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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Le mie origini di segatura, di Giuseppe Gambini 10/11/2016
 

Le mie origini di segatura

di Giuseppe Gambini



Non sono Pinocchio! Non dico e non ho mai detto bugie!… (Vocina interna: “Bugiardo!”)… ma come il famoso burattino sono anch’io nato dal legno, tra il legno! Tutta la mia infanzia, la mia fanciullezza e la mia giovinezza sono trascorse tra segatura e trucioli di legno, tra chiodi e viti, tra martelli e cacciaviti.

Mio nonno falegname, mio padre falegname, mio zio falegname… la falegnameria, attigua all’abitazione, formava con questa un solo edificio, una casetta a livello strada e per tetto una terrazza saracena. Fredda e umida d’inverno (riscaldata solo parzialmente dal classico braciere a legna, che una notte ci stava procurando anche un’intossicazione mortale), caldissima e soffocante d’estate, quando – pur tenendo tutte le porte aperte in certe giornate di luglio e agosto - non si avvertiva neppure un alito di vento.

Da ragazzo ho seguito mio padre spingendo il carretto per andare a comperare il legno grezzo, pezzi di tronco che poi la sua bravura provvedeva a tagliare, squadrare, sagomare, creare mobili. Non aveva la possibilità di permettersi un furgoncino; mio padre non ha voluto mai prendere la patente, eppure le capacità intellettive e motorie per farlo le aveva.

Quand’era ragazzo suo padre, mio nonno che già era falegname, pur “tenendolo a bottega” (come allora si diceva) lo aveva iscritto alla Scuola di disegno perché – a quei tempi – ogni bravo artigiano doveva saper scrivere, calcolare e disegnare per creare i mobili. Infatti mio padre, quando gli veniva commissionato (all’epoca era difficilissimo trovare un negozio di mobili già costruiti) una camera da letto, un armadio o una libreria faceva tutto da solo: dal progetto alla costruzione del prodotto finito.

Io lo seguivo, affascinato, in questo suo percorso: disegnava sul foglio di carta il mobile con tutti i suoi dettagli, con le viste laterali, frontali e prospettive varie (non aveva cataloghi già pronti da far vedere ai clienti: ogni mobile era un pezzo unico e raro!).

Poi dal disegno e con le misure del mobile passava al calcolo del fabbisogno di legno (“il calcolo del cubaggio” – diceva lui) necessario alla costruzione. Attraverso tantissime operazioni matematiche, che allora mi sembravano incomprensibili, e senza calcolatrici, perché a quei tempi non esistevano, riusciva a calcolare esattamente quanto legno doveva comperare occorrente alla costruzione di quel determinato mobile.

Mi portava con lui dal grossista del legno (da noi si chiamavano le “segherie”) e lì comperava enormi pezzi grezzi (a volte avevano ancora la corteccia del tronco) di faggio o di ciliegio, di noce o di tek, compensati e fogli di “impellicciatura” con i quali poi si rifinivano le parti esterne del mobile.

Una volta portati in bottega, attraverso le sue mani esperte e quelle di suo fratello, le assi di legno grezzo prendevano per incanto forme e misure come disegnate sul foglio di carta: la magia si compiva! La materia prima diventava prodotto finito e - rifinito, lucidato, intarsiato - diventava oggetto d'orgoglio da parte del cliente che rimaneva sempre ammirato e soddisfatto da questi piccoli capolavori.

Dopo tanti anni, tuttora, conosco alcuni di quei clienti di mio padre che possiedono ancora quei mobili e ne vanno orgogliosi; uno degli esempi che mi tocca personalmente è la camera da letto dei miei genitori che dopo 50 anni è ancora lì intera, senza tarli e lucida come quando è stata costruita da mio padre.

Nella bottega quante volte mi sono martellato le dita delle mani, mi sono unto con il grasso che si dava ai serramenti, pasticciato con la colla Vinavil mi sono punto con i chiodi o le viti, una volta mi sono persino conficcato la punta elicoidale di un trapano che mi era caduto dalle mani tra due dita del piede: ahi, che dolore! Quante volte mi sono ruzzolato tra la segatura e i trucioli prodotti dalla sega o dalla pialla elettrica, una macchina combinata che quando funzionava, con il suo infernale rumore, era una sofferenza per le orecchie di chi stava vicino; la polvere del legno, quel suo odore caratteristico a volte dolciastro a volte selvaggio, quell’odore di pino o di castano che tutti i giorni respiravo, attraverso le narici, mi si sono impressi nel cervello ed ancora oggi, a volte, lo risento, lo annuso nell’aria, anche se realmente non esiste, ma solo perché il suo ricordo mi è rimasto indelebile, dentro, nella mente e forse anche nel cuore.

Date queste premesse sarebbe stata una cosa normale e logica che da una generazione di falegnami la tradizione continuasse con noi figli, ma mio padre non ha mai voluto che noi continuassimo a fare il suo mestiere perché, diceva (non so se a torto o ragione), che non aveva futuro: per lui esisteva solo l’artigianato che purtroppo – sempre secondo il suo dire – prima o poi sarebbe morto e scomparso con l’avvento dell’enorme industrializzazione del settore del mobile e dell’arredo.

E così ha fatto studiare me e i mie fratelli per raggiungere altri obiettivi: io mi sono diplomato in elettrotecnica ma in vita mia non ho mai fatto un impianto elettrico (a volte mi capita di sostituire una lampadina fulminata: almeno questo riesco a farlo, altrimenti a cosa sono serviti cinque anni di studio per il diploma!), ho fatto il programmatore informatico, ho fatto l’analista, ho fatto il sistemista, ho lavorato nel settore dell’industria e in quello del commercio, ho gestito le paghe e fatto gestione del personale, ho studiato e mi sono documentato sui problemi contabili e finanziari, ho letto e leggo tantissimo qualsiasi genere letterario, mi piace scrivere poesie e piccoli racconti, ho scritto persino una sceneggiatura per un saggio di danza, ho fatto e faccio l’attore e il regista teatrale, per la grande passione che ho verso il Teatro, da oltre cinquant'anni … insomma nella mia vita sono passato attraverso tantissime esperienze lavorative diversificate, ma alla fine – ironia della sorte – mi sono ritrovato per puro caso e con mia somma soddisfazione a chiudere la mia vita lavorativa… dove?… in FEDERLEGNO, che associa tutte le filiere legate al mondo del legno!

Se pure simbolicamente sono rientrato nella bottega di mio padre, a respirare quell’odore e quel profumo del legno che ha accompagnato la mia gioventù, con la sua polvere fatta di segatura, con i fantasiosi coriandoli fatti con i suoi trucioli.



È PROPRIO VERO! IL PRIMO AMORE NON SI DIMENTICA MAI!

 
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