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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Sfiorando appena la parola amore, di massimolegnani 23/04/2018
 

Sfiorando appena la parola amore

di massimolegnani



Serse era cresciuto in fretta, imparando la geografia dai finestrini del camion e l’italiano dal miscuglio di dialetti che incontrava sul cammino. Le parole scritte erano arrivate più tardi, rubate ai giornaletti e ai rari libri sfogliati nei lunghi pomeriggi passati sui gradini del carrozzone, quando suo padre gli diceva sloggia che ho da fare. Il da fare di suo padre era dormire mezzo ubriaco o spassarsela con una bionda se prevaleva l’altro mezzo. 
Era cresciuto in fretta, Serse, per una spinta naturale verso l’alto provocata dall’ambiente, come un pioppo che in mezzo a tanti simili a lui sgomita e s’allunga a raggiungere la sua porzione di cielo. Chiamarlo circo, quell’ambiente, sarebbe stato usare una parola troppo grossa, un gruppo di girovaghi piuttosto, di quelli che ancora battevano i paesi fino a poco tempo fa, ciascuno con una piccola destrezza da sfruttare andando di piazza in piazza, chi a correre sul filo, chi a sputare fuoco, chi a contorcersi su un tavolo, chi a incantare tortore come fossero serpenti. Suo padre era il lanciatore di coltelli, ma non tutte le sere, infatti se beveva il numero saltava. Oltre a quello non sapeva fare altro, tantomeno il padre. Ma due cose al figlio, pur senza volerlo, le andava insegnando: la pazienza del ragno e la precisione delle lame. E se sulle lame c’era poco da aggiungere perché Ernesto, il padre, i coltelli li tirava con un’esattezza mozzafiato, sul ragno ci sarebbe stato da eccepire, perché tesseva la sua pigra tela unicamente per impigliarci qualche donna. Non gl’importava quale da quando Armida era scappata con il nano, che Serse ancora le ciucciava il seno. 
A quindici anni il ragazzo, ciuffo studiato a cascare sugli occhi che avrebbe voluto freddi come lame, brufoli rosso fuoco e barbetta spelacchiata, messa insieme con i primi peli a far da ragnatela al viso, si sentì pronto per il brivido. Dove trovarlo il brivido, fatto prima di terrore e poi di soddisfazione, Serse non ne aveva idea. Eppure la sentiva come una necessità quella ricerca, da quando aveva assistito per la prima volta al lancio dei coltelli, il lancio vero, non le prove del pomeriggio contro la sagoma in cartone, lo spettacolo alla sera, le punte conficcate tutt’attorno alle pelle di una donna. Ricordava ancora la paura dell’errore che cresceva un tiro dopo l’altro, l’adrenalina del coltello che viaggiava, il terrore prima e poi il sollievo suo e negli occhi della Gianna, la donna dei coltelli. Era così, scopare? Serse decise che era ora di darsi una risposta. Scelse proprio la Gianna, burrosa e abituata a coltelli di ogni genere. 
Lei quando capì le sue intenzioni gli scompigliò il ciuffo e rise. Poi, vedendo il suo sguardo più affilato di un rasoio, rise ancora, ma intanto aprì con intenzione i lembi della vestaglietta a fiori. 
Il debutto non fu un granchè. Ci fosse stato un pubblico pagante avrebbe certo preteso la restituzione del denaro. Ma fortunatamente nel carrozzone della Gianna c’erano solo loro due. Il ragazzo, in bilico tra fretta e panico, non le aveva dato il tempo di stendersi sul letto. L’aveva inchiodata a un’anta dell’armadio al primo lancio, senza poi riuscire a trafiggerla; l’aveva tradito il cazzo troppo esuberante, pensare che lo credeva la sua arma migliore, quella con cui conquistare il mondo. Ma l’arma fidata aveva seguito una parabola ingloriosa, cadendo verso terra appena prima di raggiungere il bersaglio. In una sorta di rimedio Serse abbracciò Gianna mormorando ridicoli ti amo. Questa volta la donna non rise ma strinse a sé il ragazzo e, chiamandolo piccolo scemo, lo trascinò sul letto. Lì, accarezzandolo e spogliandolo con una lentezza quasi sbadata, gli raccontò il fascino sottile delle parole e dei coltelli che sempre la lambivano senza mai colpirla al cuore. L’amante è come il lanciatore, disse; possiede l’arte di sfiorare la mia pelle con i gesti e le parole ed è tanto più bravo quanto più lieve sa girare attorno al mio bersaglio. Ti amo lascialo dire a chi non sa inventare altro. 
Serse ascoltava affascinato e non si rese conto, mentre riceveva piccoli baci sul torace e vaghe carezze ai fianchi, di essere diventato lui bersaglio e Gianna una lanciatrice di coltelli che precisa gli sfiorava appena il cuore. 


 
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