La voce della
guerra
UN UNICO CAPITOLO
Racconto di mille vite
Anche oggi si combatte.
L'esercito Blu attacca di nuovo: i
generali nemici vogliono riconquistare il terreno che con i nostri ultimi
attacchi siamo riusciti a sottrarre al loro controllo.
Dannati Blu!
Non ci lasciate nemmeno un giorno di
tregua! Volete logorarci anche l'anima con questa guerra infinita che avete
cominciato!
Ma noi Gialli non vi permetteremo di
vincere! Non ci arrenderemo, e finché avremo vita vi combatteremo!
Vi combatteremo fino alla fine dei
nostri giorni e oltre ancora!
E vinceremo!
Rintanato nella trincea, al riparo dai mille
proiettili nemici che, sibilando malvagi, solcano l'aria contemplo il cielo mentre ricarico il mio fucile.
Il cielo è sereno, percorso da una tenue luce omogenea.
Mi rasserena perché se anche morissi saprei che il
posto che mi spetta non è affatto male: non ci sono nubi e l'azzurro di lassù è
la perfezione divina.
Ho modo di scambiare qualche parola
col mio vicino di trincea.
Parliamo poco, ma parlare ci è indispensabile.
Sentire la nostra voce e la voce di altri uomini ci aiuta a vivere, a non
sentirci soli, a non impazzire.
Quando la guerra finirà, mi ha detto,
tornerà a casa sua, al sud, abbraccerà la sua Lucy dai lunghi capelli biondi e
si chiuderà con lei nella sua casa di montagna per un mese almeno. Sorride.
Lo ascolto e lo capisco. Non posso
guardarlo negli occhi per via dei nostri caschi gialli che ci coprono quasi
tutta la testa, ma riesco ugualmente a comprenderlo. E se anche non li posso
vedere, so che una lacrima gli ha velato gli occhi per un secondo almeno.
Niente ti è caro come l'amore quando senti costantemente vicina la presenza della
morte. Perché l'amore è la vita, la morte il freddo del nulla. E dopo aver
vissuto all'inferno, tra il sangue e la sporcizia, la vita è quanto più
desideriamo al mondo.
Passata qualche ora - o questo almeno
è quel che credo dato che ogni singolo istante ci sembra un'eternità
quando siamo sotto il fuoco nemico - dopo aver aperto il fuoco sui Blu
parecchie volte colpendo molti di loro, torno al riparo, nella trincea posta
cento metri più indietro rispetto a quella in cui sedevo prima con Daniel.
Di lui rimane solo un ricordo, la
consapevolezza di aver parlato con lui e di averlo visto poi cadere sotto il
fuoco nemico mentre il nostro caposquadriglia ordinava la ritirata.
E' caduto sul campo alle tre del
pomeriggio, colpito in pieno da una granata antiuomo. Di lui solo il ricordo
trasportato dal fumo dell'esplosione. Non un corpo né una tomba. Nemmeno un
brandello di carne sarà strappato da questo avido campo di sterminio.
Ripenso a ciò di cui abbiamo parlato,
a quello che mi ha detto della sua famiglia e della sua vita prima di esser
stato arruolato dall'esercito.
La sua famiglia, il suo lavoro, i
suoi amici…la sua Lucy… di lui non avranno altro che il ricordo.
Ora c'è movimento nella trincea: si
curano i malati, all'aperto perché nessuno può essere spostato. E poi si
servono il rancio incolore, le munizioni e altri beni di primaria importanza.
Strano come le cose, ogni cosa, cambi
di valore sul campo di battaglia.
E poi stralci di notizie, sussurri e
bisbigli mentre cala la notte. Sembra che manchino all'appello quasi 30
soldati.
Ma ancora nessuna notizia dal quartier generale. Il nostro comandante non ha ricevuto
ordine alcuno, né alcuna indicazione sui nostri nemici dalla sua importante
radio satellitare.
Poi cala la notte e appaiono le stelle mentre ognuno cerca la sistemazione migliore per
riposare.
Una luce poco distante brilla per un
po' e poi si spegne…
Guardo le stelle e ripenso alla vita.
Alla mia vita prima di questo schifo.
Non ricordo molto se devo esser
sincero: qualche volto, la mia famiglia e i sorrisi, i sorrisi felici delle
persone che conosco e con cui ho condiviso le esperienze più belle della mia
vita. Ricordo il mare, le ragazze seminude in costume, l'aria fresca del
mattino, il sole che brilla alto nel cielo…una granata che piove dall'alto, e
un'esplosione di vuoto e dolore.
La guerra…già, la guerra, questa fottuta guerra che dura ormai da troppo tempo…spesso ci
interroghiamo sulla guerra…
E nessuno sa abbastanza su quel che
stiamo vivendo.
Siamo tutti stati arruolati, volenti
o nolenti, per difendere la patria dal nemico, per morire sui campi di
battaglia, comandati da comandanti invisibili. Presi, addestrati ed
equipaggiati per la morte, per la gioia del presidente che si fa bello a
parlare di numeri.
Sì, i numeri della Bestia chiamata
Odio.
La guerra…
E' accaduto tutto all'improvviso e ci
siamo ritrovati subito in quest'inferno. I Blu hanno attaccato e hanno raso al
suolo le città del confine settentrionale. Interessi economici,
credo, per via delle industrie e delle miniere di quelle zone. Lo stato
dei Blu era in crisi già da parecchio, e nei nostri confronti hanno sempre
nutrito risentimento per via di passati eventi storici.
O almeno, così dev'essere
andata.
Altrimenti non si spiegherebbe quanto
è successo. Niente diplomazia, non una parola: si è passati subito alle armi.
E da quel giorno lontano molti sono
morti. E molti ancora moriranno sui campi della disperazione.
La morte che ti prende
all'improvviso.
Si muore da soli in guerra. Da soli e
piangendo. Senza nessuno cui aggrapparsi. Senza nessuno…Mi sento solo, e a volte piango. E siamo a
migliaia…come le stelle della notte: così tante e così lontane. Anche tra di loro. Anche tra di noi…
Anche oggi si spara.
Si sparano con ferocia tonnellate di
odio. Uccidere non ha alcun senso. Ma se uccidi significa che sei vivo. E poi
non vedo persone laggiù, solo luridi assassini dalle mani insanguinate. Con le
mani sporche di sangue innocente. E allora prendo la mira e sparo. Una raffica
di colpi mentre attorno si fa silenzio, o questo è ciò che sento. Non sento gli
spari o le grida degli altri. Ma conto ogni singolo bosszolo che cade dal mio fucile. E sento ogni singolo
soldato urlare mentre muore ucciso dai miei colpi.
Lontano, i nemici ruzzolano al suolo
con le loro tute blu e i loro sudici caschi insanguinati, crivellati di colpi.
Vedo i loro corpi per terra. Ma non
vedo nessuna anima levarsi in cielo. Ansimo e tremo.
Per molti giorni ancora si combatte.
Oggi difendiamo, domani attacchiamo conquistando terreno. Guadagniamo terreno e
poi lo perdiamo.
Un pendolo che oscilla senza senso.
Questa guerra non la comprendo.
La pensa così anche il compagno che
sta rintanato vicino a me in questa trincea fangosa e piena di escrementi e di
puzzo.
Si chiama Paul
e dalla voce direi che è giovane. Non lo posso vedere per via del casco, questo
dannato casco che non possiamo toglierci mai e che di noi lascia intravedere
solo la bocca ed il mento.
Nemmeno lui sa perché combattiamo.
Come tutti d'altronde. Ma sa che vinceremo e che non vuole star qui molto.
Qui non gli piace - come dargli torto
d'altronde? - e vuol tornare a casa al più presto. A casa, a festeggiare la
pace e la nuova epoca con la sua Lucy, dai lunghi capelli biondi. Mi parla un
po' di sé e della sua famiglia, del suo lavoro e della sua casa in montagna
dove festeggerà con la sua amata un mese di passione almeno.
E io gli parlo di me, perché sotto
queste tute gialle macchiate di terra e di orrore, ci siamo ancora noi, degli
uomini in carne ed ossa. Momentaneamente votati alla distruzione certo, ma
siamo sempre uomini, con un'anima ed un cuore.
E continuiamo a parlare, mentre la
pioggia scende impietosa e i colpi dei nemici non risparmiano le nostre difese.
La guerra finirà, mi dice, ma io penso ad altro…vaghi ricordi e uno stranissimo
senso di deja-vu.
Poi alzo gli occhi e guardo il cielo,
scuro e nero. Denso di nubi, ovunque una tonalità omogenea. Irreale.
La pioggia è soltanto un momento
effimero: di nuovo torna il sole.
Ancora si combatte e si spara e
ancora non ci giungono notizie dalle città.
In una nostra offensiva riusciamo a conquistare parte
della trincea nemica. Credevamo di averli annientati tutti, ma uno dei Blu lo
troviamo ancora vivo. Sanguina, ma respira ancora.
Uno di noi ha già pronto il fucile,
ma un sergente gli intima di fermarsi. Ci sarà utile,
ci promette. La vendetta degli amici uccisi può attendere.
Per ora.
Un gruppetto di noi gli si avvicina e
lo solleva. Addirittura gli farà da scorta nel tragitto che lo condurrà
dinnanzi al nostro comandante. Potremo ricavare preziose informazioni da quello
che a quanto pare è il primo prigioniero di questa
strana guerra. Niente prigionieri. Questi gli ordini. Niente prigionieri, solo
soldati Blu morti.
Lo portiamo al centro di comando:
un'imponente costruzione di pietra a circa 5 km dal campo di battaglia. Aspettiamo il
comandante perchè lo interroghi e ottenga importanti conoscenze sull'esercito
nemico. La conoscenza ci porterà alla vittoria.
Ma non appena lo vede il comandante
si arrabbia, impreca e urla perché non si possono fare prigionieri: è la legge!
Alcuni di noi sono perplessi e il
sergente a capo del gruppetto cerca di far ragionare il comandante. Sono giorni
dopotutto che non riceviamo notizie dal quartier
generale. E le informazioni che il prigioniero ferito può fornirci ci saranno
utili per combattere il nemico. Questa guerra ci sta logorando. E i soldati
vogliono sapere cosa sta succedendo…e perché ogni giorno devono combattere e
morire.
Perché questa guerra? Per quale
motivo voi Blu ci state attaccando? Domanda allora il comandante, un vecchio
dalla voce pacata che suona metallica attraverso il casco che indossa.
Il prigioniero ride, a fatica, ma
ride e, tossendo e ringhiando, ci dice di non prenderlo in giro. Non scherzate,
dice con fatica, siete stati voi Gialli a cominciare sterminando le popolazioni
Blu sul confine con le vostre miserabili bombe! Vigliacchi! Ansima per lo
sforzo. Avete sterminato degli innocenti e ora mi chiedete perché combattiamo?
Ci avete attaccato all'improvviso. Intere città distrutte. Anche la mia
città…la mia famiglia, il mio lavoro…i miei amici…la mia Lucy… Ho perso tutto, urla, tutto! E ora mi chiedete perché combattiamo?
Non lo posso vedere
ma il prigioniero sta piangendo mentre si dibatte dalla morsa dei miei
compagni che tentano di bloccarne i movimenti.
Noi tutti invece siamo vuoti. In
balia del dubbio e dello sconcerto.
Tutti.
Il comandante tace e osserva il
prigioniero, riflettendo. Le cose non stanno così, questo lo sa bene. Ma perché
i Blu dovrebbero ingannare i propri soldati. Certo, così i soldati combattono
con il cuore, per vendicarsi, per ripagare con la stessa moneta i Gialli,
assassini di innocenti. E le città di confine comunque le hanno distrutte anche
a noi Gialli…ma di certo noi non abbiamo attaccato per primi. Che motivo
avremmo avuto? La nostra è un'economia forte. E il nostro governo non ha di
certo mire espansionistiche…
E poi in un istante tutto si risolve.
Il prigioniero sa che chi gli sta di
fronte comanda il battaglione che da mesi sta resistendo alle armate del suo
Paese. Con un ultimo strattone si libera dai suoi guardiani
e, rapido e veloce, si lancia verso un arma: basterebbe un colpo per
uccidere il vecchio in uniforme gialla che gli sta di fronte.
Un colpo, e i Gialli rimarrebbero
senza comandante.
Ma il colpo che parte non è quello
sparato dal prigioniero, bensì quello di un soldato alla mia sinistra.
Un colpo e il prigioniero è a terra.
Morto.
Lo solleviamo per toglierlo dalla
vista del nostro comandante e in quell'istante
scopriamo la verità.
Il casco blu che copriva il volto del
prigioniero, danneggiato dal colpo letale di poco fa, scivola a terra.
Osserviamo tutti
quel volto, il volto dei nostri nemici, quasi scoprendo solo ora che
anche i Blu sono umani.
Passa un istante, un secondo di riflessivo
silenzio. Ad un tratto Will si toglie il casco: sa
benissimo che ci è proibito toglierlo, perché i gas presenti nell'aria ci
annienterebbero all'istante. Questi campi di battaglia sin dal primo giorno di
guerra sono stati contaminati da gas velenosi che infettano le mucose nasali.
Vi ringraziamo Blu, anche per l'aria che respiriamo!
Ma anche senza casco Will riesce a stare in piedi. E non sembra soffrire.
Niente.
Anche lui ci guarda stupiti e dopo
tanto tempo scopriamo nuovamente che anche noi siamo umani, sotto queste
uniformi e questi caschi gialli siamo umani!
E in un istante la verità sulla
guerra ci appare più vicina che mai.
Il volto di Will
e quello del prigioniero senza nome sono identici!
Una bandiera bianca si leva alta dal
nostro campo. Il colore bianco in mezzo al caos multicolore della guerra, il
candido colore della verità, il colore della pace. Il colore delle nubi che si
muovono pigre nel cielo chiaro e sereno.
I nemici smettono di sparare e
finalmente viene organizzato un incontro tra i nostri
due eserciti.
Per la prima volta, a parlare, non
erano le nostre armi.
Tutti i nostri soldati avanzano verso
il nemico e all'unisono ci togliamo il casco giallo che ci copre il volto
nascondendoci dal mondo. Anche il comandante si toglie il casco e respira a
pieni polmoni l'aria del mattino.
I Blu ci guardano stupefatti. Alcuni
ridono. Uno prende il fucile per puntarlo contro di noi, ma una mano lo ferma subito e decisa. E' il loro comandante. Nonostante
conosca la verità sull'aria che ci circonda, irreparabilmente contaminata dal
virus mortale che mesi prima i Gialli avevano liberato nell'atmosfera, vuole
fidarsi delle parole del comandante nemico.
Si toglie il casco e così fanno anche
i suoi soldati.
Ci guardiamo, studiandoci. Migliaia
di uomini allo specchio con una o più immagini a riflettere noi stessi. Anche
le storie che portiamo nel cuore sono uguali.
Molti rimangono in silenzio. Molti
vomitano l'anima. Soltanto il vento e un pesante senso di vuoto serpeggiano tra
noi.
Pian piano incominciamo a parlare
quasi scoprendo solo adesso di avere in comune anche la stessa lingua.
Il cielo inizia a rannuvolarsi mentre
i generali e i soldati parlano cercando di sapere cosa stia realmente
accadendo. E soprattutto perché stavamo combattendo. Già, nemmeno l'ombra di un
segno che potesse rivelare chi avesse ragione: se i Gialli o i Blu. O forse era
stato un terzo Paese ad aver approfittato di questa situazione ingannando
entrambi gli Stati e coinvolgendoli in una guerra assurda soltanto per vedere indebolirsi
le difese di entrambi i Paesi.
Nessuno sa niente.
Nessuno, qui, ha mai saputo niente.
Il cielo si
sempre fa scuro e minaccioso: la bandiera bianca stona e contrasta con il cielo
nero e ventoso.
Nel frattempo una moltitudine immensa
di uomini si dirige a nord, verso il confine. Decisi a raggiungere la città più
vicina, decisi a raggiungere la verità.
Da moltissimo entrambi gli eserciti
si trovavano tagliati fuori dal mondo, isolati dagli
stessi governi per cui combattevano. Una moltitudine di uomini, Gialli e Blu
insieme, si dirige a nord mentre il cielo preannuncia
un violento temporale.
Camminiamo per qualche ora, parlando
e ipotizzando le più diverse teoria. E poi accade
l'imprevisto.
Troviamo un ostacolo che non
riusciamo a spiegarci: una barriera invisibile e indistruttibile ci blocca.
Cerchiamo di abbatterla ma non riusciamo nemmeno a
scalfirla. Tentiamo di scavalcarla, ma la barriera non ha un'altezza che sia possibile superare. Proviamo ad aggirarla, ma ci
ritroviamo a camminare per molto tempo, fiancheggiando la parete invisibile che
ci rinchiudeva in quello che ora non e' più un campo di battaglia, ma un
immenso cimitero bagnato dalla pioggia e dalla macabra forma di un'arena.
Dopo aver percorso una lunga distanza
ci ritroviamo al punto di partenza: la barriera è in realtà un cerchio!
Un cerchio perfetto è la perfezione
divina. Ma in realtà, per noi, questo cerchio è l'inferno
Eravamo in trappola e non lo
sospettavamo nemmeno! Abbiamo vissuto per mesi in un campo di battaglia dal
quale non potevamo uscire. Ma da qualche parte siamo comunque entrati, giusto?
E da lì usciremo!
Ma non è così. Niente è mai come
sembra. Soprattutto in guerra dove tutto si trasforma e cambia col vento.
Migliaia di voci gridano al cielo
nero in tempesta, squarciato da nubi. Poi accade qualcosa di sorprendente:
tutto si blocca e si ferma.
Il tempo si annulla. La pioggia
rimane sospesa e immobile in aria, un lampo è paralizzato tra le nubi mentre il vento tace.
In un istante le nubi scompaiono e il
cielo si apre.
Una finestra sul mondo, credo.
C'è qualcuno al di là di quello che
sospettiamo essere una grande vetrata situata a centinaia di metri di altezza.
Soltanto ora mi accorgo di non aver mai visto aeroplani o uccelli volare,
nemmeno la notte quando tutto era la pace dei ricordi.
C'è qualcuno lassù nel cielo, figure
luminose che sembrano umani: figure a noi ignote sembrano scrutarci da altezze
a noi precluse.
Stupiti attendiamo un segno.
Qualsiasi segnale.
Ma non ci giunge nulla da quelli che
per un attimo abbiamo pensato essere angeli. Ma gli angeli brillano di una luce
che proviene dal loro cuore e non s'irradia luce benevola da quella misteriosa
vetrata.
E non sono nemmeno dei, perché non vi è amore nella loro presenza.
Migliaia di uomini in silenzio guardano
al cielo.
Al di là del vetro tra le nubi
vediamo cinque figure confabulare tra di loro.
Discutono, credo, ma non so cosa dicono.
Parlano di noi, questo è certo.
Poi smettono: uno di loro scuote la testa mentre un altro lascia la “stanza” in cui stava con
gli altri.
E in un istante siamo tutti a terra,
con le mani alle orecchie per proteggerci dal suono acuto e fastidioso che ci
tempesta l'anima. Un sibilo, orrendo e infinito. Il suono di mille pugnali che
lacerano il cuore. Vedo gli occhi di chi mi sta attorno. Vedo migliaia di
persone contorcesi all'unisono cercando di contrastare un dolore che non è
umano. Solo il sibilo nelle orecchie, e migliaia di urla insieme. E' il suono
della morte, lo sappiamo bene. Sento le lacrime calde della vita rigarmi il
volto….ripenso alla mia casa, alla mia famiglia…ai
miei amici…alla mia donna…Il cuore è fermo….il
cervello smette di pensare. E' la fine. La Fine!
E poi il Buio.
Anche oggi si combatte. I Blu
avanzano da Est mentre i Verdi continuano ad attaccarci
implacabili da nord. Fortunatamente i Gialli hanno subito pesanti perdite nelle
offensive dei giorni seguenti e stanno sulla difensiva, leccandosi le ferite,
preparando il loro prossimo attacco.
Dal quartier
generale ancora niente.
Mentre i Blu sparano ricarico il mio
fucile, al riparo, nella trincea che puzza di escrementi. Odori impietosi e
tremendi. Ma anche questi sono segni buoni del presente.
Se li senti, allora sei vivo.
Mentre preparo la mia arma per la
prossima raffica, Bob, il compagno che mi sta tenendo compagnia nella trincea,
parla della sua vita prima della guerra, della sua famiglia e della sua Lucy,
dai lunghi capelli biondi e di quello che le farà quando
tornerà a casa. La guerra la vinceremo noi, mi dice, non conquisteranno mai lo
Stato dei Rossi!
Non so se credergli o meno.
Ho il cuore a pezzi. E questo casco
rosso che porto sulla testa, come tutti d'altronde, è solo un peso.
Rimpiango l'aria, quella vera, quella
limpida e pura della mia città. Forse non sarà pura e perfetta, ma non odora
così tanto di sangue e di morte.
Appoggio la schiena alla parete della
trincea e guardo il cielo.
Solo lassù trovo il coraggio per
spegnere la mente e voltarmi contro i nemici e sparare e sparare senza curarmi
di loro e delle loro vite. Il cielo è limpido, senza nuvole, di un blu perfetto
che non ha niente a che vedere con il colore della mia anima, sporca e
macchiata del sangue di molti uomini.
Voglio tornare a casa….Se lassù c'è
un Dio, spero che metta fine a questa follia per sempre.
E poi non c'è più tempo, mi alzo e
apro il fuoco. E tutto si perde nel caos della guerra.
Fine?