Cinque
giorni a pedali
di
massimolegnani
Sono
un ciclista d’acqua dolce, datemi un fiume da accompagnare per
un tratto, un lago da girarci attorno, e sono un uomo felice. Acqua
dolce, che il sale ce lo metto io, a gocce di sudore ed è un
sudore gioioso, il prezzo che pago volentieri per qualche giorno alla
ventura. Studio i luoghi prima di partire, ma non faccio programmi,
anzi i pochi progetti fatti sulla carta poi li contraddico in strada,
secondo l’estro e le forze del momento che mi porteranno
comunque altrove. Questa volta è stato il Lario e i fiumi che
vi entrano e vi escono. E proprio il meno noto, il Mera, l’ho
risalito come un salmone, anzi, meglio, come una trota di montagna
curiosa di altri luoghi da raggiungere a fatica, controcorrente.
Pochi
giri di pedale e già sono altro da me e ancora più me
stesso, il bambino a cavallo di una scopa, il ragazzo dai muscoli
d’acciaio, re Carlo che torna dalla guerra e vede amore negli
occhi di ogni pulzella, il conte Gualtiero che passeggia
filosofeggiando nel parco della villa che digrada fino al lago, un
Foscolo, persino, che trova parole belle per la contessina caduta da
cavallo e intanto altre ne cerca mescolandole alle mie. Perché
mentre pedalo è un turbinio la testa che mi porta a fare cose
d’altro mondo, ma diventa anche realismo la mia testa che
mentre m’allontano da Lecco trovo finalmente vero, esatto,
esaltante, l’inizio dei Promessi Sposi che magicamente mi torna
intatto alla memoria e intanto sto toccando con gli occhi parola per
parola nella ristrettezza di questo lago soverchiato dai monti e
nella via che lo costeggia scavata nella roccia. Così vado,
confuso e limpido, entrando e uscendo da scenari che di continuo
cambiano restando inalterati, vado in un’inquietudine sottile
che mi rasserena, vado, sfidando le poche forze e trovandone di
nuove. Finisce il lago e ancora vado, assecondando una frenesia lenta
e irragionevole che prima mi porta ad affrontare i tornanti micidiali
del Maloja per il solo gusto di arrivare in Engadina, e lì
trascurare il fasto di Saint Moritz per una bettola da pane e
formaggio, e poi mi obbliga alla vertigine della discesa, la fretta
di tornare al lago come da un’amante che hai tradito. Ripetere
la strada dell’andata, Lecco che si avvicina troppo velocemente
a dire fine del viaggio e allora seguire un altro estro e a Varenna
balzare sul traghetto, cambiare sponda, aggiungere un altro giorno ai
giorni già vissuti. E l’ultima sera, in un alberguccio
decoroso, la figlia del padrone, una bellezza che è la somma
di tante imperfezioni, un dentino fuori posto, lo scolorire dei
capelli in un biondo artificioso, le scarpette rosse ormai sciupate,
accudisce la mia vecchiezza come fosse un bene prezioso, si metta
qui, questo tavolino è più riparato dalla brezza e può
guardare ugualmente il lago, mi nutre di pietanze e di sorrisi,
non mi chiede da dove vengo o dove vado ma sembra abbracciare con gli
occhi la mia stanchezza gioiosa ed esserne in qualche modo contenta.
Domani pedalare fino a Lecco avrà il sapore del sogno
realizzato.
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