Il
fiume della vita
di
Marina Pasqualini
Non
avrebbe mai pensato che un libro avrebbe potuto salvarle la vita, e
invece era successo. E in particolare una frase, che era poi il succo
di tutta la narrazione.
Lei
era una persona ansiosa e problematica. Era anche profondamente
convinta di non aver ricevuto, da piccolissima, l’amore
necessario per crescere in armonia, da parte di sua madre. Credeva
che fosse come costruire una casa, trascurando la solidità
delle fondamenta. Questo vuoto interiore lo aveva sempre riempito con
il cibo, in particolare quello a base di zuccheri.
Ora
si era incamminata sul cosiddetto ‘viale del tramonto’ e
la situazione era pressochè inalterata. Alternava coliche a
sensi di colpa e reiterava il misfatto ogni volta. Poi le era
capitato di avere tra le mani quel libro, quello di Siddharta. Anche
lui, tutta la vita, la aveva trascorsa a cercarne il senso più
profondo, attraversando ogni tipo di esperienza, anche le più
dure, che comprendevano privazioni e digiuni, viaggi all’esterno
e all’interno di sé.
E
poi quella frase, nel momento della folgorazione: ‘…La
sua ferita fioriva, il suo dolore spandeva raggi, mentre il suo IO
confluiva nell’Unità..In quell’ora Siddharta cessò
di lottare contro il destino, in quell’ora cessò di
soffrire. Sul suo volto fioriva la serenità del sapere, cui
più non contrasta alcuna volontà, il sapere che conosce
la perfezione, che è in accordo con il fiume del divenire, con
la corrente della vita, un sapere che è pieno di compassione e
di simpatia, docile al flusso degli eventi, aderente all’Unità.’
La
sua, invece, era stata una vita vissuta in maniera contraria a queste
affermazioni. Era stato come quella volta che aveva spinto
l’automobile in panne di una persona, che aveva dimenticato il
freno a mano tirato. O come quando, in occasione di una patologia di
uno dei suoi figli, aveva passato anni a trasalire ogni qualvolta il
telefono suonava, prefigurandosi catastrofi, mai avvenute.
E
aveva cercato pace e delizia nel preparare, addentare e gustare cibi
dolci. Che poi, inevitabilmente, l’avevano lasciata peggio di
prima. Con i sensi di colpa che erano stati la colonna sonora della
sua vita. Una vita bella, ora che la guardava da questa prospettiva,
ma resa faticosissima dal suo approccio alla stessa. E se ne
dispiaceva, ma quel che era fatto era fatto.
Ora,
quel libro…la esortava ad arrendersi, a navigare il fiume
della sua vita seguendo la corrente, non più nuotandovi
contro. Ed era una sensazione bellissima, quella di lasciarsi andare
al corso degli eventi, senza immaginarseli e soffrirne anzitempo.
Anche il sacerdote, una domenica, durante l’omelia, aveva
detto: ‘Lasciate un po’ fare anche a Dio’.
Affidatevi, dunque. ‘Perché avete paura, uomini di poca
fede’ aveva rincarato Gesù nel Vangelo. Che bello
potersi lasciare un po’ andare..
Le
faceva tenerezza la bambina che era stata: se la vedeva in colonia,
triste e nostalgica, che contava i giorni che la separavano dal suo
ritorno a casa. O a scuola, sempre la prima della classe, perché
forse così si sarebbe sentita brava e quindi degna di nota. Al
contrario, sua madre la apostrofava con un’Brava’
fuggevole, mentre elargiva complimenti al fratello, quando prendeva
un voto in più dell’insufficienza.
E
poi adolescente, piena di complessi, che si sarebbe portata per il
resto della sua vita: un sentirsi sempre poco adeguata, in qualsiasi
circostanza. Poi aveva avuto tre figli, che ora erano belle persone,
oltre che tutti laureati. Qualcosa di buono aveva combinato, avrebbe
potuto morire serena. O forse avrebbe potuto vivere a pieno titolo
una vita finalmente ricca ed emozionante. E si dedicò alla
scrittura, che capì essere la sua più grande passione.
In
fondo l’uomo, da sempre, aveva comunicato ai posteri le proprie
esperienze, con la scrittura, ed aveva contemporaneamente attinto a
quelle degli altri, con la lettura. Aveva trovato consolazione nelle
esperienze di altri, accomunandole alle sue e aveva lanciato qualche
messaggio al fine di agevolare le vite di chi sarebbe venuto dopo di
lui. In una sorta di catena. La comunicazione vera è quanto di
più utile possa esserci per l’uomo. Il sapere di non
essere l’unico a soffrire, anzi, può persino portarlo a
dimenticare se stesso e rivolgere lo sguardo altrove.
Era
come quella persona che era andata a Lourdes per chiedere la grazia e
poi aveva desistito, esortando il Signore a concedere, invece, quella
stessa grazia a qualcun altro, ben più bisognoso di lui.
Ma
c’era un altro libro che le salvava la vita, un po’ al
giorno. Lo aveva messo sul suo comodino, lo aveva letto tutto e ogni
tanto lo apriva a caso: era il Vangelo. Era il libro delle ‘regole’
di una degna e buona vita terrena adatto a tutti, credenti e non
credenti. Parlava di carità, umiltà e solidarietà,
cioè amore. Era un libro che rivoluzionava le nostre certezze,
i nostri stereotipi. Le parabole, a volte, ci stupivano, anche in
negativo. Come quella del padrone del campo che aveva promesso, e poi
elargito, la stessa paga a chi aveva lavorato otto, cinque e due ore.
La protesta che saliva dai primi ricalcava quella di noi lettori,
abituati a vivere di convinzioni radicate: ‘Non è
giusto!’ era la voce unanime, ma il padrone del campo aveva
risposto: ‘Non ho forse mantenuto le mie promesse? A voi che
importa come utilizzo io il mio denaro?
C’era,
in questo libro, l’esortazione latente a non giudicare, ma a
guardarsi dentro con l’obiettivo di migliorarsi, giorno dopo
giorno, esperienza dopo esperienza.
C’era,
costante, un’esortazione alla conversione del cuore, che
avrebbe sicuramente portato al miglioramento delle relazioni umane, a
macchia d’olio, nell’intero pianeta.
Erano
duemila anni che si predicavano questi concetti, ma i miglioramenti
erano più lenti di una lumaca. Pazienza, la perseveranza
avrebbe portato a degli ottimi risultati.
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