Fidati!
di
massimolegnani
Il
fatto è che non gli avevo mai creduto.
Eppure
gli avevo risposto sempre sì,
va bene, qualche volta
con un sorriso tirato a sfoglia sulle labbra e altre piangendo
silenziosamente nel buio della stanza mentre lui mi amava,
instancabile e sereno.
Con
Nicola finiva sempre con la mia resa, senza che prima ci fosse stata
nemmeno la battaglia. Lui non combatteva mai, non ne aveva bisogno.
Gli bastava sorridere per rintuzzare le mie accuse o i miei timori. E
non negava mai, semmai minimizzava.
Fin
dall’inizio era stato così.
In
coda davanti allo sportello della posta prioritaria mi aveva
picchiettato su una spalla chiedendomi se poteva passarmi davanti.
Ricordo che lo squadrai sfoderando un’espressione stizzita che
avrebbe dovuto farlo rinunciare. Di solito funziona, indurisco i
tratti del viso, corrugo la fronte e chi mi sta davanti capisce che
non è cosa. Lui no, lui rise: via,
non faccia la faccia feroce, la imbruttisce. Ho la macchina in
seconda fila, farò in un attimo, si fidi.
Provo ancora a resistere ma intanto già mi chiedo perché
non lasciarmi andare, perché non farmi contagiare dalla sua
allegra sfacciataggine. Lo guardo, ha il viso aperto
dell’uomo-bambino, il volto di chi ha avuto un’infanzia
felice. Quando la mamma lo sorprendeva con le mani nella marmellata,
lui di sicuro sapeva tirarla dalla sua parte con un solo gesto,
magari facendole uno sbaffo su una guancia con le dita sporche o
dicendole allegro “assaggia che buona” mentre le offriva
i polpastrelli da succhiare. Non è mai cresciuto Nicola, o
forse era già uomo da bambino.
Mi
fece gli occhi tristi che subito brillarono in sorriso.
Prese
il mio posto, ma non fu affatto rapido quando fu il suo turno. Mentre
se ne stava andando, mi fece uno strano cenno di saluto, quasi con
accondiscendenza, come fosse stato lui ad avermi fatto un piccolo
favore. Pensai fosse finita lì, ma quando uscii lo trovai che
mi aspettava, appoggiato a una macchina mal parcheggiata. Mentre
scendevo i gradini delle Poste vidi che i suoi occhi accompagnavano i
sobbalzi del mio seno. È una cosa che mi irrita lo sguardo
bavoso degli uomini, ma lui non sbavava, mi osservava con un
sorrisetto compiaciuto, come se il mio petto ondeggiasse esattamente
come desiderava lui.
La
invito a pranzo, mi devo sdebitare,
mi disse quando giunsi alla fine della scalinata, e sembrava un
premio alle mie tette. Rifiutai con un sorriso lusingato. Nicola si
comportò come avessi risposto sì.
Aprì
una portiera e mi invitò a salire, spiegandomi che il
ristorante non era troppo distante.
Veramente,
le ho detto no.
Ma
avrebbe voluto rispondere sì, sia sincera. Io le sto facendo
la cortesia di abbreviare i tempi, sono così sfinenti le
trattative. Rise e salì
in macchina. Lo rimbeccai attraverso il finestrino, poi mi sedetti al
suo fianco continuando a protestare, ma era ormai evidente che
nemmeno io credevo più alle mie proteste. Nicola aveva
trasformato il mio rifiuto in un gioco che stava intrigando
entrambi.
Iniziò
così la nostra storia, un pranzo in trattoria su in collina e
un letto raggiunto con naturalezza. Dalla
camera di Osvaldo, il padrone, si gode una vista impareggiabile.
Vieni, voglio mostrartela.
Nessun’ombra di malizia nello sguardo, anche se erano chiare le
sue intenzioni, e forse anche le mie. La vista era davvero
fantastica, in basso il lago che scintillava, in alto la cima del
Mombarone già imbiancata e in mezzo il fuoco lineare della
Serra nel suo miglior abito autunnale. Appoggiai i gomiti al
davanzale come rapita da quanto avevo davanti agli occhi, ma in
realtà ben attenta a cogliere ogni sfumatura dei gesti calmi e
calibrati che mi cercavano la pelle sotto i vestiti. Il letto lo
raggiungemmo dopo, per dormire un po’.
Non
sono una sprovveduta che si fa “sedurre e abbandonare”,
né tantomeno sono una zoccola disposta a tutto pur di farsi
una scopata. Nicola lo avevo inquadrato subito, da quel suo primo “si
fidi” candido e perfido. No, non era tipo di cui fidarsi, era
uno da scegliere a scatola aperta, affidarsi a lui sapendo bene che
non era degno di fiducia. Io lo avevo scelto prima dell’ultimo
gradino, lì alle Poste, consapevole di ciò a cui andavo
incontro. E non me ne sono mai pentita, nonostante mi abbia fatto
sentire spesso marmellata assaggiata per pura golosità o non
diversa da sua madre quando lo beccavo ad assaggiare marmellata
d’altre, un’alzata di spalle, una confidenza, quella
scoperà anche bene ma non conta nulla, fidati.
E per lui tutto era risolto. Non per me che pativo le rivali che
comparivano e sparivano come gli assi tra le dita di un
prestigiatore. Ma mai Nicola mi ha fatto sentire barattolo già
ripulito fino in fondo, buono solo da riporre giù in cantina,
se vogliamo mantenere la metafora infantile. Se non avevo la sua
fedeltà, e di certo non l’avevo, avevo però la
sua sincerità, quel modo lieve e un poco assurdo di
minimizzare i nostri dissapori, la
vita è breve, non sprechiamola con preoccupazioni inutili .
E da lui ricevevo anche un’attenzione febbrile, famelica e
profonda, con cui mi riempiva ogni minuto che passavamo insieme.
Di
lui sapevo poco, al di fuori del carattere ottimista e un po’
incosciente che era la sua nota costante, in amore come sul lavoro.
Ma che lavoro fosse il suo era un mistero. Sono
in affari, mi diceva, e
sembrava sempre che scherzasse. Ma non scherzava quando mi proponeva
somme (mie) da investire in progetti (suoi) che avrebbero fruttato un
mucchio di quattrini. A volte mi opponevo e lui non insisteva pur
facendo la faccia da cucciolo bagnato, altre cedevo e gli affidavo
soldi sudati. Non te ne
pentirai. Ti torneranno raddoppiati, fidati.
Non
sono mai tornati quei soldi, né doppi né semplici. E
quel denaro perso divenne motivo di liti, ancora più delle
rivali in amore. Quelle almeno arrivavano e sparivano, il denaro
spariva e basta. Ma anche in questo caso erano battaglie solo da
parte mia, lui liquidava l’argomento con una battuta La
finanza nel breve termine può avere dei rovesci, ma alla lunga
ti ripaga. Sono certa
che fosse sinceramente convinto che alla fine ce l’avrebbe
fatta, ma io mi sentivo allo stremo, anche i miei ultimi risparmi
erano andati in fumo.
Una
sera crollai e gli rovesciai addosso tutta la mia esasperazione,
insieme a piatti, bicchieri e ogni altro oggetto con cui potessi
colpirlo. Nicola prese a sorridere mentre schivava proiettili, poi mi
strinse in un abbraccio, prima per calmarmi, poi per amarmi. E quella
sera mi amò con una tenerezza struggente che mi lasciò
senza forze.
Nel
buio del nostro letto mi sussurrò più volte Non
esistono problemi irrisolvibili. Ho già in mente cosa fare,
bambina, devi fidarti di me.
Mi aveva chiamato bambina come fossi stata io l’irresponsabile.
E sono sicura che nel buio sorridesse fiducioso.
Nicola
è morto pochi giorni dopo, schiantandosi di notte contro un
muro. Un colpo di sonno stabilì l’inchiesta della
polizia. Ed è plausibile. Ma oggi ho ricevuto un plico da una
compagnia d’assicurazione. Mi comunicano che sono la
beneficiaria unica di una polizza sulla vita stipulata da Nicola, non
so quando. Facendo due conti i miei risparmi sono ben più che
raddoppiati.
A
Nicola non avevo mai creduto. Eppure non mi ha mai mentito.
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