Area riservata

Ricerca  
 
Siti amici  
 
Cookies Policy  
 
Diritti d'autore  
 
Biografia  
 
Canti celtici  
 
Il cerchio infinito  
 
News  
 
Bell'Italia  
 
Poesie  
 
Racconti  
 
Scritti di altri autori  
 
Editoriali  
 
Recensioni  
 
Letteratura  
 
Freschi di stampa  
 
Intervista all'autore  
 
Libri e interviste  
 
Il mondo dell'editoria  
 
Fotografie  
 
 
  Poesie  Narrativa  Poesie in vernacolo  Narrativa in vernacolo  I maestri della poesia  Poesie di Natale  Racconti di Natale 

  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  L'uomo che scolpiva nature vive, di massimolegnani 06/03/2017
 

L’uomo che scolpiva nature vive

di massimolegnani







Tra due giorni l’esposizione al Salone Pluriuso. 

Camillo si rigirava nel letto, impossibile dormire e impossibile da sveglio passare indenne attraverso quell’attesa. 

Il piccolo traguardo, la Mostra-Mercato di Artigianato locale, racchiudeva in sè il germe dell’umiliazione. 

Seconda Edizione e ancora gli bruciava la Prima. 

Le sue nature morte ammassate in uno spazio angusto, tra i bottiglioni di grappa del Bepi, sempre ubriaco, e le motoseghe del Vatta che da sole occupavano metà del salone, ma si sa Battista Vatta era lo sponsor principale della manifestazione. Non aveva venduto un pezzo, ma pazienza, non era quello il dispiacere. Erano stati i commenti incompetenti dei paesani che sfilavano davanti a lui come davanti al morto la sera del rosario, solo che, anzichè fare le condoglianze a mezza voce, a mezza voce dicevano “bella questa mela” “carina la zucca”, ma il tono e il senso erano uguali, senza la minima passione. 

Camillo si era giurato che mai più. 

Così aveva sprangato la porta del laboratorio e gettato la chiave nel naviglio. Aveva resistito un mese, ma dopo un mese aveva chiamato il fabbro. 

Quando rimise piede nel suo laboratorio, l’uomo si commosse sentendo l’odore del legno che lo abbracciava come un’amante comprensiva, disposta a perdonare la trascuratezza dovuta al troppo amore. 

E aveva ripreso a lavorare con maggior passione. La dolce frenesia della creazione! 

Si assopì al ricordo di quel periodo emozionante. Nel dormiveglia ripassò in rassegna le forme che aveva fatto nascere, perchè la forma è tutto, racchiude la sostanza e la protegge, come il frutto fa col seme. Rivide il gesto del polpastrello a seguire la curva della pesca che aveva levigato con delicatezza, seguire la curva e confrontarla con l’idea e la memoria. Così era stato con la prugna e la cotogna, che quello che gli premeva non era il realismo, ma la fedeltà assoluta a ciò che gli balenava in testa. 

Le sue non erano opere di natura morta, ma narrazione di una vita, la propria. Metafore, avrebbe detto se fosse stato un letterato, ma lui era un povero ignorante. 

Camillo si assopì, è vero, ma durò poco il sonno, che presto lo prese una nuova agitazione per un rivelarsi improvviso della verità. Non era l’incomprensione della gente che gli rodeva dentro, era l’insoddisfazione di sè, la propria mancanza di coraggio. Il coraggio di credere in se stessi a prescindere, il coraggio di partire per l'altrove, in città forse, battere altre strade, esporre con convinzione dove l’avrebbero apprezzato o magari stroncato, ma solo dopo aver inteso il senso delle opere. Il coraggio di...”occorre chiamare le cose col loro nome” ripeteva sempre suo padre. Già, ma lui non avrebbe mai trovato il coraggio di chiamarle col loro nome, apporre quei bigliettini, che pure aveva preparato, figainamore, sotto l’albicocca succosa, tettinenude a indicare due piccole mele laccate, perditadellaverginità, per l’anguria spaccata, acazzoduro, sotto un cetriolo indecente. No, non aveva il coraggio e allora aveva poco da lamentarsi, si sarebbe dovuto accontentare di “bella, carina”.

Non resistette più nel letto. Si alzò di scatto e s’infilò il cappotto sopra al pigiama. Scese nel laboratorio e si sedette nella poltrona sfondata a guardare i pezzi allineati sul bancone, la sua vita. Infilò una mano dentro il cappotto e nel pigiama. Prese ad accarezzarsi lentamente, con determinazione, come un rito dovuto. E venne piangendo. 

Poi, ad una ad una, gettò in un secchio le sue nature morte. Portò il secchio in giardino, lo annaffiò di benzina e gli diede fuoco. 

Quindi tornò a dormire, quasi sollevato. Non ci sarebbe stata nessuna seconda edizione. 

 
©2006 ArteInsieme, « 014075931 »