la chiesa, le statue della Madonna e di S. Giuseppe e di Santa Teresa che nel tempo aveva comprato. Acquistò anche un carillon, nel quale, inserendovi una monetina, si accendeva una candela nella corona della Madonna e suonava l'Ave Maria. Non mi stancavo mai di infilarvi tutti i 20 centesimi che mi dava come paghetta, quando scolaro, durante le vacanze estive, gli facevo da chierichetto.

Quando, negli anni venti, uscirono in commercio le prime radio, ne acquistò subito due, una per se ed una per il fratello Gildo che risiedeva a due passi dalla chiesa. Fu per lui una gioia immensa ascoltare i notiziari quotidiani, seppur con tutti i borbottii delle onde medie.

Negli anni 39/40, la sua più grande preoccupazione era l'incombenza della guerra, prevedendo che avrebbe portato distruzione e morte anche su questi colli.

Infatti, quattro anni dopo, la furia delle battaglie sulla Linea Gotica distrusse la canonica e parzialmente il gioiello che tanto amava, la sua chiesa; oltre a causare la morte di diversi parrocchiani. Era già anziano e pieno di acciacchi, ma quella tremenda batosta ne decretò l'abbattimento fisico e morale.

Cessata la guerra, fece appello alle sue residue forze iniziando, con rinnovato coraggio, la ricostruzione che fu completata nel 1954.

Dopo 50 anni dalla morte è ancora ricordato da molti. La sua vita e le sue opere sono documentate in un capitolo, a lui dedicato, nel volume “Storia di Montepetra e Dintorni” di Attilio Bazzani “ Ed. Il Ponte Vecchio di Cesena”.

La sua operosa vita meriterebbe un libro intero. IL materiale non manca; interessante e significativo il suo testamento spirituale.

Alcune curiosità e aneddoti della sua vita. Il figlio del contadino, un giorno, gli regalò un cucciolo di cane bastardino al quale gli era morta la madre; lo chiamò Savio, in onore al fiume che scorre ai piedi del monte. Subito si affezionarono l'uno all'altro. Dovunque andasse Don Francesco, Savio gli scodinzolava felice al fianco. Erano inseparabili. Quando doveva assentarsi per qualche giorno, Savio restava muto e triste finchè non vedeva tornare il calesse con il suo amato padrone.

Mentre alle stanghe del calesse c'era sempre il docile e mite cavallo Pippo.

Savio morì di vecchiaia all'età di 18 anni. Don Francesco lo pianse, digiunando per tre giorni, come per la morte di un caro amico.

Un problema, del resto sempre attuale e comune a molti giovani affascinanti preti, fu, anche per lui, il rapporto col gentil sesso, o meglio, con alcune ragazze che se lo mangiavano con gli occhi. Come per tanti altri, anche per lui fu certamente una grossa prova quella di soffocare sul nascere ogni impulso di attrazione fisica nei loro confronti.

Oggi tutto sembra più facile: quando le tentazioni della carne si fanno forti e assillanti, diversi preti gettano la tonaca alle ortiche e lasciano il ministero per accompagnarsi e accasarsi con la donna che li ha sedotti. Perché, a mio parere, raramente a sedurre è il prete.

Don Francesco seppe resistere e non cedette alla tentazione. Negli anni del suo maggior vigore fisico, cercò di evitare contatti troppo frequenti e ravvicinati con l'altro sesso. Anche in questo delicato frangente fu prete e un uomo forte che seppe mantenere fede ai voti dati.

Un altro dilemma serio si presentò durante il periodo fascista. Non volendo omologarsi ai tanti che subito si erano schierati e avevano accolto il fascismo come il regime capace di fare dell'Italia il primo paese del mondo e degli italiani il popolo più forte d'Europa, per non volersi scontrare ed inimicarsi i gerarchi fascisti dichiarandosi apertamente contrario alle loro idee, fece buon viso a cattiva sorte adottando la via del compromesso. Con loro cercava di evitare discorsi politici impegnati e, quando riceveva qualcuno di loro in casa, metteva in atto il suo astuto stratagemma: girava il quadro di Papa Pio X. Alle pareti della  sala di ricevimento erano appesi diversi quadri, quello più grande riportava l'effige del Papa Sarto e sul retro quella di Benito Mussolini, in tal modo secondo i personaggi che riceveva, adattava il quadro alla circostanza.

E' rimasta proverbiale la scritta affissa all'interno della porta di entrata che così' recitava: “Essendo la stufa morta siete pregati di chiudere la porta”, e l'altro: “Attenti al cane ! E' Savio con i battezzati ma “feroce” con i malintenzionati”

Altra curiosità: Don Francesco, con la sua particolare grafia, minuta e regolare, annotava ogni evento, ogni spesa, e con maggior cura annotava tutte le SS. Messe che ogni giorno celebrava, anche quelle fuori della sua parrocchia, segnando il nome, se per un defunto o l'intenzione e a fianco l'offerta ricevuta. Le tre agende, strette e lunghe, dette “vacchette” che contengono tutti quei nomi e quelle date sono ora conservate nella biblioteca vescovile di Sarsina a cui le ho consegnate.  Sommando le Messe celebrate durante tutta la sua vita sacerdotale, dalla prima, del 18 settembre 1897, all'ultima del 13 giugno del 1956, data della morte, all'età di anni 81, ne ho contate ben  21.586.

Per le principali feste: del patrono S. Lorenzo martire, di S. Pietro, e quella della Madonna, accorreva molta gente, anche dei paesi limitrofi.

Processione per le vie del Castello con la statua del santo portata a spalle da robusti giovanotti, poi la predica tenuta da un predicatore chiamato da fuori e l'immancabile presenza del Vescovo e di tanti preti, anche più di venti.

In quei giorni, nell'aia vicino alla chiesa, v'erano “ parcheggiate” numerose fuoriserie a quattro zampe dell'epoca: cavalli a sella o con il calesse. Erano il mezzo di locomozione dei parroci di campagna e notabili del circondario, per lo più proprietari terrieri. Ed io, affascinato, li ammiravo e sognavo di cavalcarne uno, un giorno…..

Il 19 settembre del 1922 celebrò con grande solennità il suo giubileo pastorale: il 25 esimo anno di sacerdozio. Giunsero, da ogni dove, attestati augurali. Anche “l'Avvenire d'Italia” gli dedicò un articolo. Lo stesso Papa Pio XI gli inviò una pergamena con foto e autografo ed il seguente testo:

“Al Sacerdote Francesco Giannini Parroco di Montepetra, diocesi di Sarsina, nel XXV anniversario Sacerdotale e Parrocchiale, per il suo zelo nella cura delle anime e in segno di Nostra Paterna Benevolenza, impartiamo l'Apostolica benedizione. Pius p.p. XI -Roma19 Settembre 1922”

Anche nel '47 per il suo 50 esimo di sacerdozio, si fece festa grande a Montepetra.

Il Vescovo lo nominò Canonico Onorario della diocesi e gli affiancò, quale aiuto, un giovane Cappellano.

Questo prete così energico, forte ed intraprendente, aveva le sue debolezze, se così si possono chiamare. Oltre all'ordine e alla pulizia quasi maniacale e alla grafia da monaco amanuense, amava i buoni piatti ed il buon vino, affidandosi all'ottima cucina della fedele nipote Mina, la quale lo assistette fino alla fine.

Organizzava diversi pellegrinaggi nel corso dell'anno: Loreto, Roma, Pompei ecc…, pur nelle difficoltà di movimento per quei tempi, dei mezzi poco affidabili e delle strade mal tenute e pericolose. In autunno trascorreva quindici giorni alle terme per curare l'artrosi e tonificarsi il corpo, e per altri dieci giorni andava alla Verna o a Camaldoli a fare gli esercizi spirituali e ricaricare lo spirito, per poi riprendere con rinnovato zelo la sua opera tesa al benessere spirituale e possibilmente materiale della “sua” gente.

Avrebbe desiderato che qualcuno a lui caro, dopo la sua scomparsa, avesse proseguito, nella continuità, la sua opera nella parrocchia.

Secondo i suoi piani, questa persona sarei potuto essere io, che, ancora ragazzo 13 enne, ero studente a Bologna in un collegio di religiosi per diventare sacerdote missionario. D'estate tornavo a casa con la veste nera ed il collare bianco al collo e lo andavo a trovare. Lui orgoglioso, così mi presentava ai suoi amici sacerdoti e ai signorotti del luogo che lo sostenevano anche finanziarmene: “Questo mio nipote un giorno mi darà il cambio nella conduzione della parrocchia”.

Grande fu la sua delusione quando un brutto giorno, abbandonato il collegio, tornai a casa senza più la tonaca nera.

Il dispiacere provato fu tale, che per mesi mi ignorò, non rivolgendomi più la parola.

Dello zio Don Francesco, questo straordinario prete di campagna, del quale solo nella maturità ho riscoperto i carismi, porto in viso gli stessi lineamenti somatici, nel cuore la speranza cristiana, il rispetto per la gente, l'amore per la vita e per la nostra terra.

 

 
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