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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Un nome da poeta, di massimolegnani 12/04/2018
 

Un nome da poeta

di massimolegnani



Aveva capelli crespi più di un Eritreo, occhi spiritati da sciamano dell’Africa Centrale, e un volto così pallido da rendere scura la pelle di un pastore lappone. Sembrava una miscela di latitudini improbabili, un minestrone di razze poco assortite, eppure era di Vigevano, un Gualtieri autoctono, potevi risalire come un salmone per generazioni e ancora ti ritrovavi immerso tra le case di questa città. Non si era mai allontanato più che tanto da quel posto, ma anche in quel posto ci stava a disagio come in una camicia le cui asole non corrispondono ai bottoni. Forse era colpa del nome che suo padre gli aveva appioppato come una traccia obbligatoria da seguire.

Spiridio!

Non scelse Spiridione che almeno figurava nell’agiografia ufficiale. No, Gualtieri padre, stimato professore di greco, smarrì le coordinate cerebrali quando, ormai prossimo alla pensione, ebbe notizia dell’insperato arrivo di un erede. Per lui volle un nome che, a detta sua, fosse un invito alla poesia, chissà poi per quali arcane strade, ma che non fosse appartenuto in precedenza a poeti e santi. Insomma un nome che costituisse un esemplare unico, manco si trattasse di francobolli rari. Il professore di notte sognava il figlio cinto d’alloro e insignito del Nobel, di giorno gli recitava Catullo, Saffo, Orazio, in latino o in greco al posto delle favole di Esopo. E poi per anni aveva continuato a martellarlo con le opere dei più svariati autori antichi.

Ma Spiridio non scrisse mai nemmeno un verso in tutta la sua vita, che fu breve e storta. Tutta quella poesia ingurgitata a forza, come l’oca il pastone dall’imbuto, lo aveva nauseato prima ancora che avesse raggiunto l’età della ragione, e, a dire il vero, anche in seguito di ragione ne raggiunse proprio poca. Una vita semplice, la sua, garzone di fornaio per le consegne a domicilio quando abbandonò la scuola in terza superiore, poi una modesta carriera fino a responsabile del forno, ma mai arrivò ad avere una panetteria tutta sua.

Spiridio aveva un’unica passione, camminare fin dove lo portavano le scarpe. E le scarpe il più delle volte lo portavano sulla riva del Ticino. Lì passava ore a guardare gli uccelli in cielo e a immaginare i pesci in acqua. Poi passeggiava lungo il greto a cercare sassi che fossero piatti e levigati, possibilmente chiari. Tirava fuori dalla tasca dei pastelli a cera e dipingeva i sassi di figure stravaganti o solo di macchie di colore.

Non so che fine abbia fatto Spiridio, qualcuno dice che se n’è andato a far fortuna altrove, altri che è morto, forse annegato. Presto nessuno si ricorderà di lui, ma se andrete, anche tra vent’anni, sul Ticino dalle parti di Vigevano, quasi certamente vi capiterà d’imbattervi, qua e là nei pressi della riva, in piccole pile di sassi dai colori accesi. Guardatele col rispetto dovuto a una minima poesia.


 
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