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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Il fiume della vita, di Marina Pasqualini 14/02/2017
 

Il fiume della vita

di Marina Pasqualini




Non avrebbe mai pensato che un libro avrebbe potuto salvarle la vita, e invece era successo. E in particolare una frase, che era poi il succo di tutta la narrazione.

Lei era una persona ansiosa e problematica. Era anche profondamente convinta di non aver ricevuto, da piccolissima, l’amore necessario per crescere in armonia, da parte di sua madre. Credeva che fosse come costruire una casa, trascurando la solidità delle fondamenta. Questo vuoto interiore lo aveva sempre riempito con il cibo, in particolare quello a base di zuccheri.

Ora si era incamminata sul cosiddetto ‘viale del tramonto’ e la situazione era pressochè inalterata. Alternava coliche a sensi di colpa e reiterava il misfatto ogni volta. Poi le era capitato di avere tra le mani quel libro, quello di Siddharta. Anche lui, tutta la vita, la aveva trascorsa a cercarne il senso più profondo, attraversando ogni tipo di esperienza, anche le più dure, che comprendevano privazioni e digiuni, viaggi all’esterno e all’interno di sé.

E poi quella frase, nel momento della folgorazione: ‘…La sua ferita fioriva, il suo dolore spandeva raggi, mentre il suo IO confluiva nell’Unità..In quell’ora Siddharta cessò di lottare contro il destino, in quell’ora cessò di soffrire. Sul suo volto fioriva la serenità del sapere, cui più non contrasta alcuna volontà, il sapere che conosce la perfezione, che è in accordo con il fiume del divenire, con la corrente della vita, un sapere che è pieno di compassione e di simpatia, docile al flusso degli eventi, aderente all’Unità.’

La sua, invece, era stata una vita vissuta in maniera contraria a queste affermazioni. Era stato come quella volta che aveva spinto l’automobile in panne di una persona, che aveva dimenticato il freno a mano tirato. O come quando, in occasione di una patologia di uno dei suoi figli, aveva passato anni a trasalire ogni qualvolta il telefono suonava, prefigurandosi catastrofi, mai avvenute.

E aveva cercato pace e delizia nel preparare, addentare e gustare cibi dolci. Che poi, inevitabilmente, l’avevano lasciata peggio di prima. Con i sensi di colpa che erano stati la colonna sonora della sua vita. Una vita bella, ora che la guardava da questa prospettiva, ma resa faticosissima dal suo approccio alla stessa. E se ne dispiaceva, ma quel che era fatto era fatto.

Ora, quel libro…la esortava ad arrendersi, a navigare il fiume della sua vita seguendo la corrente, non più nuotandovi contro. Ed era una sensazione bellissima, quella di lasciarsi andare al corso degli eventi, senza immaginarseli e soffrirne anzitempo. Anche il sacerdote, una domenica, durante l’omelia, aveva detto: ‘Lasciate un po’ fare anche a Dio’. Affidatevi, dunque. ‘Perché avete paura, uomini di poca fede’ aveva rincarato Gesù nel Vangelo. Che bello potersi lasciare un po’ andare..

Le faceva tenerezza la bambina che era stata: se la vedeva in colonia, triste e nostalgica, che contava i giorni che la separavano dal suo ritorno a casa. O a scuola, sempre la prima della classe, perché forse così si sarebbe sentita brava e quindi degna di nota. Al contrario, sua madre la apostrofava con un’Brava’ fuggevole, mentre elargiva complimenti al fratello, quando prendeva un voto in più dell’insufficienza.

E poi adolescente, piena di complessi, che si sarebbe portata per il resto della sua vita: un sentirsi sempre poco adeguata, in qualsiasi circostanza. Poi aveva avuto tre figli, che ora erano belle persone, oltre che tutti laureati. Qualcosa di buono aveva combinato, avrebbe potuto morire serena. O forse avrebbe potuto vivere a pieno titolo una vita finalmente ricca ed emozionante. E si dedicò alla scrittura, che capì essere la sua più grande passione.

In fondo l’uomo, da sempre, aveva comunicato ai posteri le proprie esperienze, con la scrittura, ed aveva contemporaneamente attinto a quelle degli altri, con la lettura. Aveva trovato consolazione nelle esperienze di altri, accomunandole alle sue e aveva lanciato qualche messaggio al fine di agevolare le vite di chi sarebbe venuto dopo di lui. In una sorta di catena. La comunicazione vera è quanto di più utile possa esserci per l’uomo. Il sapere di non essere l’unico a soffrire, anzi, può persino portarlo a dimenticare se stesso e rivolgere lo sguardo altrove.

Era come quella persona che era andata a Lourdes per chiedere la grazia e poi aveva desistito, esortando il Signore a concedere, invece, quella stessa grazia a qualcun altro, ben più bisognoso di lui.

Ma c’era un altro libro che le salvava la vita, un po’ al giorno. Lo aveva messo sul suo comodino, lo aveva letto tutto e ogni tanto lo apriva a caso: era il Vangelo. Era il libro delle ‘regole’ di una degna e buona vita terrena adatto a tutti, credenti e non credenti. Parlava di carità, umiltà e solidarietà, cioè amore. Era un libro che rivoluzionava le nostre certezze, i nostri stereotipi. Le parabole, a volte, ci stupivano, anche in negativo. Come quella del padrone del campo che aveva promesso, e poi elargito, la stessa paga a chi aveva lavorato otto, cinque e due ore. La protesta che saliva dai primi ricalcava quella di noi lettori, abituati a vivere di convinzioni radicate: ‘Non è giusto!’ era la voce unanime, ma il padrone del campo aveva risposto: ‘Non ho forse mantenuto le mie promesse? A voi che importa come utilizzo io il mio denaro?

C’era, in questo libro, l’esortazione latente a non giudicare, ma a guardarsi dentro con l’obiettivo di migliorarsi, giorno dopo giorno, esperienza dopo esperienza.

C’era, costante, un’esortazione alla conversione del cuore, che avrebbe sicuramente portato al miglioramento delle relazioni umane, a macchia d’olio, nell’intero pianeta.

Erano duemila anni che si predicavano questi concetti, ma i miglioramenti erano più lenti di una lumaca. Pazienza, la perseveranza avrebbe portato a degli ottimi risultati.

 
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