Quando
sento dire
di
Marina Pasqualini
Quando
sento dire: “Mamma mia, dove siamo arrivati! Non ci sono più
i valori, si stava meglio prima!” ripercorro per un attimo la
storia dell’umanità, e vedo ferocia, guerre corpo a
corpo, violenza inaudita, inciviltà assoluta. E allora
ringrazio per il cammino compiuto dagli uomini e per essere nata in
un periodo dove i diritti vengono sanciti da leggi democratiche. Ma
una cosa sì la rimpiango, ed è la vita che mi racconta
mia madre, e prima di lei, mia nonna, nei cortili.
…A
Restellone, ove crebbe mia nonna, tra Sesto San Giovanni e Monza,
rivedo lei bambina, giocare con un sasso, cui aveva dato un’anima,
trattandolo come una bambola. Lo copriva con una copertina e lo
coccolava quasi fosse la sua bambina. E ogni sera lo nascondeva per
poi ritrovarlo il giorno dopo. Gli aveva voluto bene, mi racconta.
Poi lei era diventata una giovane donna che aveva avuto due figlie ed
un marito che lavorava alla Breda, in fabbrica. La sera lui tornava,
in bicicletta, e mentre lei era ai fornelli, come le altre donne, e i
bambini giocavano in cortile, tirava fuori l’armonica a bocca
e si sedeva fuori, sulla ringhiera. Anche gli altri uomini, alla
stessa ora, si accingevano a suonare uno strumento, chi la chitarra,
chi il mandolino, e davano inizio ad un concertino che allietava
l’aria e gli animi. Passava la stanchezza nell’attesa
dell’umile cena, e vi era letizia e condivisione. Una piccola
festa, e nessuno si sentiva solo.
E
quegli ultimi dell’anno, quando ognuno portava qualcosa da
mangiare nell’abitazione più grande, i bambini messi a
dormire e controllati dalla portinaia, che veniva ad avvisare quando
qualcuno di loro si era svegliato ed era ammesso a partecipare, solo
a quel punto, ai festeggiamenti.
Solo
ad ascoltare, sento un calore umano ed un senso di appartenenza che
ora non è più, per il fatto che viviamo in
appartamenti, che solo per l’etimologia della parola stessa
rendono le persone ‘appartate’, quindi sole.
E
poi ricordo un altro fatto, avvenuto in un cortile della via Colombo,
a Sesto San Giovanni, quando mia madre era una giovane sposa. Una
sera un loro amico, Peppino, stava molto male. Era necessario
l’intervento di un medico specialista, che abitava a Milano.
Non essendoci il telefono, un gruppetto di amici, tra cui mio padre,
si recò all’indirizzo di detto luminare, il quale era
restio ad uscire di casa a quella tarda ora, peraltro con degli
sconosciuti. Accettò di seguirli a patto che uno di loro
rimanesse a casa sua, quale pegno e garanzia. Così fecero, e
il medico poté praticare un’iniezione al malato. La
diagnosi era: se supera la notte, sarà guarito, altrimenti…La
cosa che mi ha colpito maggiormente è quello che è
avvenuto dopo: tutti gli amici della via, di genere maschile, erano
radunati chi in casa e chi in cortile, essendo troppi, e le mogli
tutte a casa di mia madre. Attesero insieme fino all’alba e
Peppino guarì. Mi immagino quella solidarietà data a
sua moglie, quel sostegno sincero che deve aver attutito non poco
l’angoscia altrimenti insopportabile, se affrontata da soli.
Sono
queste le cose che invidio loro, non certo la mancanza di comodità,
di lavatrici e asciugatrici di cui disponiamo oggi. Non invidio il
fatto che quelle spose abbiano dovuto lavare i pannolini a mano per
poi farli asciugare su stufe a legna o carbone. Certo che no, cento
volte meglio i nostri pannolini usa e getta, i nostri caloriferi, le
nostre televisioni e i nostri cellulari: tutto ciò ci ha reso
la vita più facile, non vi è alcun dubbio. Che dire poi
degli insetti, delle cimici, dei topi, cose al cui solo pensiero
rabbrividisco. Ma penso a quante giovani spose di oggi si sentano
sole già al rientro dall’ospedale, dopo aver partorito,
e protraggano la naturale depressione post partum per troppo tempo.
Invece a quei tempi i bambini si allevavano tutti insieme, nei
cortili appunto, ove le nonne sferruzzavano e davano loro un occhio
chiacchierando. Bando alla solitudine.
Ora
io che abito in una villetta a schiera, so poco o nulla della vita
che si svolge fra le mura dei miei vicini di casa. Una volta una mia
amica mi ha detto: “Ho visto un fiocco azzurro sul cancello
della tua vicina!” ed io ho risposto: “Non sapevo fosse
incinta!” Oggigiorno ogni famiglia porta i propri fardelli
all’interno delle proprie ristrette mura e questi diventano
così molto più pesanti. Auspico un ritorno alla
condivisione, all’abbattimento dei muri e alla costruzione di
tanti piccoli ponti. Ognuno di noi può farlo, a partire da
domani mattina. Basterebbe un sorriso in più, fermarsi qualche
minuto a scambiare due parole, almeno quando ci si incontra per le
vie dei nostri paesi o delle nostre città. Mi è
capitato di volermi fermare con qualche conoscente e sentirmi dire
che non aveva tempo, che doveva ‘correre’ a comprare il
pane, mentre la prima necessità dell’essere umano, come
disse Madre Teresa di Calcutta, è quella di parlare con gli
altri. Ma di un dialogo che sia vero, fatto anche di ascolto e di
partecipazione se qualcuno ci racconta i suoi problemi…”Quando
suona la campana, suona anche per te”.
Dicono
che i veri amici si riconoscono nel momento del bisogno, ma non è
sempre vero. A volte arrivano persone, quando sei in disgrazia, come
corvi affamati. Credo che un vero amico si riconosca forse di più
nel momento del tuo successo, quando viene a congratularsi
sinceramente.
Ma
questa è un’altra storia.
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