Lucciole
per lanterne
di
Marina Pasqualini
Per
tutta la vita era stata vittima di malintesi, a sua insaputa. Se ne
accorgeva solo ora, che ora ormai anziana.
Aveva
creduto di non essere degna d’amore e di stima. Come avrebbe
potuto essere altrimenti, visto che sua madre, rifiutandole il suo
amore, le aveva fatto credere questo! Si sa, come le aveva ricordato
il suo psicologo, al quale si era rivolta per tentare di comprendere
ed arginare il suo problema di compulsione verso il cibo, che se la
madre, che è buona, non dà amore, è il bambino
ad essere cattivo!
E
con questo marchio d’infamia, si era aggirata nella sua
esistenza, sentendosi sempre ed ovunque, inadeguata. Colpevole.
Ora
la verità le era stata servita come un dolce dessert dopo una
vita amara. Provocandole rammarico ma anche tanta gratitudine.
Il
secondo capitolo che ora sentiva di dover bruciare, perché
fasullo ai suoi stessi occhi, riguardava le sue genuine credenze
politiche. Da giovane e anche dopo, aveva creduto nella magia del
comunismo. Autorevoli dirigenti italiani ne avevano confezionato una
versione nostrana, che nulla aveva a che vedere con quello reale, che
si viveva, ahimè, nei paesi ove questa dottrina sedeva al
governo.
Trattavasi
semplicemente di una dittatura, con le peggiori conseguenze che quel
regime possa portare.
I
suoi figli, crescendo, avevano cercato di metterla in guardia, ma in
lei erano profondamente radicate quelle credenze che avevano
attecchito nel suo sentire, già da piccola. In famiglia era
quella l’aria che aveva respirato. I suoi genitori, altrettanto
ignari della verità, l’avevano cresciuta con il mito di
una società ove ognuno era pari all’altro, senza ricchi
o poveri, sfruttatori e sfruttati. Loro sì si erano comportati
davvero secondo questo credo, mentre nei paesi ove si viveva il
comunismo reale, le cose stavano molto diversamente.
Aveva
semplicemente preso lucciole per lanterne.
Indietro
non si poteva tornare, ma si consolava solo pensando al fatto che
avrebbe potuto portare questi malintesi con sé, nella tomba.
Guardare
la verità in faccia poteva risultare scomodo e doloroso, come
nel suo caso.
L’antidoto
era uno solo: ricominciare la vita che restava ammirandone il cielo
terso, ove i nuvoloni che lo avevano inficiato, se ne erano andati
altrove. Poteva e doveva bastare.
Anche
la qualità e i contenuti della sua scrittura, potevano
prendere una nuova direzione.
Finiva
l’inverno della sua vecchia esistenza.
Iniziava
la sua primavera.
Aveva
scompigliato l’ordine delle stagioni, ma così era…
si sentiva leggera come un palloncino scappato dalle mani di un
bambino, che si libra in un cielo azzurro, senza più vincoli.
Poco importava se le correnti ad un certo punto lo avrebbero fatto
esplodere. Ciò che importava era il suo viaggio attraverso la
verità, l’unica che può renderci liberi.
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