Il paese sommerso
C'era una volta in Garfagnana,
un paesino di poche anime di nome Fabbriche di Careggine.
Così inizierebbe una fiaba, per portarci nel meraviglioso mondo della fantasia.
Ma qui non si tratta di una fiaba, anche se ha tutti gli ingredienti per
esserlo. Il paesino c'era e c'è ancora oggi, ma è sommerso dall'acqua. Se non
sei del posto e non conosci la sua storia, non potresti mai sapere o sospettare
della sua esistenza. E' un paesino medievale, e si trova ai piedi delle Alpi
Apuane a ridosso delle superbe pareti del Roccandagia
e del Sumbra, due vette importanti che toccano i 1700 metri, e forse, uno
dei due li supera. Fu fondato, a quanto ne sappiamo in pieno Medioevo, da una
colonia di fabbri provenienti dalla zona di Brescia che si erano trasferiti in
quella zona per la lavorazione del ferro. Nelle forre di quelle remote e
selvagge montagne scorreva e scorre ancora oggi l'Edron,
un tumultuoso torrente che veniva sfruttato per
azionare i magli di quegli antichi e rudi fabbri. Fitte foreste coprivano
quelle montagne e costituivano un' altra importante e
preziosa risorsa, il legname per alimentare il fuoco delle fucine. Acqua e
fuoco, i due primordiali elementi della Natura erano abbondanti e a
disposizione delle rozze e chiassose botteghe di quegli operosi adepti del dio
Vulcano, le cui fumanti fucine forgiavano e sfornavano zappe, vanghe, badili,
falci, e altri attrezzi agricoli molti richiesti nelle campagne a quei tempi,
riempiendo ogni giorno il paese e la valle dei vigorosi e assordanti colpi dei
magli.
A testimonianza e a riprova di ciò, esiste tutt'oggi
una località immediatamente a valle dell'attuale paesino sommerso che porta il
toponimo di Ferriera. L'attività fabbrile fu la
secolare risorsa economica del paese, ma è nel Settecento, secolo in cui fu
costruita la via Vandelli
che attraversava il centro del paese e congiungeva la Garfagnana,
"aspra e selvaggia", a Massa e a Modena, ad imprimergli il massimo
sviluppo. Ma via via che si consumava il declino di
quella antica strada, anche l'attività di quel paesino di fabbri si esaurì.
Poiché dovevavano campare e andare avanti, gli
antichi artigiani dell'arte febbrile, di quel minuscolo paese, ritornarono a
fare gli atavici mestieri di agricoltori e pastori, patendo molto spesso la
fame in quella terra poco ospitale e feconda per le attività agricole.
Agli inizi del Novecento, molti emigrarono verso l'Inghilterra, verso l'America
e anche verso la lontana Australia, seguendo un po' le orme di altri abitanti
dell'impervia Garfagnana, dando così origine alla
leggenda, che perfino Cristoforo Colombo quando arrivò nelle Americhe, vi trovò
un lucchese che vendeva statuine di gesso, in
ossequio ad un'altra gloriosa attività, quella della produzione di statuine di
gesso per i presepi, un tempo ampiamente diffuse in
quelle povere zone garfagnine. Gli altri pochi che
non se la sentirono di andare via, in cerca di fortuna per le strade del mondo,
tirarono avanti con la scoperta di una nuova risorsa, le cave di marmo del
bacino marmifero di Vagli. Ci fu conseguentemente una ripresa delle attività
produttive di quella martoriata zona. Per la lavorazione del marmo fu
opportunamente decisa la costruzione di una prima e piccola centrale elettrica
che portò ben presto il paese a godere di una rinascita economica, fino alla
meta del secolo scorso. Proprio in quegli anni a metà del Novecento, la società
dell'energia elettrica, che allora si chiamava Valdarno
decise di costruirvi un'imponente diga, alta quasi cento metri. Fu sbarrato il
corso del fiume Edron, e le persone che ancora vi
abitavano, circa 150 anime, furono costretti a malincuore a lasciare le loro
povere case di pietra ed evacuare il loro paesino, ai piedi delle verdi
montagne. In poco tempo l'acqua sommerse completamente il paese e la vallata,
formando il lago artificiale di Vagli. Ora il lago viene
svuotato per manutenzione circa ogni dieci anni. E' l'occasione buona per
essere visitato, ed infatti l'ultima volta che ciò
accadde, fu nel 1994, e l'evento richiamò un sorprendente afflusso di
visitatori. Lo visitai anch'io e fu davvero un'esperienza indicibile e
toccante, quasi magica. Era una calda e afosa giornata estiva in quella valle,
e ricordo che il sole e l'aridume avevano
crepato il fango che si era depositato dappertutto, dando a tutta la
zona un aspetto desertico e lunare. Le povera mura di
pietra locale delle case, di quel minuscolo paesino, seppur coi tetti
scoperchiati erano tutte in piedi, scarnificate, ed essenziali senza più porte
e finestre ma ricoperte di uno spesso strato di fango, che dava loro un color
terra con scalature dal beige al marroncino, a
secondo della loro esposizione al sole. Dappertutto sembrava regnasse un'aura
di magia, irreale, spettrale, al di fuori del tempo. Sembrava di essere in
mezzo a un sogno o forse ad un incubo. Vicino alla chiesetta con l'abside e il
campanile ancora intatti, incontrai un vecchietto, seduto sulla soglia della
porta di quella che doveva essere stata un tempo la sua casa, che aveva le
lacrime agli occhi.
Si vedeva da come guardava dentro quelle vuote stanze, seppur piene di luce
solare che filtrava piena dall'alto delle mura senza più tetto, che la sua
mente era tutta rivolta ai ricordi della sua vita legata a quel posto. Mi
soffermai e gli chiesi conferma, come avevo già capito, se fosse
stato un vecchio abitante di quel paese. Il vecchio, degnandomi del suo
mesto sguardo, in silenzio annuì. Compresi che non aveva
voglia di parlare, e subito lo salutai.
Mi parve di leggere nei suoi occhi e sul suo volto lo strazio di chi deve
rinunciare a vedere i propri ricordi, la casa, il paese, l'ambiente, i volti, i
sapori, gli odori, i colori dove nei suoi più giovani anni, chissà, aveva
vissuto le sue più intense emozioni e forse i suoi momenti di vita più belli
della sua vita. Sembrava il volto di un uomo a cui
erano venuti a mancare dei riferimenti, delle certezze e che si stava
trattenendo lì il più a lungo possibile per fare un pieno di gioia prima che
l'acqua ritornasse a coprire di nuovi i sui ricordi ed un pezzo della sua vita.