Area riservata

Ricerca  
 
Siti amici  
 
Cookies Policy  
 
Diritti d'autore  
 
Biografia  
 
Canti celtici  
 
Il cerchio infinito  
 
News  
 
Bell'Italia  
 
Poesie  
 
Racconti  
 
Scritti di altri autori  
 
Editoriali  
 
Recensioni  
 
Letteratura  
 
Freschi di stampa  
 
Intervista all'autore  
 
Libri e interviste  
 
Il mondo dell'editoria  
 
Fotografie  
 
 
  Poesie  Narrativa  Poesie in vernacolo  Narrativa in vernacolo  I maestri della poesia  Poesie di Natale  Racconti di Natale 

  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Cenere, di Francesco Jonus 27/01/2007
 

Cenere

 

Smise di pregare nell'istante in cui comprese di poter percepire il calore delle fiamme.

Alzò nuovamente lo sguardo, questa volta verso l'ultimo piano della scuola.

Era più che convinto che la bomba non fosse esplosa al contatto con il tetto, ma avesse continuato la discesa al piano sottostante, scoppiando solo all'interno delle quattro pareti di qualche aula.

Immaginava uno studente assonnato, un breve battito di ciglia ed poi un uovo di pece improvvisamente apparso attraverso una nuvola di polvere e calcinacci.

Fantasie che trovava disgustose, ma che era troppo stanco per scacciare lontano, in qualche angolo sinistro e sperduto.

Il battito sordo di un esplosione lo colpì violentemente, ma non abbastanza da scagliarlo verso terra; riuscì ad intravedere quel che rimaneva di un muretto, ancora ritto in cima all'edificio, frantumarsi e ricadere su uno strato ormai consolidato di sabbia e frammenti di vetro.

Aspettò ancora qualche secondo, poi si decise ad alzarsi in piedi.

Senza pensarci troppo, cercò di togliersi di dosso lo strato di fuliggine che si era posata ovunque, ma l'impresa gli parve subito impossibile.

Un uomo anziano sbucò fuori dalla vicina caffetteria e volse per un attimo il viso nella sua direzione.

Una lama di vetro era penetrata in profondità nella tempia e i pochi capelli del vecchio si erano incollati sulla ferita, inzuppandosi di sangue.

L'uomo rimase immobile, senza alzare neanche una mano a coprire la lacerazione, con il liquido che scendeva a rivoli a ricoprire la faccia e le pozze degli occhi, a scrutare il rogo che si innalzava verso il cielo.

Il calore aumentava progressivamente con l'andare dei minuti e attanagliava la poca pelle che ancora sentiva sul viso, ma neanche una lacrima di sudore si decise a scendere lungo quella buccia secca.

I primi soccorsi, nelle fragili forme di qualche anziano uscito dalla vicina casa di riposo, arrivarono quando ormai era tardi anche per salvare qualche brandello ancora degno di sepoltura, appena distinguibile da un ceppo carbonizzato.

Tuttavia, bastarono giusto pochi istanti e si vide circondato dalla gente del quartiere, che usciva dai rifugi guadagnati durante il bombardamento e veniva a cercare i figli meno fortunati.

Probabilmente, si disse, per non cedere allo sconforto, i padri che erano corsi in soccorso durante la pioggia devastatrice avevano semplicemente accorciato drasticamente la loro esistenza.

Il pensiero era ironico e non si sentì meglio.

Decise di non pensare più a niente.

Ascoltò la frenesia delle ambulanze, le travi più piccole che venivano rimosse, il vetro che esplodeva in altro vetro, come biglie lasciate fluire in una cascata sulla pelle incatramata di un insolito tamburo, in silenzio.

Non sentì la mano scendere sulla sua spalla.

- Sto bene, pensa ai ragazzi -, si accorse di aver mormorato, accorgendosi poi di aver detto un'idiozia, e si volse a guardare.

Aspettò qualche secondo, poi cominciò a parlare.

- Sai, me l'aspettavo, in un certo senso -, spiegò, come ad un vecchio amico, - Ero troppo felice, mi aspettavo qualcosa -

Si interruppe, cercando le parole, qualsiasi vocabolo che gli consentisse di esprimere le ceneri che si erano posate come neve sulla sua anima, togliendoli il respiro ed ogni energia.

- Una sorta di giusta compensazione -

Era così, in parte, ma purtroppo non era così semplice, intuitivo.

- Non c'è niente da capire -, rispose subito il proprietario della mano.

Le donne avevano iniziato a lamentarsi.

La pelle tesa e, a volte, macchiata delle mani era impressionante.

I pugni chiusi scendevano con forza sul petto e sembravano aggiungere un tono grave al pianto acuminato che trafiggeva le orecchie.

A volte si soffriva perché era richiesto dall'occasione, il funerale di un amico, ma questa volta la disperazione era genuina, non si diluiva in strilli volgari.

Chi stava peggio era in silenzio e gemeva in disparte.

- Strano, sento le fiamme, i suoni, ma sto cominciando a non sentire più quello che ho dentro -, continuò a spiegare alla figura alle sue spalle.

- A volte succede, più spesso di quel che credi -

Anche i padri piangevano, adesso.

- Non ho alcuna spiegazione -

Era una domanda che stava per fare, ma si accorse che non avrebbe avuto alcun senso, anche se ci fosse stata una minima traccia di significato.

Non aveva mai amato l'idea stessa di un'entità dal nome di destino e non avrebbe cominciato a crederci proprio adesso.

- Vuoi andare? -, chiese la voce alle sue spalle.

La scuola era ormai scomparsa, divorata dal fuoco.

Bruciavano solo le fondamenta e le braci che conteneva, briciole dell'edificio consumato.

- Gli altri? -

Nessuna risposta.

- Non vai anche tu? -, chiese nuovamente, indicando una coppia di coniugi, seduti al fianco di un corpo annerito.

Il torso senza gambe di un ragazzo.

La figura fece spallucce.

- Sei il primo che ho trovato, inutile avere fretta -

- Immagino che mi abituerò all'idea -

Si mise a camminare dietro la Morte, aveva deciso di chiamarla così, non trovando un termine migliore.

Non lasciavano alcuna traccia nella polvere.

- Devo fare qualcosa prima di partire? Sì, insomma, di andarmene -

- Vuoi vedere il tuo corpo? -

Non ci aveva pensato e l'idea gli parve insolitamente strana.

- Cosa resta? -

- Al più, qualche mucchietto sotto le macerie, ma dovremmo arrivarci prima del fuoco -

Forse era solo ironia, ma capì di aver perso ogni interesse a rivedere il suo vecchio involucro.

- No, fa lo stesso -

- Vuoi vedere amici o parenti? -

Adesso era sicuro che lo stesse prendendo in giro.

- Come? -

- Andiamo e li vedi, basta -

- Quindi, posso parlarci? -

- Certo che no -

- Allora niente -

Camminarono in silenzio fin fuori dalla piccola città, senza fretta, come aveva già spiegato la Morte.

Fermarono il passo su di un'altura che sovrastava le case poco lontane.

Da lì poteva scorgere senza difficoltà la colonna di fumo che si alzava verso il cielo, come molte altre scaturite da diversi edifici in fiamme.

Una cappa oscura sembrava minacciare i sopravvissuti al bombardamento.

- Ora che succede? -

- Aspettiamo che sopraggiunga la notte -

- Va bene, e poi? -

- Ripartiamo -

Pensò se fosse il caso di porre l'inevitabile ultima domanda.

- Posso chiedere verso dove? -

- No -

In realtà, fu sorpreso di constatare, non gli importava davvero dove sarebbe inevitabilmente terminato il loro viaggio.

Consciamente, voleva evitare ad ogni costo il silenzio.

Certe immagini ancora fresche, che neanche immerso nella sua nuova natura riusciva ad accettare, ritornavano con prepotenza.

Diapositive sgargianti che si libravano per pochi ma significativi attimi davanti agli occhi chiusi.

Tuttavia, non gli rimase che accettare la decisione della Morte.

Era già pomeriggio inoltrato, si disse, non avrebbe dovuto attendere a lungo.

Non gli rimase che scrutare verso la sua casa ferita, immaginarsi il lavoro dei soccorritori e dei pompieri, sempre che un'esplosione non avesse fatto crollare anche la loro caserma.

Cerco di non pensare a parenti ed amici, ma non fu sempre possibile.

L'oscurità calò presto, in tempo per vedere i fuochi ancora accesi tramutarsi in rubini pulsanti, intrappolati nella ragnatela di strade che costituiva la città.

La Morte si rialzò in piedi senza proferir parola e lo invitò con un gesto a seguirla.

Un pensiero, in particolare, l'aveva tormentato durante la sosta.

Desiderio maturato quando era ancora bambino.

Si avvicinò alla figura incappucciata.

- Sai, mi chiedevo, non è che potrei portare io la falce, dico, anche solo per un po'? -

 

 

 
©2006 ArteInsieme, « 014086690 »