Antonio
e l'odore del mare
Quelli
della Cooperativa erano stati gentili. Anche se non lo avevano mai guardato
negli occhi. In due, si erano messi, per dirgli che non avrebbero mai voluto,
ma purtroppo…
Erano
mesi che le reti venivano su come mammelle vuote. Settimane che molte barche
neppure uscivano. I pesci sembravano essersene andati altrove. Qualcuno, nel
bar, di quelli che leggevano il giornale ogni mattina, diceva che era colpa del
buco nell'ozono.
E tre
giorni prima il motore dell'Anita
aveva cominciato a sputacchiare, ad ansimare come un moribondo. E poi se ne era
stato zitto, lasciando tutti annichiliti.
Venerdì
17, aveva detto fra i denti Elvira, mentre s'arrabattava sudando sull'asse da
stiro. Venerdì 17 la disgrazia di tuo padre, venerdì 17 ho bruciato il lenzuolo
della contessa. E oggi, che pure è venerdì 17, l'Anita…
Antonio
era quasi sollevato che non fosse, quel giorno, un altro venerdì 17. Quando
avrebbe detto alla madre del licenziamento, almeno si sarebbe risparmiato di
ascoltare quella litania.
Uscì dal
basso edificio della cooperativa. Sul molo la Zara stava riparando una rete
della barca del marito. L'unica donna del paese che accomodava le reti. Il
ragazzo pensò di andare da lei e raccontarle il fatto. La Zara era meglio di un
uomo, per capire certe cose. Ma poi avvertì che l'unico desiderio che aveva era
starsene da solo e si avviò verso la spiaggetta. Si
sentiva svuotato, più stanco che se avesse passato notti e notti a tirare su
reti.
Si
sedette sul solito scoglio. Lo scoglio della consolazione, lo chiamava. Ci
veniva sempre quando era triste. Il suo sguardo si
perse nell'azzurro dell'acqua.
“Antonio,
la vita del pescatore è dura, ma non potrei fare un altro mestiere. C'è tutto,
su una barca: la fatica, ma anche la soddisfazione. E l'amicizia, la
solidarietà. E poi l'odore. Nessun odore è più bello di quello dell'Anita, di quello del mare. Neanche il
profumo che tua madre si mette alla domenica. E' un
odore vivo, che parla. “
Suo padre
lo portava sempre allo scoglio, quando voleva parlargli. Come quella volta,
alla fine della terza media, quando gli aveva spiegato, con una voce incerta e
dolce come mai aveva avuto, che la scuola finiva lì. Che gli dispiaceva, che
sapeva che lui era il primo della classe, ma che di soldi ce n'erano pochi. E
che, adesso che erano arrivate le gemelle, anche meno, ce ne sarebbero stati. E
che la scuola era in città, e che lui, Antonio, avrebbe
dovuto andare in convitto, e che il convitto costava, e che i libri
costavano. E che tutto costava, in città.
Aveva
sussurrato “Scusami, figlio” e la voce gli si era arrochita. “Ma vedrai,” aveva aggiunto con voce più sicura “ ti piacerà la vita
in mare. Io non potrei avere un'altra vita che questa.”
Antonio,
invece, all'inizio quella vita l'aveva odiata. L'odore era puzza, gli dava la
nausea; di amici, fra quegli uomini così più grandi di lui, che gli facevano
battute che lui non capiva, non se ne era fatti. Anche suo padre gli sembrava
un estraneo, sull'Anita. Rimaneva
solo la fatica. E la nostalgia dei libri che aveva imparato ad amare, e dei
compagni che se ne erano andati in città, in convitto se ne erano andati… Anche
quelli che a scuola erano molto meno bravi di lui. Ma i loro padri non erano
pescatori, e non avevano messo al mondo due gemelle che si succhiavano i pochi
soldi che c'erano.
Poi era
successa una cosa. La sua vecchia insegnante di lettere, un giorno che aveva
portato a Elvira
la biancheria da stirare, aveva lasciato anche un libro: “Il vecchio e il
mare”. “ Per Antonio.”, aveva detto. “Gli piacerà.”
Eccome se
gli era piaciuto. Non avrebbe saputo dire quante volte lo avesse riletto. Ma
era successo che attraverso un libro, attraverso parole di carta, Antonio si
era innamorato del mare. Aveva imparato a sentirne il profumo, la forza, a capirne
la bellezza, ad avvertire la sfida, attraverso il cuore di uno scrittore morto
da decenni. E allora era stato tutto più facile.
Poi la
disgrazia. Una notte in cui il mare aveva arrogantemente alzato la posta della
sfida che da sempre lancia agli uomini, suo padre era caduto in acqua. E in
quel nero e bianco delle onde impetuose era rimasto.
Antonio
aveva quindici anni, la barca aveva sempre bisogno di riparazioni, le gemelle
crescevano e sembravano mangiarsi pure l'aria. Sul tetto della casa si era aperta
improvvisamente una breccia. E saltò fuori anche che suo padre non era mai
stato assicurato, neppure all'Inail, era iscritto.
Bisognò
vendere l'Anita, se la comprò la
Cooperativa. Con la promessa che il posto di lavoro di Antonio sarebbe stato
per sempre.
Ma poi.
Le reti
sempre più vuote, i pescatori che non uscivano più, quel mare che sembrava
essersi stancato di essere sfruttato. Solo la Zara continuava a rammendare le
reti del marito, anche se lui da un po' sulla barca non ci saliva. Ma la Zara era
una donna forte, credeva nella vita, lei. Meglio di un uomo, era.
Ed era
arrivata la chiamata della Cooperativa. Non riusciamo più a pagarti, gli
avevano detto. Sei il più giovane, tu. Non possiamo mettere a casa padri di
famiglia, capisci, vero? E lui aveva pensato: io ho famiglia, sono anch'io un
capo famiglia. Ma se ne era stato zitto. Perché quello che gli era arrivato
come un pugno nello stomaco non era stato il pensiero dei soldi. Ma capire
all'improvviso che non ci sarebbero state più quelle notti, con i motori delle
barche che con il loro sommesso brontolio tenevano sveglie le stelle, con
l'aria fresca che pungeva gradevolmente il viso. Con quell'odore.
Ti parlava, quell'odore.
“Nel
paese qui vicino stanno costruendo un complesso residenziale.”
avevano aggiunto. “Hanno bisogno di manovalanza. E
poi, sai, sembra che il turismo stia arrivando finalmente anche qui. Case,
alberghi… Vedrai. Ti aiutiamo noi a trovare un posto.”
Il sole
stava calando. Lo scoglio perdeva lentamente il suo calore. Antonio si era
riempito lo sguardo di mare. Era come se lui stesso fosse diventato tutto
azzurro. Aveva parlato con suo padre, gli aveva raccontato del licenziamento,
di come gli sarebbe mancata quella vita. Anche la fatica, papà, gli aveva
detto, anche quella mi mancherà. Gli sembrò di sentire una carezza sui capelli,
e la voce del padre che gli diceva: ma il mare nessuno potrà togliertelo. E'
tuo, il mare.
E' con Amid che sale per la prima volta al piano più alto
dell'edificio. Fino a ieri Antonio ha fatto lavori negli scantinati.
La
fatica. Solo la fatica avverte di quel lavoro. E la terra ferma sotto i piedi.
Nessun dondolio. E nessun odore.
Parte
all'alba da casa e la corriera lo porta fino a qui.
E' in
corriera che ha fatto amicizia con Amid. Lui viene
dal Marocco, da un piccolo paese sul mare. Ha tre anni più di Antonio. Anche
nei suoi occhi c'è la nostalgia per una vita diversa. Forse anche lui pensa a
odori che non può più sentire.
Salgono
per quelle scale che hanno gradini appena accennati. Salgono in silenzio,
tenendo stretto il sacchetto con il pranzo.
L'ultimo
piano è il settimo. Avanzano nello spazio non ancora suddiviso da pareti, e
ingombro di materiale edile. Si siedono sul bordo, le gambe che dondolano
leggermente nel vuoto. Tirano fuori i panini dai sacchetti. Cominciano a
masticare lentamente, lo sguardo che si perde nel panorama.
“Guarda!”
esclamano contemporaneamente.
Laggiù,
al di là di quella campagna che sta per essere urbanizzata per sempre, al di là
della autostrada dove le automobili mandano bagliori accecanti, al di là del campanile del paese vicino, brilla un riflesso di
azzurro.
Un fresco
odore salmastro si posa sulle mattonelle pronte per la posa.
Si sta
bene, lassù. Quasi come in Marocco. Proprio come sull'Anita.