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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Un incontro, di Marina Pasqualini 15/03/2017
 

Un incontro

di Marina Pasqualini



Il sole stava per tramontare. Era l’ora del giorno che le piaceva di più. Guardò fuori dalla finestra e ammirò un cielo tinto di rosso. Entro pochi minuti sarebbe giunta l’ora di uscire dall’ufficio. S’incamminò su Via della Conciliazione, alla volta di Piazza San Pietro. Era solita fermarsi lì e sedersi sulle gradinate del colonnato che circondava maestosamente la Piazza. Il centro del mondo della cristianità. Laura era una giovane donna, aveva superato da poco la quarantina. Non era sposata e non aveva figli, ma la cosa non la preoccupava minimamente. Quella del matrimonio era una scelta sua, quella dei figli no, in quanto le avevano diagnosticato che non ne avrebbe potuti avere. Ma lei aveva una grande passione, la pittura, che compensava qualsivoglia mancanza. E poi, il matrimonio dei suoi genitori non era certo stato esemplare, tanto che la loro separazione era stata per lei, ancora bambina, motivo di sollievo. Ricordava come, a tavola, lei e il fratello avevano paventato lo scoppio di quelle liti improvvise. Tanto meglio era stata la tranquillità che ne era seguita, allorché ognuno dei loro genitori aveva preso la propria strada. Sempre meglio la pace che la guerra, anche se quella “pace” altro non era che un vuoto, una mancanza, un allontanamento. Mai avrebbe permesso che i suoi figli subissero quanto aveva subito lei. E poi i figli non erano comunque arrivati. Le piaceva ammirare il mondo che le passava davanti: persone di ogni nazionalità, preti e suore di colore. Vi era sempre la possibilità di parlare con qualcuno, vuoi perché ti si rivolgevano per chiedere un’informazione o semplicemente per il gusto di scambiare qualche parola, in quel luogo magico. Quasi a malincuore si incamminò verso casa, che distava solo qualche minuto a piedi. Si fermò a fare un po’ di spesa e parlò brevemente con la cassiera, che ormai la conosceva bene. Con la borsa della spesa in una mano, aprì con l’altra il portone di casa, prese l’ascensore e salì all’ultimo piano del palazzo antico, ove abitava. L’accolse il suo piccolo cane, che per tutto il giorno l’aveva aspettata e che ora si prodigava in effusioni di gioia. La donna, a sua volta felice per questo quotidiano incontro, gli riempì la ciotola di cibo e cambiò l’acqua in una seconda scodella. Dopo essersi fatta una doccia e infilato un pigiamone, si apprestò a prepararsi la cena. Suonò il cellulare: “Ciao Laura, sono Giorgio” annunciò un suo collega, che era stato assunto da poco nel suo stesso ufficio. “Scusa se ti disturbo” proseguì “ Ma vorrei invitarti a mangiare qualcosa. Ho bisogno di parlare con qualcuno, sai che qui in città conosco poca gente”. Egli, infatti, si era trasferito da poco, a Roma. Proveniva da un piccolo paese umbro e nella metropoli appariva piuttosto spaesato, non a proprio agio. Glielo aveva già confidato, durante una pausa caffè, e lei si era dimostrata comprensiva. La capitale aveva un grande fascino, ma poteva anche far sentire una persona ancor più sola. Come in questo caso. Laura tentennò. Non aveva affatto voglia di cambiarsi di nuovo ed uscire. Aveva già programmato la sua serata: a letto presto, con un buon libro, in compagnia del suo cane, che amava quasi come un figlio. O, forse, avrebbe potuto dare qualche pennellata a quel quadro, che aspettava da tempo di essere ultimato. Nello stesso tempo, le dispiaceva per quell’anima solitaria, che aveva scelto lei per condividere, appunto, la sua solitudine. “Giorgio, io sono già in pigiama e sto preparando la mia cena” rispose, sentendosi però, in fondo al cuore, un pochino egoista. E se fosse stata lei, nei panni di Giorgio, ed avesse bussato ad una porta, senza ricevere accoglienza? Dovremmo metterci più spesso nei panni degli altri, era quello che aveva sempre pensato. “Va bene” rispose lui, e la delusione nella sua voce si fece palpabile “Scusami, hai ragione tu, avrei dovuto chiedertelo prima, in ufficio!” aggiunse “Ma è solo adesso che mi sento così. Mi rendo conto che è un problema solo mio” concluse. Lei si sentì diventare piccola, e qualcosa dentro di lei la spinse a dire “Ok, Giorgio, facciamo così: se ti accontenti, potremmo condividere la mia cena”. Non era solita fare entrare persone, in casa sua, soprattutto ancora estranee, come il suo nuovo collega, ma la sua offerta sorprese anche lei. Ormai l’aveva detto, l’invito era stato inoltrato, ed afferrato al volo, con immensa gratitudine, da parte di lui. E fu così che, dopo circa mezz’ora, i due sedevano a tavola, come fossero vecchi amici o, a guardarli da fuori, quasi una coppia. Lei aveva indossato una tuta, lui aveva portato del buon vino e degli ottimi pasticcini. L’uomo si sentì di darle delle spiegazioni, per quel suo comportamento un po’ bizzarro. “grazie ancora, Laura, sei stata gentilissima ad invitarmi qui. Io stasera proprio non ce la facevo a restare da solo. Avevo un urgente bisogno di parlare con qualcuno. Ho scelto te perché sei una delle poche persone con cui mi sono trovato bene, al lavoro. Il fatto è che mi manca il mio paese e la sua tranquillità, fra le montagne. E la mia famiglia” aggiunse, e i suoi occhi le apparvero malinconici. Laura provò un’istintiva simpatia per quella persona. Era nel suo carattere voler salvare il mondo. Anche il suo cagnolino lo aveva scelto al canile, fra i cani abbandonati. Il mattino successivo, mentre si stava radendo, dopo aver messo un po’ di musica, Giorgio si accorse di sentirsi già un po’ meglio. La serata precedente era stata piacevolissima, la sua ospite squisita e dotata di una non comune sensibilità. Sentiva quasi di potersi riconciliare con quel nuovo mondo, che ora non gli pareva più così ostile. Ovunque, sul pianeta, a qualsiasi latitudine, si sarebbe potuta trovare un’anima gentile, disposta all’accoglienza. Vide un barbone, sul sagrato di San Pietro, e diede lui una lauta offerta in denaro, ma soprattutto gli elargì un sorriso. Si fermò anche a scambiare due chiacchiere e il tutto rallegrò un poco quell’uomo sfortunato e non poco intirizzito dalla notte passata all’addiaccio. Si sentì improvvisamente un po’ sciocco e ingrato, verso quello che la vita gli stava offendo. Entrò in Chiesa e ringraziò. Anche Laura aveva un aspetto migliore, quel giorno, quello che una persona assume quando sa di aver compiuto una buona azione e ne sente, in primis, il beneficio. L’evoluzione della loro storia non si poteva sapere, ma ancora una volta, nell’universo, era scoccata una scintilla di benevolenza. E questo era ciò che importava.

 
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