Area riservata

Ricerca  
 
Siti amici  
 
Cookies Policy  
 
Diritti d'autore  
 
Biografia  
 
Canti celtici  
 
Il cerchio infinito  
 
News  
 
Bell'Italia  
 
Poesie  
 
Racconti  
 
Scritti di altri autori  
 
Editoriali  
 
Recensioni  
 
Letteratura  
 
Freschi di stampa  
 
Intervista all'autore  
 
Libri e interviste  
 
Il mondo dell'editoria  
 
Fotografie  
 
 
  Poesie  Narrativa  Poesie in vernacolo  Narrativa in vernacolo  I maestri della poesia  Poesie di Natale  Racconti di Natale 

  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Diario delle bugie, di massimolegnani 19/02/2018
 

Diario delle bugie

di massimolegnani



Tu mi chiedi di raccontarti qualcosa che sia autentico
, niente d’inventato, dai, ma non è facile per me che da anni mescolo memoria e fantasia, Massimo e Camillo, il vero e il falso, quel che è successo e quel che non è stato. E ora, a districare il tutto è come dovessi dividere la pula dal grano e io non sono il contadino che gli bastava il gesto ampio e semicircolare a far cadere sul cemento dell’aia le due frazioni separate, io provo a lanciare in aria le parole ma ricadono com’erano, pure e spurie mescolate.
È che io sono un emerito bugiardo e proprio quando invento e temo di non essere creduto, zac, ci metto la mia faccia che in scrittura è usare l’io, la prima persona singolare. E magari lo spaccio per “diario”, come fa il fedifrago alle strette giurando sulla bibbia. 
Io sono stato sandinista in Nicaragua, ciabattino in Svezia a spiare le ragazze che danzavano al palchetto nel primo novecento, scacchista ambiguo in una repubblica del Baltico e sono andato a Rugen ad incantarmi per un seno in controluce. 
Solo sulla carta, tutto questo, spero ti sia chiaro.  Anche se poi a Rugen ci sono andato veramente, come in pellegrinaggio nei luoghi che avevo vagheggiato, e in Nicaragua, bè, era come se, perché ho assimilato le avventure di un amico mio.
Ma tu, diario, insisti, quello vero. 

E diario sia, sincero. 

Vedi, la mia prima elementare è durata un solo giorno, perché ancora non sapevo dire le bugie. Eppure i miei genitori me l’avevano spiegato, se ti chiedono quanti anni hai devi dire sei e alla domanda quando sei nato rispondi il quattro settembre. Mi credevano dotato, poveretti loro, e d’accordo con la maestra mi avevano iscritto in prima a cinque anni. Ma si può mentire al direttore entrato in classe col cappotto scuro sulle spalle come fosse un giudice togato? Me la ricordo la mia faccia da coniglio smarrito, me la ricordo perché poi ho impiegato anni a cancellarla e nel frattempo è stata immortalata in tante foto, la penna in mano e gli occhi intimiditi. Avrei dovuto anche inventare un nome di comodo, massimolegnani sarebbe stato perfetto, ma m’è venuto in mente con decenni di ritardo. Così, “ho cinque anni e sono nato il quattro gennaio, signor direttore.” 
Fine della carriera scolastica. 
Bene sarei tornato a casa a giocare con le macchinine per un anno intero. 
E invece no! Tu sei un bambino dotato (aridaje i genitori), non possiamo farti perdere un anno. Inutile spiegare loro che l’anno per me sarebbe stato di guadagno, che già quel solo giorno di scuola in mezzo a gente più grande mi aveva messo addosso un’angoscia terribile, un mio compagno aveva addirittura i pantaloni alla zuava, io le braghette a fil di chiappe, e un altro aveva la fionda con cui mi tirava pallottole di carta. Volevo restare a casa, ma io ero un bambino dotato, di cosa non me l’hanno mai saputo dire. 
Così prima privata, tutti i giorni a casa della maestra Calini Pezzoni a riempire quaderni di aste. Mi sembra di aver fatto aste per un anno, mica facile sai, soprattutto quelle oblique, d’accordo c’erano i quadretti, ma mica facile tirare la diagonale senza sapere cosa fosse. E poi non sono mai stato bravo a disegnare. 
Il fatto è che non mi sono mai schiodato da quella prima in solitaria, una vera traversata oceanica in controvoglia. Mi sono rimasti appiccicati come carta moschicida lo spaesamento, mai capito che ci facessi lì, e il disinteresse per l’apprendimento. 
La maestra era profuga di Libia e dalla Libia s’era portata una palma che vivacchiava asfittica in mezzo al ghiaietto del giardino, ma che cosa ce l’ha a fare uno un giardino se anziché l’erba ci mette la ghiaia e una palma? 
La maestra mi chiamava zuccone e perdeva le salive tanto si arrabbiava. Ma quando mia mamma mi veniva a prendere, lei si faceva ossequiosa, mi carezzava sulla testa e le diceva “è proprio un bambino dotato.” 
Non so come, ma ho imparato a scrivere. Ormai era la fine dell’anno scolastico e a settembre sarei stato iscritto alla seconda. Per festeggiare mi hanno comprato un diario e io per abituarmi al prossimo primo giorno di scuola e non fare figuracce, l’ho riempito con una sola frase ripetuta all’infinito “ho sei anni compiuti il quattro settembre.” 
Senza pensare che nel frattempo gli altri ne avevano compiuti sette. 

 
©2006 ArteInsieme, « 014032032 »