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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Se lo ami lo lasci, di Marina Pasqualini 06/03/2017
 

Se lo ami lo lasci

di Marina Pasqualini




L’aereo sfrecciava nella notte sopra il vecchio continente. Lei, la madre, stava accompagnando il figlio a sposarsi, il suo unico figlio. E lì sarebbe rimasto, oltre gli Urali, a vivere con lei, la sua amata sposa. Furtivamente guardò il suo profilo, quasi a volerlo imprimere per sempre nella sua memoria. Certo, lui sarebbe tornato, qualche volta, a trovare la madre, magari insieme a qualche figlioletto. Stava andando ed edificare una nuova famiglia, ed era giusto così. E’ nella natura delle cose che i figli se ne vadano. Sorrise tra sé, incitandosi ad essere forte, ad essere realista. Ma il suo cuore piangeva: avrebbe voluto farlo tornare con lei, avrebbe desiderato che lui le dicesse che no, era un errore, non se ne fa niente. Ma sapeva di mentire a se stessa. L’aereo atterrò, e si ritrovarono a respirare l’aria di quel paese straniero, con i suoi odori particolari, quasi fosse una persona. Salirono sull’autobus, diretti all’albergo. Due singole, ovviamente. Un’ultima notte con lui accanto, oltre la parete, ancora single, ancora il suo caro figliolo, che aveva amato e che continuava ad amare più della sua vita. Appese con cura l’abito da cerimonia nell’armadio anonimo, e si sedette, quasi in trance, alla toeletta. Lo specchio le rimandò un’immagine di sé inedita, dall’espressione indecifrabile anche a lei stessa. Proprio perché ti amo, ti lascerò volare, si ripeteva. Ma io non sono come gli uccelli, o i cani, e non ho voglia di scoccarti dal mio arco. Non mi davi fastidio, anzi. Sarei rimasta accanto a te, a servirti, per il resto dei miei giorni. La notte fu lunga e troppo breve. Poi la cerimonia, e la festa. Erano tutti allegri, intorno a lei, e parlavano e cantavano in una lingua a lei incomprensibile. Sarebbe scoppiata volentieri a piangere, ma poi si voltò, per caso, e li vide: vide lo sguardo di suo figlio, pieno d’amore per quella bella ragazza, per lei straniera, per lui il centro del mondo. E capì: non c’era più il primo posto per lei, nel cuore di suo figlio, ma lei era scesa di un gradino, mentre sua nuora era salita sul trono del suo cuore. Non le restava allora che fare la cosa più saggia e più giusta, anche se dolorosa: accettare. Bisognava evolvere, pena la sparizione della specie umana. Solo così il calice amaro poteva sembrare meno amaro. La sera lo salutò, anzi salutò qualcosa di diverso: lui apparteneva a quella giovane donna, ora, e lei doveva mettersi da parte. Non aveva più l’esclusiva né del suo cuore, né della sua mente. Vi era una nuova inquilina, in quei luoghi, e lei era stata sfrattata. Abbracciò entrambi e recitò in silenzio una breve invocazione a Dio, affinchè li proteggesse. Il suo compito era finito lì, ora cedeva le armi alla giovane donna, che avrebbe fatto le sue veci portando un valore aggiunto. Più gradito a suo figlio.

La sua vita continuò, uguale a se stessa ma profondamente diversa nella sua percezione. E quando saliva la nostalgia, si imponeva di pensare a quegli occhi innamorati, che si perdevano nell’azzurro degli occhi di lei, e capiva quale fosse ora il suo posto. L’unica medicina possibile era ora dedicarsi un po' a se stessa. Si sarebbe iscritta a qualche corso, avrebbe conosciuto persone nuove che avrebbero aiutato a tenere lontano lo spettro rappresentato da quel vuoto. E poi continuava a ripetersi che è meglio un figlio felice lontano da sé, che un infelice che vive nella nostra stessa casa. E a quanta sofferenza vi è nel mondo, a quanta gente avrebbe preferito trovarsi nella sua condizione, piuttosto che nella propria. Era proprio un peccato lamentarsi, in fondo suo figlio aveva fatto una scelta libera e consapevole, e lo aveva fatto per amore. Anche lei avrebbe curato le sue ferite sanguinanti, grazie a questo pensiero: lui era felice così. E prima o poi anche lei avrebbe imparato ad esserlo, in nome di quel sentimento che li aveva accomunati per tutta la vita, fino ad allora. Lui era stato il centro del suo universo, ed ora le veniva imposto di cercare un altro centro. Lo avrebbe trovato dentro di sé, e da lì non se ne sarebbe più andato.

 
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