ILLUSIONE
D'APOCALISSE – La
Bassa, Polo della pattumiera?
17 gennaio 2007
Ho scritto questo racconto perché credo sia
importante riflettere su quanto sta accadendo nella Bassa. Perché credo che
l'impianto di gas che l'Independent vuole realizzare
a Rivara, come del resto gli altri progetti in
programma (l'inceneritore, non compreso nel Piano della Provincia di Modena e
la Cispadana – dei tre progetti, forse il più accettabile) non devono scatenare
isterismi collettivi, né devono, d'altra parte, danneggiare l'ambiente e le
persone. Prima di tutto, bisogna pensare a cosa vogliamo lasciare agli uomini e
alle donne che verranno dopo di noi. Perché il mondo è anche il futuro ed è
anche la gente che verrà.
Roberta De Tomi
Alzo gli
occhi verso la rosa di fiamma che sboccia sull'arrogante stelo, scettro di
trionfo di una falsa divinità auto-elettasi. È una corolla che continuamente si
dischiude verso quell'infinito senza colore. Quel
cielo, come un fiume in piena, ha inondato tutto ciò che ora non vedo più
intorno a me, deserto di terra e smog, che ha bandito i colori della primavera.
Restano solo quelli dei quattro capannoni, ruggenti come leoni, strappati dalla
savana che li fa andare fieri della criniera folta e dorata. Intanto il fuoco
di fiamma si drizza in una danza eterna, certa che nemmeno un uragano sarebbe riuscita a soffiarla via di là.
Il mio sguardo si muove come l'obbiettivo di una cinepresa
neorealistica, e dopo essersi spostata, filma quella cappa che ammorba l'aria
già pesante. Lì vengono ridotti in cenere i rifiuti
che nessuno ha voluto riciclare. Del resto è un'operazione troppo faticosa.
Meglio bruciarli, riducendoli in neri brandelli dispersi e maciullati dal
vento. Meglio l'esalazione calda e avvolgente che trasformava il sole in un
pallido piattino rilucente.
Mi muovo nello spazio, a occhi chiusi, nella speranza che,
riaprendoli, quello scenario scompaia, per lasciare il posto al barbaglio rosso
di un campo di papaveri, rubini appuntati al petto di un'estate rutilante.
I miei sforzi, però, sono inutili. Devo cercare dentro di
me il mondo che non è più .
“Lei è solo un venditore di fumo. Come quegli altri che
parlano.”
Il giornalista fu apostrofato dal passante, un
settantacinquenne rinvigorito dall'elisir di giovinezza della rabbia. Un
rimedio perfetto, un perfetto energizzante,
soprattutto quando si trattadi dovere affrontare
delle battaglie.
“Ma, signore...” cercò di giustificarsi.
“Signore un corno! – continuò l'altro – Lei e tutti quelli
che scrive sui giornali... Dicete
sempre la verità, vero?”
Voleva dire scrivono e dite
ma certe regole grammaticali erano rimaste imprigionate in quella
licenza elementare ingiallita da semine e raccolte, zolle rivoltate e rami
potati… Il giornalista non sapeva opporgli la sua diplomatica loquela di
dottore, anzi, si era lasciato prevaricare dalla grezza aggressione dell'uomo.
“Signore, io non so cosa dirle... Io ho solo fatto il mio
lavoro... Ho cercato di farlo...”
“Lavoro? Il suo è un lavoro? Se è utile, allora ci aiutava
tutti, e risolvevamo il problema e non sarà stato realizzato quel cavolo
d'impianto di stoccaggio di… di…gas! E invece adesso la nostra terra sarà
rovinata! Tutti siamo rovinati!”
Sembrava che coniugasse male, apposta, i verbi; ma anche
senza esprimersi correttamente, aveva fatto recepire il suo messaggio, chiaro e
tondo.
“Signore – il dottore invocò il suo nome, come uno schiavo
prostrato ai piedi del suo sovrano – io dovevo soltanto raccogliere le notizie
per informare voi lettori. Ho cercato di restituirvi la verità con le parole...
di più non sono riuscito a fare!”
“E allora? Cosa vuol dire? Chi ci restituirà la nostra
vita? Chi ci ridarà la nostra terra?”
“La verità, ho cercato di dirvi la verità!”
“La verità? – l'uomo si fece rosso in viso e si alzò sulle
punte dei piedi, cercando di ergersi al di sopra dell'altro, per umiliarlo – Macchè verità? Voi dite quello che vi pare a voi! Ecco cosa dite!”
Il giornalista alzò il tono e, a sua volta, cercò di
ergersi oltre la sua statura.
“Cosa crede? Anch'io ho una famiglia e mi preoccupo per il
futuro dei miei figli!”
“Certo, certo. Ma mi facci il piacere!”
Il giornalista scivolò dallo specchio che il vecchio aveva
interposto tra loro. Mai, una caduta, gli aveva fatto così male!
L'ometto fece per allontanarsi, ma prima di abbandonare il
campo di battaglia si voltò verso di lui, sentenziando: “Fortuna che mi restano
pochi anni da vivere... Poi ve la sbrigate voi giovani
con l'inquinamento. A me non mi interessa,
intanto, in quegli anni io sarò bell'é che sepolto!”
Gracchiò tutto il cinismo che aveva in corpo, poi se ne
andò, sempre borbottando per la rabbia e imprecando contro chi
aveva permesso lo scempio. Aveva mentito riguardo al futuro: in realtà, anche a
lui gliene importava, malgrado già intravedesse il
traguardo di una vita che ogni giorno si accorciava sempre più. Si accorciava,
anche per lui, pensò il trentottenne, anche se a lui sembrava di avere da poco
abbandonato lo start. E infatti, quel traguardo era praticamente invisibile.
Sconfortato, si batté le mani sulla fronte e ripensò a
tutta la faccenda. Alle liti, alle assemblee, agli appelli delle persone che
chiedevano giustizia, alle contese politiche, ai loschi individui che quotavano
in borsa un'azienda di cui sarebbe contato più il futuro. Pensò ai tumori, la
cui diffusione avrebbe avuto un'impennata, a causa dell'inquinamento. Pensò a
quella terra, che faceva parte della sua terra e che quindi, in un certo senso,
sentiva di dover proteggere. E pensò alla sconfitta, malgrado
la lotta, malgrado l'obiettività recitata sulle pagine dei giornali, che in
realtà lasciava echeggiare il suo no.
Tornò alla realtà, e allora vide la giovane attivista dai
capelli rossi, arruffati come la sua vita.
“Ilaria?”
Visto che non l'aveva sentito, le appoggiò la mano sulla
spalla, e lei si voltò. Prima lo guardò, poi rispose con la sua voce
sorridente: “Marco? Ciao!”
“Ciao, Ilaria, come va?”
Avrebbe voluto dire “Tutto ok!”, ma era difficile,
pronunciare quella frase, paravento della tristezza dell'anima. Tuttavia lo
disse: “Tutto ok!”
Era la ragazza che si era tanto mobilitata per il caso.
Quella che aveva rotto le scatole a redazioni di giornali, televisioni e
radio, che aveva sostenuto l'azione dei Comitati cittadini con continui
appelli, e che aveva tappezzato di messaggi, blog e siti. Era la ragazza che
conosceva persone cui raccontava quello che doveva essere realizzato nella
Bassa, per poi convincerle (obbligarle) a firmare per la non realizzazione del
progetto. No all'impianto di stoccaggio. No all'inceneritore. Cispadana? Ma la
realizzeranno? Mah!
La stessa ragazza lo apostrofò con ironica, abbattuta
allegria.
“Dottor Marco Carletti, perché
quella faccia?”
Lo straordinario di lei, era che continuava a sorridere. Malgrado la vittoria del Dio-denaro
sul Dio- persone. Malgrado il futuro si stagliasse in
tutta la sua incerta, pericolante consistenza. Malgrado i pianti di quei bambini non ancora nati,
uomini futuri che chiedevano: “E a me, cosa lasciate?”.
Ormai, tutto era fatto. Le trame politiche si erano
composte in orditi perfetti. Ciascuno se n'era tornato a casa con la sua fetta
di notorietà e qualche soldino in più in tasca, mentre i quattro capannoni per
produrre gas, per un fatturato a più zeri-euro
venivano progettati, insieme al brucia-rifiuti.
Un'altra comoda soluzione, per evitare di dare alla Madre Creatrice il tributo ratealizzato della raccolta differenziata, o di altri
stratagemmi troppo scomodi per gli uomini rincoglioniti dall'high-tech.
“Giornata di... – Ilaria alzò la scarpa e indicò il regalo
della mattina, poi strisciò il piede sull'erba del ritaglio di verde ricavato
nella piazza per pulirsi – Cadeau di prima mattina!
Wow!”
Marco si sentì proprio come quel frammento di materia
organica. Soprattutto adesso che oltre alla credibilità, aveva perso il proprio
futuro, come altre migliaia di persone.
Ilaria gli batté sulla spalla e cercò di tirare su il
morale, andato a raso terra.
“Finché c'è vita, c'é speranza!”
“Se ci sarà vita!” sospirò lui.
La ragazza scosse i bei capelli, poi sedé sulla panchina,
come esausta.
“Non posso darti torto. Però... – scattò immediatamente,
sorprendendolo come sempre, e lo afferrò per il braccio – Su, andiamo!”
Lo trascinò in un bar, dove bevvero caffé
a mangiarono un croissant alla marmellata, dolce come i pensieri che avrebbero
voluto pensare. E intanto, il progetto veniva
abbozzato e poi realizzato sotto gli occhi di tutti: del vecchio cinico, di
Marco e Ilaria, che avrebbero continuato a lavorare per la verità, del bambino
finalmente nato e condannato dalle statistiche dell'Asl,
della gente comune, vittima dei giochi potere, delle Autorità, uomini e donne
soggiogate al circolo della burocrazia alienante e anti-vitale, degli
industriali, dalle sempre-rosee
previsioni.
Mi alzo dal terreno nudo esalante vapori e umidità.
Intorno a me, il paesaggio ha acquisito un nuovo aspetto, grazie al velo che la
Bassa usa per nascondersi agli occhi di indiscreti spettatori. Sopra di me i
rami nudi spargono gocce che cadono tra le mie ciglia, riversandosi a terra come
lacrime distillate dalla tristezza. Un brivido mi fa tremare, malgrado il giaccone anti-gelo, stratificazioni di piume e
nylon che, tuttavia, lasciano penetrare il brivido. Lo assaporo in tutta la sua
intensità, insieme al canto della cornacchia, accapponante come lo
stridio delle unghie sulla lavagna.
Poi, sento una goccia, poi un'altra e un'altra ancora.
Cadono su di me, fanno cadere il velo della dolce ancella, che si mostra in
tutta la sua bellezza novembrina. Non ci sono più né i quattro leoni ruggenti,
né la fiamma eterna, né la cappa. Le polemiche, le
trame politiche, le proteste, gli arraffoni che si
fregano le mani per l'affare dell'anno: tutti spariti. Al loro posto,
l'orizzonte cosparso di una tenue bruma, e l'acqua che mi scroscia addosso, profumandomi
dell'essenza dell'autunno. Pioggia che non cancella le tracce del ricordo delle
stagioni più belle, quando la luce, rimbalzando sui campi in
attesa della mietitura, raggiunge il suo apice.
Ho visto l'Apocalisse che era illusione di un Poeta senza
sesso né nome, essere indefinito che vive prima di tutto di carne e di anima.
Che vive e vuole vivere, prima di tutto, di vita.