Un
nome da poeta
di
massimolegnani
Aveva
capelli crespi più di un Eritreo, occhi spiritati da sciamano
dell’Africa Centrale, e un volto così pallido da rendere
scura la pelle di un pastore lappone. Sembrava una miscela di
latitudini improbabili, un minestrone di razze poco assortite, eppure
era di Vigevano, un Gualtieri autoctono, potevi risalire come un
salmone per generazioni e ancora ti ritrovavi immerso tra le case di
questa città. Non si era mai allontanato più che tanto
da quel posto, ma anche in quel posto ci stava a disagio come in una
camicia le cui asole non corrispondono ai bottoni. Forse era colpa
del nome che suo padre gli aveva appioppato come una traccia
obbligatoria da seguire.
Spiridio!
Non
scelse Spiridione che almeno figurava nell’agiografia
ufficiale. No, Gualtieri padre, stimato professore di greco, smarrì
le coordinate cerebrali quando, ormai prossimo alla pensione, ebbe
notizia dell’insperato arrivo di un erede. Per lui volle un
nome che, a detta sua, fosse un invito alla poesia, chissà poi
per quali arcane strade, ma che non fosse appartenuto in precedenza a
poeti e santi. Insomma un nome che costituisse un esemplare unico,
manco si trattasse di francobolli rari. Il professore di notte
sognava il figlio cinto d’alloro e insignito del Nobel, di
giorno gli recitava Catullo, Saffo, Orazio, in latino o in greco al
posto delle favole di Esopo. E poi per anni aveva continuato a
martellarlo con le opere dei più svariati autori antichi.
Ma
Spiridio non scrisse mai nemmeno un verso in tutta la sua vita, che
fu breve e storta. Tutta quella poesia ingurgitata a forza, come
l’oca il pastone dall’imbuto, lo aveva nauseato prima
ancora che avesse raggiunto l’età della ragione, e, a
dire il vero, anche in seguito di ragione ne raggiunse proprio poca.
Una vita semplice, la sua, garzone di fornaio per le consegne a
domicilio quando abbandonò la scuola in terza superiore, poi
una modesta carriera fino a responsabile del forno, ma mai arrivò
ad avere una panetteria tutta sua.
Spiridio
aveva un’unica passione, camminare fin dove lo portavano le
scarpe. E le scarpe il più delle volte lo portavano sulla riva
del Ticino. Lì passava ore a guardare gli uccelli in cielo e a
immaginare i pesci in acqua. Poi passeggiava lungo il greto a cercare
sassi che fossero piatti e levigati, possibilmente chiari. Tirava
fuori dalla tasca dei pastelli a cera e dipingeva i sassi di figure
stravaganti o solo di macchie di colore.
Non
so che fine abbia fatto Spiridio, qualcuno dice che se n’è
andato a far fortuna altrove, altri che è morto, forse
annegato. Presto nessuno si ricorderà di lui, ma se andrete,
anche tra vent’anni, sul Ticino dalle parti di Vigevano, quasi
certamente vi capiterà d’imbattervi, qua e là nei
pressi della riva, in piccole pile di sassi dai colori accesi.
Guardatele col rispetto dovuto a una minima poesia.
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