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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Altri uomini e Lettera incerta dei narcisi, di massimolegnani 03/05/2017
 

Altri uomini

di massimo legnani



In tutta la vita non ho mai avuto particolari attitudini a fare altro da quello che ho fatto. Mi manca la manualità dell’artista o anche solo dell’artigiano, non ho passione per la scienza, non fa per me il fuoco sacro che spinge a battere nuove vie, e anche la mia cultura è un colabrodo di lacune. Insomma mai avrei potuto fare il sarto, il parrucchiere o il disegnatore (la matita in mano più impegnativa delle forbici), né il ricercatore o il matematico (a mala pena so sottrarmi, mai sommarmi agli altri), tanto meno l’insegnante, il prete o lo studioso di lingue vive o morte, mi è rimasto per esclusione solo il lavoro che nella realtà ho fatto. Ho talmente disparate inettitudini che mi ritrovo un campo sterminato in cui fantasticarmi abile. Ma, lavoro a parte, una piccola dote ce l’ho ed è appunto la fantasia, un’immaginazione che traduco in parole, insomma, non so far di mio ma so immaginarmi differente e abile. Forse è solo per questo che invento storie e personaggi, per “vedermi” capace a fare. Solo così scolpisco il legno, guido ambulanze, suono la fisarmonica (e pure il flauto e il violoncello), ho manualità nel piegare la carta in origami, ho l’ardore tragico dell’esploratore polare, la capacità di essere folle a ululare al vento sopra un tetto, la saggezza di leggere il tempo nell’acqua di un canale, la sfrontatezza del ladro di galline fianco a fianco di una volpe. E do nomi di altri uomini a questi virtuosi virtuali, Camillo, Osvaldo, GianGaleazzo, vite e caratteri perdenti e una sola abilità sublime che faccia loro da bandiera e invidia a me. Oppure uso direttamente l’“io” quando è più impellente il desiderio di essere capace (capace di fare cosa? qualunque cosa, il netturbino, il carpentiere, l’astrofisico, il barista..oh cosa darei per essere barista, entrano a frotte, Lucio, un macchiato tiepido, Lucio un cappuccio buono e tu rapido, gesti perfetti, e, se è lei a chiedere, disegni sopra la schiuma bianca un cuore scuro di cacao con aria indifferente).



Lettera incerta dei narcisi

di massimolegnani



Il nome m’evoca un’epoca remota e luoghi scomparsi dalla geografia della memoria pur esistendo ancora ma ormai diversi da se stessi, i laghi dei dintorni, Pusiano, Monate, Ghirla e le montagnole della domenica, il Sacromonte, il Ghisallo, Pian dei Resinelli. Forse non ci sono più i narcisi, noi li raccoglievamo a mazzi in un prato in riva al lago tra Angera e Ispra, eppure ovunque mi sembra ce ne fossero, nella memoria li colloco come reali tra lo slittino e il salame di cioccolato tenuto al freddo dell’ultima neve e in piena estate tra gli spruzzi gioiosi della cascata del Toce. Luoghi e tempi inverosimili, me ne rendo conto, nella mia testa scombinata il ricordo del narciso si deve essere appiccicato a quello delle gite fuori porta, forse per colpa della resina, le pigne profumate che m’imbrattavano le dita. Loro, comunque, hanno un nome che definire sbagliato è poco, un vero controsenso, loro, i narcisi, sono la modestia, prova a raccoglierne uno solitario e ti accorgerai quanto poco sia innamorato di se stesso, vive, ed è bello, solo in gruppo dove si spalleggia e si consola con i simili. Nessuna vanità, nessun narcisismo nella sua corolla tremebonda, il tulipano, piuttosto, avrebbero dovuto chiamarlo narciso, con quel suo stelo dritto da pornodivo in eccesso di testosterone e i petali fiammeggianti a gridare al mondo ma quanto sono bello. I narcisi no, i narcisi erano i fiori di mia mamma, lo specchio gentile di una pudicizia bella fuori del tempo. Tulipano semmai era mio padre con i suoi baffetti a spazzolino e il borsalino sulle ventitre.

 
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