La
sepoltura di Romeo
di
Vincenzo D’Alessio
Non
so da dove cominciare.
Erano
gli anni ottanta, il sisma del 23 novembre era appena passato quando
un altro terremoto si preparava.
Giovane,
trentenne, una grande volontà di lavorare e il senso profondo
di libertà respirato attraverso la musica: suonavo le tastiere
con un piccolo gruppo musicale di provincia.
A
casa c’erano tre figli che mi seguivano e che anche oggi
continuano questa stupenda attività.
Come
è capitato a molte coppie degli anni settanta, sposati con un
grande sogno d’amore, il vivere insieme non sempre riusciva a
contenere caratteri che si rivelavano a mano a mano completamente
opposti.
Accadde
così che agli inizi di quei difficili anni ottanta giunse la
separazione e la dolorosissima strada per il divorzio: allora si
dovevano aspettare cinque anni dalla separazione.
Svolgevo
un lavoro in un ufficio a contatto giornaliero con le persone del
paese, le quali a modo loro contavano i torti e le ragioni che
avevano generato la separazione e la posizione sociale dei figli.
Dei
tre figli nati il primo aveva solo otto anni al momento del distacco.
Le
tribolazioni furono tante e stare insieme a loro era divenuto
praticamente impossibile: tre ore solo la domenica.
Avevo
bisogno di abbracciarli, di sapere della loro salute, di come
vivevano senza la mia presenza in casa e questa tumultuosa forza non
mi lasciava nessun riposo.
Mi
assegnarono un modesto prefabbricato dove organizzavo le notti
d’estate troppo afose e quelle d’inverno con la stufetta
elettrica sempre accesa.
Dormivo
poco e questo mi consentiva di notte di leggere e scrivere.
Un
giorno convinto che i miei figli avessero bisogno di un amico di
giochi decisi di comprare un cucciolo. Scelsi un cucciolo di Collie
che mi fu consigliato come esemplare affettuoso con i piccoli e la
famiglia.
Quando
lo feci giungere a casa i miei figli furono entusiasti. Un po’
meno la mamma che dovette accudirlo e abituarlo a stare in casa.
I
ragazzi decisero di chiamarlo Romeo.
Da
quel momento tutti e tre se lo contesero e giocavano con lui,
avendone cura e sistemandolo in una piccola cuccia sul balcone di
casa. Quando potevano lo portavano a letto lasciandolo dormire quel
poco che accompagnava il loro sonno.
Fu
una scelta felice poiché Romeo non presentava molto impegno
per la sua pulizia e mangiava spesso le pappine rimaste del pranzo
del più piccolo di famiglia.
Passarono
sette bellissimi anni in compagnia del cane divenuto il quinto (il
quarto era la tartaruga Tobia) membro indispensabile della famiglia e
il dolore della separazione si fece sentire di meno.
Intanto
nel condominio qualcuno si lamentava della presenza di Romeo divenuto
grande e forte il quale non viveva più sul terrazzo ma nel
giardino della nonna Tetta dove una cuccia proteggeva la sua
permanenza.
Le
salite in montagna alla ricerca delle tracce del passato e le lunghe
giornate estive erano accompagnate dall’abbaiare felice di
Romeo insieme a noi: i ragazzi erano dei giovanotti forti e colmi di
speranze per il futuro.
Riuscire
a mettere sulla carta tutte le volte in cui Romeo è stato
accanto ai miei figli e in un caso ha salvato la vita al più
piccolo mentre eravamo in montagna sarebbe un diario lungo che spero
realizzino i miei ragazzi, oggi padri generosi e impegnati con i
propri figli.
Un
racconto che farebbe bene per sciogliere il dolore rimasto impigliato
ancora nell’anima.
Sta
di fatto che, come tutte le cose belle dell’esistenza, venne il
giorno in cui il nostro Romeo si accasciò al suolo davanti
alla cuccia nel giardino di mia madre dove aveva vissuto in quegli
ultimi anni.
Provammo
tutti un gran dolore, come quando si perde una persona della
famiglia.
Mia
madre, santa donna, con l’aiuto di un parente contadino sul far
della sera fece realizzare una piccola fossa nello stesso giardino
dove Romeo aveva vissuto, così che non ne avvertissimo la
mancanza.
Ogni
anno, quando i primi freddi dell’Autunno avanzano, ritorno
davanti al cancello del giardino: non so riconoscere più il
punto dove c’è la sepoltura di Romeo.
Ascolto
nel vento il suo abbaiare felice e ritornano le risate dei miei
figli.
|