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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Storia di una Drava ragazza, di massimolegnani 29/10/2017
 

Storia di una Drava ragazza

di massimolegnani



Tu dici, la Drava che grazia, che maestosità, che imponenza!

Già, la Drava, conosco bene il suo procedere potente ma tranquillo tra i pascoli in Karinzia a separare la terra in larghe sponde, che sembra una ragazza nello slancio del tuffo, quando separa l’acqua con il corpo meglio di Dio con quelle del MarRosso, e so gli ampi meandri che disegna prima di entrare trionfalmente a Maribor, le giravolte degne di una ballerina che volteggia senza apparente sforzo, invece sapessi la fatica che ha fatto per aprirsi quella strada.

Tutto vero: la grazia e l’imponenza.

Ma io l’ho vista nascere tra i prati di Dobbiaco, un esile rigagnolo ancora incerto se rotolare a valle verso l’Adige, vita breve e poca gloria, o avventurarsi all’estero, tanti rischi e qualche possibilità concreta di successo.

Con una timidezza prepubere e cocciuta la Drava ha scelto il rischio e quasi subito ha svoltato a destra verso la frontiera d’Austria.

Fosse nata qualche metro più in qua, è quasi certo che la sua direzione sarebbe stata opposta. Lo chiamano spartiacque, ma non è altro che il destino strano della pioggia. Tu mettiti qui, davanti a questa collinetta verde che sta tra il lago e il bosco, e osserva le grosse gocce che cadono dal cielo: quella che vedi venire giù in perfetta verticale sarà MarNero, quest’altra che un refolo di vento sposta di poco in qua diventerà Adriatico. Così la Drava e il Rienza, fiume di fama l’una, torrente sconosciuto che sarà altri nomi prima del mare, l’altro. Tutte le simpatie vanno alla prima, il suo avanzare sbarazzino tra prati quasi in piano, quindi una discesa senza fretta come di ragazza che si gode una pigra adolescenza, e poi quel suo gonfiarsi d’acqua, un seno esuberante e inaspettato, quel diventare grande e procedere sicura.

Tutte le simpatie vanno alla Drava, d’accordo, ma nessuno che rifletta che lei diventa fascinosa per meriti non suoi. Fosse dovuta crescere con le sue sole forze, giunta in Slovenia sarebbe stata ancora l’esile rigagnolo, il maschietto imberbe che era in Pusteria. La sua fortuna è stata un po’ di pioggia, usata come rimmel passato e ripassato sulle ciglia per sembrare un po’ più grande. E con il trucco in viso e sulle sponde ha tratto a sé fiumi e torrenti, generosi di muscoli e di cuore, amanti scriteriati disposti al sacrificio estremo di tutta l’acqua in dono.

È vero che lei alla fine rimedia al troppo avuto, forse preteso, sposandosi al Danubio e regalandogli le acque, ma la mia impressione è che faccia come quei due fiumi che confluiscono a Manaus e restano distinti nel colore per chilometri e chilometri. Così io credo che per civetteria o per orgoglio la nostra donna d’acqua si tenga un po’ discosta dal suo sposo, in modo da arrivare ancora Drava nel MarNero.


Tutte le simpatie vanno alla Drava, come non essere d’accordo con la grazia e la bellezza, ma io provo più affetto per il Rienza, ragazzo mai cresciuto, tutto impeto e sfortuna. Fa appena in tempo a compiere quattro salti tra le rocce e già finisce, cerbiatto che non diventerà mai cervo. Ed è una brutta fine, che porta le sue acque nell’Isarco, un matrimonio omosessuale, quando lui, ne sono certo, avrebbe preferito gettarsi a capofitto nella Dora.

 
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