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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Cinque giorni a pedali, di massimolegnani 13/07/2017
 

Cinque giorni a pedali

di massimolegnani



Sono un ciclista d’acqua dolce, datemi un fiume da accompagnare per un tratto, un lago da girarci attorno, e sono un uomo felice. Acqua dolce, che il sale ce lo metto io, a gocce di sudore ed è un sudore gioioso, il prezzo che pago volentieri per qualche giorno alla ventura. Studio i luoghi prima di partire, ma non faccio programmi, anzi i pochi progetti fatti sulla carta poi li contraddico in strada, secondo l’estro e le forze del momento che mi porteranno comunque altrove. Questa volta è stato il Lario e i fiumi che vi entrano e vi escono. E proprio il meno noto, il Mera, l’ho risalito come un salmone, anzi, meglio, come una trota di montagna curiosa di altri luoghi da raggiungere a fatica, controcorrente.

Pochi giri di pedale e già sono altro da me e ancora più me stesso, il bambino a cavallo di una scopa, il ragazzo dai muscoli d’acciaio, re Carlo che torna dalla guerra e vede amore negli occhi di ogni pulzella, il conte Gualtiero che passeggia filosofeggiando nel parco della villa che digrada fino al lago, un Foscolo, persino, che trova parole belle per la contessina caduta da cavallo e intanto altre ne cerca mescolandole alle mie. Perché mentre pedalo è un turbinio la testa che mi porta a fare cose d’altro mondo, ma diventa anche realismo la mia testa che mentre m’allontano da Lecco trovo finalmente vero, esatto, esaltante, l’inizio dei Promessi Sposi che magicamente mi torna intatto alla memoria e intanto sto toccando con gli occhi parola per parola nella ristrettezza di questo lago soverchiato dai monti e nella via che lo costeggia scavata nella roccia. Così vado, confuso e limpido, entrando e uscendo da scenari che di continuo cambiano restando inalterati, vado in un’inquietudine sottile che mi rasserena, vado, sfidando le poche forze e trovandone di nuove. Finisce il lago e ancora vado, assecondando una frenesia lenta e irragionevole che prima mi porta ad affrontare i tornanti micidiali del Maloja per il solo gusto di arrivare in Engadina, e lì trascurare il fasto di Saint Moritz per una bettola da pane e formaggio, e poi mi obbliga alla vertigine della discesa, la fretta di tornare al lago come da un’amante che hai tradito. Ripetere la strada dell’andata, Lecco che si avvicina troppo velocemente a dire fine del viaggio e allora seguire un altro estro e a Varenna balzare sul traghetto, cambiare sponda, aggiungere un altro giorno ai giorni già vissuti. E l’ultima sera, in un alberguccio decoroso, la figlia del padrone, una bellezza che è la somma di tante imperfezioni, un dentino fuori posto, lo scolorire dei capelli in un biondo artificioso, le scarpette rosse ormai sciupate, accudisce la mia vecchiezza come fosse un bene prezioso, si metta qui, questo tavolino è più riparato dalla brezza e può guardare ugualmente il lago, mi nutre di pietanze e di sorrisi, non mi chiede da dove vengo o dove vado ma sembra abbracciare con gli occhi la mia stanchezza gioiosa ed esserne in qualche modo contenta. Domani pedalare fino a Lecco avrà il sapore del sogno realizzato.


 
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