Storia
di una Drava ragazza
di
massimolegnani
Tu
dici, la Drava che grazia, che maestosità, che imponenza!
Già,
la Drava, conosco bene il suo procedere potente ma tranquillo tra i
pascoli in Karinzia a separare la terra in larghe sponde, che sembra
una ragazza nello slancio del tuffo, quando separa l’acqua con
il corpo meglio di Dio con quelle del MarRosso, e so gli ampi meandri
che disegna prima di entrare trionfalmente a Maribor, le giravolte
degne di una ballerina che volteggia senza apparente sforzo, invece
sapessi la fatica che ha fatto per aprirsi quella strada.
Tutto
vero: la grazia e l’imponenza.
Ma
io l’ho vista nascere tra i prati di Dobbiaco, un esile
rigagnolo ancora incerto se rotolare a valle verso l’Adige,
vita breve e poca gloria, o avventurarsi all’estero, tanti
rischi e qualche possibilità concreta di successo.
Con
una timidezza prepubere e cocciuta la Drava ha scelto il rischio e
quasi subito ha svoltato a destra verso la frontiera d’Austria.
Fosse
nata qualche metro più in qua, è quasi certo che la sua
direzione sarebbe stata opposta. Lo chiamano spartiacque, ma non è
altro che il destino strano della pioggia. Tu mettiti qui, davanti a
questa collinetta verde che sta tra il lago e il bosco, e osserva le
grosse gocce che cadono dal cielo: quella che vedi venire giù
in perfetta verticale sarà MarNero, quest’altra che un
refolo di vento sposta di poco in qua diventerà Adriatico.
Così la Drava e il Rienza, fiume di fama l’una, torrente
sconosciuto che sarà altri nomi prima del mare, l’altro.
Tutte le simpatie vanno alla prima, il suo avanzare sbarazzino tra
prati quasi in piano, quindi una discesa senza fretta come di ragazza
che si gode una pigra adolescenza, e poi quel suo gonfiarsi d’acqua,
un seno esuberante e inaspettato, quel diventare grande e procedere
sicura.
Tutte
le simpatie vanno alla Drava, d’accordo, ma nessuno che
rifletta che lei diventa fascinosa per meriti non suoi. Fosse dovuta
crescere con le sue sole forze, giunta in Slovenia sarebbe stata
ancora l’esile rigagnolo, il maschietto imberbe che era in
Pusteria. La sua fortuna è stata un po’ di pioggia,
usata come rimmel passato e ripassato sulle ciglia per sembrare un
po’ più grande. E con il trucco in viso e sulle sponde
ha tratto a sé fiumi e torrenti, generosi di muscoli e di
cuore, amanti scriteriati disposti al sacrificio estremo di tutta
l’acqua in dono.
È
vero che lei alla fine rimedia al troppo avuto, forse preteso,
sposandosi al Danubio e regalandogli le acque, ma la mia impressione
è che faccia come quei due fiumi che confluiscono a Manaus e
restano distinti nel colore per chilometri e chilometri. Così
io credo che per civetteria o per orgoglio la nostra donna d’acqua
si tenga un po’ discosta dal suo sposo, in modo da arrivare
ancora Drava nel MarNero.
Tutte
le simpatie vanno alla Drava, come non essere d’accordo con la
grazia e la bellezza, ma io provo più affetto per il Rienza,
ragazzo mai cresciuto, tutto impeto e sfortuna. Fa appena in tempo a
compiere quattro salti tra le rocce e già finisce, cerbiatto
che non diventerà mai cervo. Ed è una brutta fine, che
porta le sue acque nell’Isarco, un matrimonio omosessuale,
quando lui, ne sono certo, avrebbe preferito gettarsi a capofitto
nella Dora.
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