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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Ma i mandarini dove sono, di massimolegnani 21/11/2017
 

Ma i mandarini dove sono?

di massimolegnani




Al mercato della frutta misuro il tempo andato. Ho passi strascicati tra i banchi carichi di merce troppo moderna, roba elettronica, tessuti sintetici, attrezzi incomprensibili. Guardo e borbotto. E un filo di bava mi si ghiaccia sotto il labbro. Ho il furore stupido dei vecchi, lo so, la loro nostalgia cretina per i bei tempi andati, me ne rendo conto, ma i mandarini dove sono? 
Spaccherei il bastone sul groppone a questo mascalzone che ride alla mia richiesta, nonno, ce li hai sotto il naso i mandarini, cassette intere. 
Le balle! Questi non sono mandarini. Hanno quei nomi scemi, mandaranci, clementine, mapo, e sanno d’invenzione di laboratorio, come si chiama quella pecora, sì, quella che era nata in quel modo strano che non ho mai capito come, Doroti? Dotti? Ecco, con questi agrumi è uguale. Mica sono nati da una pianta di Sicilia. No, lo so io che arrivano diretti da una fabbrica supertecnologica. Incroci li chiamano, una schifezza, dico, io. 
Ma ve li ricordate voi i mandarini, un tempo? Le bucce spesse, rugose, abbondanti, che il frutto quasi ci ballava dentro, come le tette della Gina dentro il reggiseno. Ci passavi i polpastrelli, sulle bucce neh, mica sulle.., poi le incidevi con l’unghia del pollice, tiravi e tac spogliavi il mandarino (con le tette della Gina non era così facile, ma dopo, crispa che bello). E la buccia la mettevi sui cerchi della stufa a profumare la casa, durava ore prima di abbrustolire e fare quell’odore un po’ più amaro, che era il momento più bello per noi bambini, un grande apriva lo sportello che a noi era proibito, le buttava tra le braci e le bucce scoppiettavano facevano scintille e fiammate violente e noi lì a battere le mani. 
Le bucce di adesso sono sottili come carta e lisce e tese, senti che gli spicchi dentro premono come i seni gonfi della televisione, quelli delle veline, delle letterine, delle cretine, seni lucidi e pompati, pura plastica, bucce e tette. Tutta roba finta, buona solo per gli occhi degli allocchi, scusate il bistis di parole. ‘Ste bucce qui, come non bastasse il seno finto, fatichi a staccarle dal frutto, devi pelare il mandarino col coltello, s’è mai visto dico io il coltello per il mandarino che ci sono sempre state le unghie? 
Poi li mangi, mastichi, mastichi e niente, non trovi un seme. Ma caspio, te li ricordi, a tavola, quei semi grossi come noci che sputavi in faccia a tuo fratello, finchè uno scappellotto non ristabiliva l’ordine? Ma se non c’hanno i semi come fanno a riprodursi? Ah già, la Doroti! Bella schifezza di laboratorio, che poi ormai la Doroti sarà già anche morta, sparisse con lei tutta ‘sta roba artificiale e tornassero le cose genuine. 
Già, già, borbotto ma poi li compro sempre. E lui, il mascalzone, lo sa, è lì che aspetta che io smoccoli tutta la tiritera tanto per sfogarmi e intanto ride. E prima che glielo dica io, mi domanda, nonno, il solito chilo di clementine?
E io rassegnato faccio sì col capoccione. 

 
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