Le
mie origini di segatura
di
Giuseppe Gambini
Non
sono Pinocchio! Non dico e non ho mai detto bugie!… (Vocina
interna: “Bugiardo!”)…
ma come il famoso burattino sono anch’io nato dal legno, tra il
legno! Tutta la mia infanzia, la mia fanciullezza e la mia giovinezza
sono trascorse tra segatura e trucioli di legno, tra chiodi e viti,
tra martelli e cacciaviti.
Mio
nonno falegname, mio padre falegname, mio zio falegname… la
falegnameria, attigua all’abitazione, formava con questa un
solo edificio, una casetta a livello strada e per tetto una terrazza
saracena. Fredda e umida d’inverno (riscaldata solo
parzialmente dal classico braciere a legna, che una notte ci stava
procurando anche un’intossicazione mortale), caldissima e
soffocante d’estate, quando – pur tenendo tutte le porte
aperte in certe giornate di luglio e agosto - non si avvertiva
neppure un alito di vento.
Da
ragazzo ho seguito mio padre spingendo il carretto per andare a
comperare il legno grezzo, pezzi di tronco che poi la sua bravura
provvedeva a tagliare, squadrare, sagomare, creare mobili. Non aveva
la possibilità di permettersi un furgoncino; mio padre non ha
voluto mai prendere la patente, eppure le capacità
intellettive e motorie per farlo le aveva.
Quand’era
ragazzo suo padre, mio nonno che già era falegname, pur
“tenendolo a bottega” (come allora si diceva) lo aveva
iscritto alla Scuola di disegno perché – a quei tempi –
ogni bravo artigiano doveva saper scrivere, calcolare e disegnare per
creare i mobili. Infatti mio padre, quando gli veniva commissionato
(all’epoca era difficilissimo trovare un negozio di mobili già
costruiti) una camera da letto, un armadio o una libreria faceva
tutto da solo: dal progetto alla costruzione del prodotto finito.
Io
lo seguivo, affascinato, in questo suo percorso: disegnava sul foglio
di carta il mobile con tutti i suoi dettagli, con le viste laterali,
frontali e prospettive varie (non aveva cataloghi già pronti
da far vedere ai clienti: ogni mobile era un pezzo unico e raro!).
Poi
dal disegno e con le misure del mobile passava al calcolo del
fabbisogno di legno (“il calcolo del cubaggio” –
diceva lui) necessario alla costruzione. Attraverso tantissime
operazioni matematiche, che allora mi sembravano incomprensibili, e
senza calcolatrici, perché a quei tempi non esistevano,
riusciva a calcolare esattamente quanto legno doveva comperare
occorrente alla costruzione di quel determinato mobile.
Mi
portava con lui dal grossista del legno (da noi si chiamavano le
“segherie”) e lì comperava enormi pezzi grezzi (a
volte avevano ancora la corteccia del tronco) di faggio o di
ciliegio, di noce o di tek, compensati e fogli di “impellicciatura”
con i quali poi si rifinivano le parti esterne del mobile.
Una
volta portati in bottega, attraverso le sue mani esperte e quelle di
suo fratello, le assi di legno grezzo prendevano per incanto forme e
misure come disegnate sul foglio di carta: la magia si compiva! La
materia prima diventava prodotto finito e - rifinito, lucidato,
intarsiato - diventava oggetto d'orgoglio da parte del cliente che
rimaneva sempre ammirato e soddisfatto da questi piccoli capolavori.
Dopo
tanti anni, tuttora, conosco alcuni di quei clienti di mio padre che
possiedono ancora quei mobili e ne vanno orgogliosi; uno degli esempi
che mi tocca personalmente è la camera da letto dei miei
genitori che dopo 50 anni è ancora lì intera, senza
tarli e lucida come quando è stata costruita da mio padre.
Nella
bottega quante volte mi sono martellato le dita delle mani, mi sono
unto con il grasso che si dava ai serramenti, pasticciato con la
colla Vinavil mi
sono punto con i chiodi o le viti, una volta mi sono persino
conficcato la punta elicoidale di un trapano che mi era caduto dalle
mani tra due dita del piede: ahi, che dolore! Quante volte mi sono
ruzzolato tra la segatura e i trucioli prodotti dalla sega o dalla
pialla elettrica, una macchina combinata che quando funzionava, con
il suo infernale rumore, era una sofferenza per le orecchie di chi
stava vicino; la polvere del legno, quel suo odore caratteristico a
volte dolciastro a volte selvaggio, quell’odore di pino o di
castano che tutti i giorni respiravo, attraverso le narici, mi si
sono impressi nel cervello ed ancora oggi, a volte, lo risento, lo
annuso nell’aria, anche se realmente non esiste, ma solo perché
il suo ricordo mi è rimasto indelebile, dentro, nella mente e
forse anche nel cuore.
Date
queste premesse sarebbe stata una cosa normale e logica che da una
generazione di falegnami la tradizione continuasse con noi figli, ma
mio padre non ha mai voluto che noi continuassimo a fare il suo
mestiere perché, diceva (non so se a torto o ragione), che non
aveva futuro: per lui esisteva solo l’artigianato che purtroppo
– sempre secondo il suo dire – prima o poi sarebbe morto
e scomparso con l’avvento dell’enorme industrializzazione
del settore del mobile e dell’arredo.
E
così ha fatto studiare me e i mie fratelli per raggiungere
altri obiettivi: io mi sono diplomato in elettrotecnica ma in vita
mia non ho mai fatto un impianto elettrico (a volte mi capita di
sostituire una lampadina fulminata: almeno questo riesco a farlo,
altrimenti a cosa sono serviti cinque anni di studio per il
diploma!), ho fatto il programmatore informatico, ho fatto
l’analista, ho fatto il sistemista, ho lavorato nel settore
dell’industria e in quello del commercio, ho gestito le paghe e
fatto gestione del personale, ho studiato e mi sono documentato sui
problemi contabili e finanziari, ho letto e leggo tantissimo
qualsiasi genere letterario, mi piace scrivere poesie e piccoli
racconti, ho scritto persino una sceneggiatura per un saggio di
danza, ho fatto e faccio l’attore e il regista teatrale, per la
grande passione che ho verso il Teatro, da oltre cinquant'anni …
insomma nella mia vita sono passato attraverso tantissime esperienze
lavorative diversificate, ma alla fine – ironia della sorte –
mi sono ritrovato per puro caso e con mia somma soddisfazione a
chiudere la mia vita lavorativa… dove?… in FEDERLEGNO,
che associa tutte le filiere legate al mondo del legno!
Se
pure simbolicamente sono rientrato nella bottega di mio padre, a
respirare quell’odore e quel profumo del legno che ha
accompagnato la mia gioventù, con la sua polvere fatta di
segatura, con i fantasiosi coriandoli fatti con i suoi trucioli.
È
PROPRIO VERO! IL PRIMO AMORE NON SI DIMENTICA MAI!
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