I racconti di Versailles
LA PRIMA NOTTE DI LUIGI XVI
Racconto primo
Maria Teresa d'Austria
nel 1736 andò in sposa al principe Francesco di Lorena, uno degli uomini più
belli del suo tempo, ed
ebbe la fortuna, rarissima tra le giovani del suo rango, di legarsi a qualcuno
che le piaceva davvero. Lo dominò e ne fu rapita, gli si concesse con tale
trasporto che per un intero ventennio rimase incinta. Quando l'imperatore morì, Maria Teresa cadde
in depressione, si tagliò i capelli che erano stati il suo orgoglio, non mangiò
e non dormì, si vestì di nero, calcolò ossessiva le ore insieme 258.774. Faticò
molto a riprendersi ma la sua ferrea salute alla fine
ebbe il sopravvento e a quel punto, quasi prosecuzione della naturale
prolificità, ragione di vita per lei divenne l'espansione della dinastia e
degli stati. Usò i suoi figli per raggiungere questo scopo: i maschi furono
chiamati a responsabilità di governo, a prescindere dalle loro inclinazioni, le
femmine a contrarre matrimoni vantaggiosi per gli Asburgo.
Malgrado avesse avuto una famiglia affettivamente armoniosa - o al contrario
forse proprio perché non aveva mai conosciuto la sofferenza di questa
privazione - non
considerò che ciò fosse importante anche per loro: fu una madre rigida,
insensibile e invadente. Ma tutta la nobiltà europea all'epoca pensava che
l'imperatrice fosse un esempio.
Da anni Maria Teresa coltivava una grande
ambizione: consolidare l'alleanza con la Francia attraverso le
nozze di una delle figlie più piccole, le adolescenti arciduchesse, con l'erede al trono Luigi Augusto, nipote di Luigi XV. Così quando nel 1768 Maria Teresa seppe che il re di
Francia era rimasto vedovo, se ne rallegrò molto e studiò subito un doppio
affare: offrire a Luigi XV ormai sessantenne la sedicenne Elisabetta, al nipote Antonia
di appena tredici anni. Ne parlò un giorno con il conte Mercy-Argentau,
ambasciatore austriaco a Versailles. Pranzando con lui a Hofburg,
in uno dei suoi lussuosi appartamenti, l'imperatrice gli confidò i suoi piani.
L'elegante, dinoccolato Mercy, servendosi la verdura
che sempre consigliava Van Swieten, il celebre medico di
corte, le diede una delusione:
-
Maestà devo purtroppo mettervi al corrente che il Re di Francia si è saputo
consolare con una favorita bellissima e molto giovane… la Contessa du Barry…
-
La Contessa Du Barry?
-
Così è stata insignita… – Mercy-Argenteau le si avvicinò abbassando la voce - in realtà un sedicente conte Du Barry l'ha fatta prima sua
amante, poi prostituta d'alto bordo… e poi Luigi XV…
-
Oh, mio Dio!
-
Per dare alla fanciulla prove di nobiltà – continuò il
fedele Mercy-Argenteau – il duca di Richelieu ha scovato una contessa decaduta che per danaro
si è prestata a far da madrina… a Versailles non si parla d'altro… madame du Barry è potentissima, Luigi XV
stravede per lei…
***
Ma il destino condusse gli eventi in
modo che il re di Francia ritenesse infine utile inviare la proposta di
matrimonio tra il delfino Luigi
Augusto e l'arciduchessa Antonia, quindicesima figlia di Maria Teresa.
La domenica di Pasqua del 1770 l'ambasciatore francese, in qualità di
rappresentante di Luigi XV, fece pubblicamente ingresso a Vienna alla testa di
quarantotto magnifiche carrozze, trainate ciascuna da sei cavalli e scortate da
centodiciassette fanti. A Vienna i festeggiamenti presero l'avvio.
Dopo aver fatto ufficiale rinuncia al diritto
di successione alla madre, nei giorni seguenti la piccola Antonia,
dovette congedarsi con dolore dalla corte viennese e partire per il regno di
Francia. Un viaggio di otto-nove ore quotidiane su una carrozza che velluti e oro
non rendevano più comodo, attraverso stati asburgici,
principati, città-stato tedesche, tenendosi accanto Mops, l'adorato cane, un carlino fulvo, unico legame
fisico con ciò che lasciava. Tre settimane dopo giunse all'isola delle Spezie,
una lingua di terra in mezzo al Reno considerata neutrale, scelta per la sua consegna
alle autorità francesi. Sull'isola per quella cerimonia, chiamata del commiato,
era stato costruito un piccolo castello di legno che comprendeva cinque stanze
- due in territorio austriaco, due in quello francese, una in centro – che i
ricchi di Strasburgo avevano contribuito ad arredare con mobili e suppellettili.
Il giorno stabilito Maria Antonietta, tutta vestita d'oro, frastornata,
collocata dalla delegazione austriaca su un palco preso in prestito dall'università
luterana, poté ammirare la sala centrale ornata di arazzi: grandi e vivaci
rappresentavano il mito di Medea che, respinta dall'amato Giasone, per punirlo
aveva ucciso i figli. Davanti a quella macabra rappresentazione, uno
sconosciuto visitatore di nome Wolfgang Goethe, a quel tempo studente di legge a Strasburgo, era
rimasto scandalizzato al punto da annotarlo nei suoi libri. Ma la futura Maria
Antonietta stanca, stressata dal cambiamento e interessata ad altro, non ci
fece caso: del resto non ne conosceva il significato perché, a parte il fatto
di essere molto giovane, detestava lo studio.
Gli addii furono strazianti: Antonia non poté tenere con sé nemmeno Mops.
-
Devi separartene – disse
Mercy-Argenteau guardandola dalla sua alta statura.
-
Ma perché?!
-
Adesso sei in territorio francese.
-
E allora?
-
Questi sono gli ordini.
Mentre il cagnolino veniva
condotto via la ragazzina scoppiò in lacrime.
***
Il 14 maggio 1770 la Delfina
giunse a destinazione a Compiégne, residenza di
campagna dei reali, attigua a una verdissima foresta. Si erano dati appuntamento
nel punto in cui la strada attraversava il fiume Oise,
sul ponte di Berne, dove la natura respirava. Luigi XV arrivò in una carrozza
sulla quale avevano trovato posto tre delle sue figlie
nubili e il promesso sposo Luigi Augusto che stranamente sembrava seccato
dell'incombenza. Il re di Francia, al contrario, non vedeva l'ora di appagare
la curiosità: si trovò di fronte un'adolescente non molto alta, snella, scarsa
di petto, chiara di pelle, di occhi e di capigliatura. Una tipica austriaca la
cui fronte spaziosa, il naso aquilino, il labbro inferiore pronunciato,
conferivano un'aria rispettabile. Non ne
fu deluso. Antonia era stata pettinata alla francese,
portava un abito con la crinolina, sontuoso e gonfio come una vela. Mentre a
distanza la folla curiosa l'acclamava, il duca di Choiseul,
che aveva curato le trattative matrimoniali, le diede il benvenuto. Poi si
fecero avanti Luigi XV e il Delfino
in una profusione di cerimonie e inchini. Antonia
salì in carrozza sedendo tra i due. Sbirciava lo sposo con la coda dell'occhio
trovandolo ordinario: corpulento, pienotto di viso, l'aria imbronciata sotto le
scure sopracciglia. Lui, visibilmente imbarazzato, non la guardava. Antonia prese a
conversare con il vecchio re. Quel giorno, il futuro Luigi XVI, non degnò la
nuova arrivata di una sola gentilezza. Rassegnato agli eventi, ai quali si
sentiva obbligato, prima di coricarsi si limitò a scrivere sul diario “Incontro
con madame Delfina”. Fu tutto. Ma la sera Maria Antonietta ebbe la sorpresa di trovare in bella mostra sulla
toilette, riflessi nella grande specchiera dalla cornice dorata, i gioielli di valore inestimabile che erano
appartenuti alla regina defunta e che avrebbe indossati il giorno delle nozze,
16 maggio 1770.
Quindici anni lei, sedici lui: l'età degli
sposi. Il popolo era stato invitato al matrimonio: nella reggia di Versailles,
nei suoi giardini, ammessi tutti coloro che erano vestiti decentemente, nelle
strade, nelle piazze il cibo distribuito, il vino versato a chi voleva brindare
alla loro salute. Al mattino, attraversando i cancelli del celebre palazzo, la Delfina
fu sbalordita dall'andirivieni. Carpentieri, pirotecnici, tappezzieri,
mobilieri, cuochi. Il cortile dei marmi, col suo ammattonato di losanghe
bianche e nere, lavato da poco sembrava risplendere. Poi una moltitudine di
dame di corte, cameriere, acconciatrici, la rapì per la
toilette. All'una, in uno splendido abito di broccato bianco, Maria
Antonietta entrò nella stanza del re dove il Delfino la stava aspettando.
Lui le diede la mano come
richiedeva il protocollo e la condusse dove i cortigiani li attendevano, nella
galleria degli Specchi di cui ogni corte europea invidiava lo scintillio di
luci sotto soffitti d'oro. L'arcivescovo
di Reims celebrò la funzione religiosa nella cappella
di Versailles.
Galantina d'uccelli, fagioli alla bretone, cavolfiori alla parmigiana, pane ai funghi,
aringhe alla mostarda, piccoli paté,
trota alla Chambord, sogliola alle erbe fini, luccio
alla polacca, merluzzo alla crema, arrosto di montone di Choisy,
manzo alla scarlatta, piccioni all'ortolana, tordi, fagiani, crema alla Genest, profiterolles, dolce di
Baviera, innaffiati di borgogna e di champagne, erano
solo alcune delle portate del fastoso banchetto che, accompagnato da musiche e
luminarie, seguì la cerimonia. Luigi Augusto e Antonia,
storditi, fecero appena un assaggio. A
notte, dopo la cena, ebbe inizio l'antica cerimonia che i francesi chiamavano
del coucher. Furono accompagnati nella loro camera,
immensa, con grandi specchi e drappi di broccato. Tradizione voleva che la corte fosse presente
la prima notte che i principi andavano a letto insieme. Luigi XV, in segno di
stima, diede la propria camicia al Delfino e la duchessa di Chartres,
nuora del primo principe di sangue reale, la sua alla Delfina.
L'arcivescovo benedì il talamo davanti a cui stavano
gli sposi: Maria Antonietta con studiata compostezza, Luigi Augusto, malgrado
gli incoraggiamenti del nonno libertino, con enigmatico mutismo, bloccato
dall'ansia della prestazione. I due si infilarono sotto le
lenzuola studiati dalla folla: le cortine del baldacchino vennero
chiuse, poi di nuovo riaperte perché il mondo constatasse che giacevano
insieme. Quando, dileguati i presenti, rimasero soli, storditi dalle cerimonie, impacciati, non
fiatarono e non si avvicinarono l'uno all'altra. Del resto oltre a non
conoscersi parlavano lui francese e lei tedesco. Fu Maria Antonietta a esordire
nella lingua del consorte che aveva imparata dall'abate Vermond,
suo precettore sin dai tempi di Hofburg:
-
Mi sembrate molto provato.
-
Si madame, sono molto stanco.
-
Non preoccupatevi, abbiamo tempo.
La giovinetta fece scivolare la sua mano verso quella del Delfino ma, impercettibilmente, lui si ritrasse. Silenzio
pesante. Antonia raschiò la gola:
-
Dormite?
-
Non ancora.
-
Nemmeno io.
Lei
avvertiva il suo respiro lieve. Dei colpetti di tosse imbarazzati. Si girarono
su un fianco voltandosi le spalle. Sapendosi lontano da
casa, Maria Antonietta provò una fitta: il viaggio era durato quasi un mese e
ora cominciava un'esistenza diversa, se ne rendeva conto perché il peso di quei
giorni turbinosi le cadeva addosso. Pensava a sua madre, alla quale aveva
sempre ubbidito per farsi amare e dalla quale non si era mai sentita
completamente protetta. Pensò alla sorella data in sposa a un sovrano debole di
mente per consolidare gli Asburgo nel regno di Napoli
e ricordò quello che la mamma aveva scritto sulla sorella : “Sarò contenta
finché adempirà ai suoi doveri verso Dio e verso suo marito e si guadagnerà la
salvezza, anche se questo la renderà infelice”. Lei, cosa l'aspettava? Sarebbe
stata felice?
Il Delfino immobile intuiva l'alba dietro
le grandi vetrate, non aveva chiuso occhio tutta la
notte, prostrato come davanti a troppi esami. Il futuro Luigi XVI era un
insicuro. I suoi genitori avevano prediletto con decisione il fratello
maggiore, un bambino che ritenevano dotato di tutte le virtù adatte a un
principe ma
che, come spesso accadeva a quel tempo, era morto in tenera età. Luigi, quasi
ne avesse usurpato il titolo,
ora non si sentiva degno della sorte regale. Quando sua madre e
suo padre morirono di tubercolosi, passò
nelle mani del duca di La Vauguyon, tutore
autoritario e meschino che finì di castrare la sua fragile personalità e
ne accentuò l'introversione. Convinto di non suscitare interesse non osava
lasciarsi andare all'amore di nessuno.
Al mattino i domestici non permisero agli
sposi di oziare a letto perché la giornata era dedicata alla noiosa
presentazione alla Delfina di una schiera infinita di cortigiani.
Maria Antonietta si alzò,
con rassegnata compostezza si affidò
alle dame per la vestizione. In un
momento in cui si trovò solo il futuro Luigi XVI appuntò velocemente sul diario:
“Nulla”.
***
Nei giorni seguenti la Delfina
cercò spesso l'abate Vermond, che da Vienna l'aveva seguita a Versailles e del
quale ora, in terra straniera, sentiva di avere ancora più bisogno. L'arciduchessa non sapeva come ci si dovesse
comportare tra marito e moglie e provava un certo imbarazzo a parlarne con il sacerdote ma, proprio per questo, la sua benedizione era
importante.
-
Fino ad oggi il Delfino
non mi ha baciata, non mi ha neanche toccato la mano - si confidava percorrendo
con lui in carrozza i vialetti intorno all'aranceto, così perfetto da sembrare
finto.
- Date
tempo al tempo e non preoccupatevi – rispose
l'abate, che aveva sempre saputo guadagnarsi con tatto e discrezione la
sua benevolenza e che, rassicurandola, aveva
cementato il suo incarico. Ma la notizia in realtà era sulla bocca di
tutti e, seppur sembrasse prematuro dolersene troppo, non era apparsa di buon
auspicio, come non lo era la sciagura del 30 maggio, giorno in cui i
festeggiamenti nuziali si erano conclusi a Parigi con uno spettacolo di luminarie, spari e
fuochi d'artificio.
Al termine dei fuochi notturni la folla
tumultuosa che si era radunata sull'immensa piazza
Luigi XV, oggi Place de la Concorde, ansiosa di andare a far baldoria
nei boulevards aveva imboccato nel buio pesto la rue Royale, sventrata da canali
in costruzione. Quasi senza accorgersene i parigini vi era caduti dentro come
topi, uno sull'altro, schiacciati, calpestati, soffocati, insieme a cocchieri e cavalli. Il
panico, dilagato in un pigia-pigia mortale, aveva fatto il resto e alle prime
luci dell'alba il numero dei deceduti era arrivato a centotrentatre. L'elemosina di Luigi Augusto e di Maria
Antonietta non ripagò il dolore dei sopravvissuti.
***
Con gli anni la confidenza tra il Delfino e madame si
approfondì ma non il loro rapporto fisico. I due giovani a volte si evitavano e
accennavano alla “cosa” con imbarazzo. Il povero Luigi, che viveva il problema
come un imputato sul banco, era sotto stress, tanto più che qualcuno aveva iniziato
a ventilare la necessità di un'operazione chirurgica. Per rilassarsi amava ritirarsi
nella residenza di Compiégne, castello che suo nonno
stava facendo ristrutturare, vicino alla foresta nella quale preferiva andare a caccia.
Un giorno il futuro re di Francia riuscì
finalmente a dire alla moglie :
-
Non ignoro ciò che il matrimonio comporta. Vivrò con voi in intimità coniugale
durante il tradizionale soggiorno estivo della corte a Compiègne.
-
Dal momento che dobbiamo vivere in intima amicizia – rispose Maria Antonietta –
dobbiamo fidarci e parlare di tutto tra di noi.
Tuttavia quando giunsero a Compiègne,
così invitante con la sua aria fresca e boscosa, il Delfino mangiò tanto, come spesso accadeva, ma questa volta al punto da averne
un'indigestione molto seria. Che lo avesse fatto apposta? Fatto sta che si
sentì male, vomitò, ebbe
la febbre e di nuovo fu deciso che i due
dormissero separati. Le notizie che arrivavano dalla Francia
esasperavano Maria Teresa d'Austria: l'inettitudine del genero rischiava
infatti di mandare a monte quel capolavoro strategico che aveva tessuto in anni di rapporti diplomatici
e per di più sua figlia sembrava non saper far fronte all'impasse. Luigi
Augusto si sottopose alle
cure dei medici: fece bagni, bevve pozioni, ingerì limatura di ferro. Fu
auspicato nuovamente un intervento ma il chirurgo, per
fortuna, stabilì che avrebbe peggiorato il suo stato psicologico e che tutto
dipendeva solo dalla sua volontà. Il nonno, che di persona aveva controllato
che non ci fossero malformazioni, fu d'accordo. Luigi, che di regnare avrebbe
fatto a meno bisognoso com'era di affetto, malgrado i
problemi sembrava essersi affezionato
alla moglie che gli avevano imposto, e spesso si ritirava con lei per
cenare da soli. Finalmente tre anni dopo la Delfina scrisse una lettera alla madre nella
quale affermava che il marito era stato “ più premuroso del solito”. Era
accaduto proprio a Compiègne: lui assicurò di aver fatto sua Maria
Antonietta e il nonno raggiante, presi i nipoti per mano, li baciò. In realtà il regale giovanotto era riuscito
soltanto a deflorarla senza completare l'atto e per molto tempo ancora Maria
Antonietta non rimase incinta.
Nel 1777 accade un fatto nuovo. Giuseppe II, imperatore d'Austria
e del sacro romano impero, fratello di Maria Antonietta divenuta nel frattempo
regina di Francia, decise di affrontare la fatica del viaggio per recarsi a
trovare la coppia infeconda, con l'intenzione di esaminare accuratamente il
caso. Viaggiava sotto le false spoglie del “conte di Falkestein”
e quando arrivò a Parigi il suo ambasciatore Mercy-Argenteau
non poté riceverlo perché era a letto sofferente di emorroidi. L'imperatore non
se ne curò e preferì prendere alloggio in una locanda di Versailles evitando di
partecipare ai rituali mondani della corte. Ma fu assiduo con i due coniugi,
per tre settimane li studiò, li rimproverò e li sorresse, quando finalmente
riuscì a capirne il mistero, in una lettera al fratello Leopoldo, Granduca di
Toscana, spiegò dettagliatamente: Luigi
ha erezioni forti, di buona tenuta; introduce il membro, resta là un paio di
minuti e si ritira senza mai eiaculare, sempre in erezione, e augura la
buonanotte… Si accontenta di questo dichiarando semplicemente che lo fa solo
per dovere e non prova alcun piacere. Ah, se potessi essere presente una volta
gliel'avrei fatta vedere io! Bisognerebbe frustarlo per farlo eiaculare di
rabbia come gli asini.
***
Luigi XVI aveva un blocco psichico, dal quale neanche i re sono esenti. Ma gli altri di affannavano tanto perché la
nascita di un erede aveva precise implicazioni politiche, garantiva la
continuazione della monarchia ereditaria e di ascendenza divina, era la
vittoria della vita sulla morte! Sicché
quando, a tre mesi dalla partenza di Giuseppe II, a sette lunghi anni dalle
nozze, Maria Antonietta scrisse alla madre che il matrimonio era stato
realmente consumato e che la prova si
era ripetuta, il fratello di Luigi XVI che aspirava al trono per il proprio
primogenito, rimase deluso, ma tirarono un sospiro di sollievo l'Imperatrice
d'Austria e tutti coloro che avevano nella faccenda qualche interesse. Anche se i costumi andavano mutando e spirava
un filosofico vento di liberazione, la vita dei sovrani coinvolgeva, eccome! Si
sa che era soprattutto la vita sessuale quella che, come oggi, suscitava la più
grande curiosità e i più forti sentimenti di odio e di amore.