Antonia
di
Marina Pasqualini
Quel
mattino di settembre aveva scelto di partecipare ad una bella
iniziativa promulgata dal Comune del suo paese: una passeggiata di
cinque km attraverso i boschi della verde Brianza. Ci era andata da
sola, convinta che avrebbe fatto nuove conoscenze. Partirono e, nel
primo tratto, si ritrovò a camminare in solitaria, nel senso
che molti erano arrivati in compagnia e chiacchieravano animatamente
tra loro. Ad un tratto, dal gruppetto di quattro donne che
procedevano davanti a lei, se ne staccò una e venne ad
affiancarla, probabilmente perché quel tratto di marciapiedi
non era largo a sufficienza per contenerle tutte. La cosa la
rallegrò, perché cominciava a sentire il disagio
dell’isolamento. Antonia, questo il nome di quella signora
dagli occhi ridenti, dalla figura in evidente sovrappeso, dal sorriso
che mostrava una fila di denti piuttosto malconcia. Iniziarono a
chiacchierare del più e del meno. Alla fine del percorso, notò
che le mani della nuova compagna di avventura erano prive di quattro
dite, la destra, e di due, la sinistra. Antonia, alla sua domanda,
rispose che sì, era stato un incidente, molti anni prima,
allorché le sue mani caddero sotto una trancia, al lavoro. Ma
che lei riusciva comunque a fare tutto, compreso la guida dell’auto,
che conduceva in maniera un tantino spericolata. E poi le era anche
morta l’unica figlia, a diciannove anni. Per finire, Antonia
spiegò alla nuova amica, di essere rappresentante di prodotti
di bellezza.
Lei
incarnava una capacità di accettazione della realtà a
dir poco sconcertante. Era una lezione di vita che si era presentata
al cospetto della donna, le cui caratteristiche caratteriali ne erano
agli antipodi. Lei sempre timorosa, piena di complessi pur non
avendone motivo. Tale e tanta divenne la sua ammirazione, che Antonia
le appariva bella, pur essendo estranea ai canoni universali di
bellezza. Persino i messaggi che le inviava, tutti pieni di acca
mancate o altro, le scaldavano il cuore di un’amicizia
semplice, genuina.
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