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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Fidati!, di massimolegnani 18/09/2017
 

Fidati!

di massimolegnani



Il fatto è che non gli avevo mai creduto. 
Eppure gli avevo risposto sempre sì, va bene, qualche volta con un sorriso tirato a sfoglia sulle labbra e altre piangendo silenziosamente nel buio della stanza mentre lui mi amava, instancabile e sereno. 
Con Nicola finiva sempre con la mia resa, senza che prima ci fosse stata nemmeno la battaglia. Lui non combatteva mai, non ne aveva bisogno. Gli bastava sorridere per rintuzzare le mie accuse o i miei timori. E non negava mai, semmai minimizzava. 

Fin dall’inizio era stato così. 
In coda davanti allo sportello della posta prioritaria mi aveva picchiettato su una spalla chiedendomi se poteva passarmi davanti. Ricordo che lo squadrai sfoderando un’espressione stizzita che avrebbe dovuto farlo rinunciare. Di solito funziona, indurisco i tratti del viso, corrugo la fronte e chi mi sta davanti capisce che non è cosa. Lui no, lui rise: via, non faccia la faccia feroce, la imbruttisce. Ho la macchina in seconda fila, farò in un attimo, si fidi. Provo ancora a resistere ma intanto già mi chiedo perché non lasciarmi andare, perché non farmi contagiare dalla sua allegra sfacciataggine. Lo guardo, ha il viso aperto dell’uomo-bambino, il volto di chi ha avuto un’infanzia felice. Quando la mamma lo sorprendeva con le mani nella marmellata, lui di sicuro sapeva tirarla dalla sua parte con un solo gesto, magari facendole uno sbaffo su una guancia con le dita sporche o dicendole allegro “assaggia che buona” mentre le offriva i polpastrelli da succhiare. Non è mai cresciuto Nicola, o forse era già uomo da bambino. 
Mi fece gli occhi tristi che subito brillarono in sorriso. 
Prese il mio posto, ma non fu affatto rapido quando fu il suo turno. Mentre se ne stava andando, mi fece uno strano cenno di saluto, quasi con accondiscendenza, come fosse stato lui ad avermi fatto un piccolo favore. Pensai fosse finita lì, ma quando uscii lo trovai che mi aspettava, appoggiato a una macchina mal parcheggiata. Mentre scendevo i gradini delle Poste vidi che i suoi occhi accompagnavano i sobbalzi del mio seno. È una cosa che mi irrita lo sguardo bavoso degli uomini, ma lui non sbavava, mi osservava con un sorrisetto compiaciuto, come se il mio petto ondeggiasse esattamente come desiderava lui. 
La invito a pranzo, mi devo sdebitare, mi disse quando giunsi alla fine della scalinata, e sembrava un premio alle mie tette. Rifiutai con un sorriso lusingato. Nicola si comportò come avessi risposto sì. 
Aprì una portiera e mi invitò a salire, spiegandomi che il ristorante non era troppo distante. 
Veramente, le ho detto no
Ma avrebbe voluto rispondere sì, sia sincera. Io le sto facendo la cortesia di abbreviare i tempi, sono così sfinenti le trattative. Rise e salì in macchina. Lo rimbeccai attraverso il finestrino, poi mi sedetti al suo fianco continuando a protestare, ma era ormai evidente che nemmeno io credevo più alle mie proteste. Nicola aveva trasformato il mio rifiuto in un gioco che stava intrigando entrambi. 

Iniziò così la nostra storia, un pranzo in trattoria su in collina e un letto raggiunto con naturalezza. Dalla camera di Osvaldo, il padrone, si gode una vista impareggiabile. Vieni, voglio mostrartela. Nessun’ombra di malizia nello sguardo, anche se erano chiare le sue intenzioni, e forse anche le mie. La vista era davvero fantastica, in basso il lago che scintillava, in alto la cima del Mombarone già imbiancata e in mezzo il fuoco lineare della Serra nel suo miglior abito autunnale. Appoggiai i gomiti al davanzale come rapita da quanto avevo davanti agli occhi, ma in realtà ben attenta a cogliere ogni sfumatura dei gesti calmi e calibrati che mi cercavano la pelle sotto i vestiti. Il letto lo raggiungemmo dopo, per dormire un po’. 
Non sono una sprovveduta che si fa “sedurre e abbandonare”, né tantomeno sono una zoccola disposta a tutto pur di farsi una scopata. Nicola lo avevo inquadrato subito, da quel suo primo “si fidi” candido e perfido. No, non era tipo di cui fidarsi, era uno da scegliere a scatola aperta, affidarsi a lui sapendo bene che non era degno di fiducia. Io lo avevo scelto prima dell’ultimo gradino, lì alle Poste, consapevole di ciò a cui andavo incontro. E non me ne sono mai pentita, nonostante mi abbia fatto sentire spesso marmellata assaggiata per pura golosità o non diversa da sua madre quando lo beccavo ad assaggiare marmellata d’altre, un’alzata di spalle, una confidenza, quella scoperà anche bene ma non conta nulla, fidati. E per lui tutto era risolto. Non per me che pativo le rivali che comparivano e sparivano come gli assi tra le dita di un prestigiatore. Ma mai Nicola mi ha fatto sentire barattolo già ripulito fino in fondo, buono solo da riporre giù in cantina, se vogliamo mantenere la metafora infantile. Se non avevo la sua fedeltà, e di certo non l’avevo, avevo però la sua sincerità, quel modo lieve e un poco assurdo di minimizzare i nostri dissapori, la vita è breve, non sprechiamola con preoccupazioni inutili . E da lui ricevevo anche un’attenzione febbrile, famelica e profonda, con cui mi riempiva ogni minuto che passavamo insieme. 

Di lui sapevo poco, al di fuori del carattere ottimista e un po’ incosciente che era la sua nota costante, in amore come sul lavoro. Ma che lavoro fosse il suo era un mistero. Sono in affari, mi diceva, e sembrava sempre che scherzasse. Ma non scherzava quando mi proponeva somme (mie) da investire in progetti (suoi) che avrebbero fruttato un mucchio di quattrini. A volte mi opponevo e lui non insisteva pur facendo la faccia da cucciolo bagnato, altre cedevo e gli affidavo soldi sudati. Non te ne pentirai. Ti torneranno raddoppiati, fidati
Non sono mai tornati quei soldi, né doppi né semplici. E quel denaro perso divenne motivo di liti, ancora più delle rivali in amore. Quelle almeno arrivavano e sparivano, il denaro spariva e basta. Ma anche in questo caso erano battaglie solo da parte mia, lui liquidava l’argomento con una battuta La finanza nel breve termine può avere dei rovesci, ma alla lunga ti ripaga. Sono certa che fosse sinceramente convinto che alla fine ce l’avrebbe fatta, ma io mi sentivo allo stremo, anche i miei ultimi risparmi erano andati in fumo. 
Una sera crollai e gli rovesciai addosso tutta la mia esasperazione, insieme a piatti, bicchieri e ogni altro oggetto con cui potessi colpirlo. Nicola prese a sorridere mentre schivava proiettili, poi mi strinse in un abbraccio, prima per calmarmi, poi per amarmi. E quella sera mi amò con una tenerezza struggente che mi lasciò senza forze. 
Nel buio del nostro letto mi sussurrò più volte Non esistono problemi irrisolvibili. Ho già in mente cosa fare, bambina, devi fidarti di me. Mi aveva chiamato bambina come fossi stata io l’irresponsabile. E sono sicura che nel buio sorridesse fiducioso. 

Nicola è morto pochi giorni dopo, schiantandosi di notte contro un muro. Un colpo di sonno stabilì l’inchiesta della polizia. Ed è plausibile. Ma oggi ho ricevuto un plico da una compagnia d’assicurazione. Mi comunicano che sono la beneficiaria unica di una polizza sulla vita stipulata da Nicola, non so quando. Facendo due conti i miei risparmi sono ben più che raddoppiati. 
A Nicola non avevo mai creduto. Eppure non mi ha mai mentito. 

 
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