Sfiorando
appena la parola amore
di
massimolegnani
Serse
era cresciuto in fretta, imparando la geografia dai finestrini del
camion e l’italiano dal miscuglio di dialetti che incontrava
sul cammino. Le parole scritte erano arrivate più tardi,
rubate ai giornaletti e ai rari libri sfogliati nei lunghi pomeriggi
passati sui gradini del carrozzone, quando suo padre gli diceva
sloggia che ho da fare. Il da fare di suo padre era dormire mezzo
ubriaco o spassarsela con una bionda se prevaleva l’altro
mezzo.
Era
cresciuto in fretta, Serse, per una spinta naturale verso l’alto
provocata dall’ambiente, come un pioppo che in mezzo a tanti
simili a lui sgomita e s’allunga a raggiungere la sua porzione
di cielo. Chiamarlo circo, quell’ambiente, sarebbe stato usare
una parola troppo grossa, un gruppo di girovaghi piuttosto, di quelli
che ancora battevano i paesi fino a poco tempo fa, ciascuno con una
piccola destrezza da sfruttare andando di piazza in piazza, chi a
correre sul filo, chi a sputare fuoco, chi a contorcersi su un
tavolo, chi a incantare tortore come fossero serpenti. Suo padre era
il lanciatore di coltelli, ma non tutte le sere, infatti se beveva il
numero saltava. Oltre a quello non sapeva fare altro, tantomeno il
padre. Ma due cose al figlio, pur senza volerlo, le andava
insegnando: la pazienza del ragno e la precisione delle lame. E se
sulle lame c’era poco da aggiungere perché Ernesto, il
padre, i coltelli li tirava con un’esattezza mozzafiato, sul
ragno ci sarebbe stato da eccepire, perché tesseva la sua
pigra tela unicamente per impigliarci qualche donna. Non gl’importava
quale da quando Armida era scappata con il nano, che Serse ancora le
ciucciava il seno.
A
quindici anni il ragazzo, ciuffo studiato a cascare sugli occhi che
avrebbe voluto freddi come lame, brufoli rosso fuoco e barbetta
spelacchiata, messa insieme con i primi peli a far da ragnatela al
viso, si sentì pronto per il brivido. Dove trovarlo il
brivido, fatto prima di terrore e poi di soddisfazione, Serse non ne
aveva idea. Eppure la sentiva come una necessità quella
ricerca, da quando aveva assistito per la prima volta al lancio dei
coltelli, il lancio vero, non le prove del pomeriggio contro la
sagoma in cartone, lo spettacolo alla sera, le punte conficcate
tutt’attorno alle pelle di una donna. Ricordava ancora la paura
dell’errore che cresceva un tiro dopo l’altro,
l’adrenalina del coltello che viaggiava, il terrore prima e poi
il sollievo suo e negli occhi della Gianna, la donna dei coltelli.
Era così, scopare? Serse decise che era ora di darsi una
risposta. Scelse proprio la Gianna, burrosa e abituata a coltelli di
ogni genere.
Lei
quando capì le sue intenzioni gli scompigliò il ciuffo
e rise. Poi, vedendo il suo sguardo più affilato di un rasoio,
rise ancora, ma intanto aprì con intenzione i lembi della
vestaglietta a fiori.
Il
debutto non fu un granchè. Ci fosse stato un pubblico pagante
avrebbe certo preteso la restituzione del denaro. Ma fortunatamente
nel carrozzone della Gianna c’erano solo loro due. Il ragazzo,
in bilico tra fretta e panico, non le aveva dato il tempo di
stendersi sul letto. L’aveva inchiodata a un’anta
dell’armadio al primo lancio, senza poi riuscire a trafiggerla;
l’aveva tradito il cazzo troppo esuberante, pensare che lo
credeva la sua arma migliore, quella con cui conquistare il mondo. Ma
l’arma fidata aveva seguito una parabola ingloriosa, cadendo
verso terra appena prima di raggiungere il bersaglio. In una sorta di
rimedio Serse abbracciò Gianna mormorando ridicoli ti
amo. Questa volta la
donna non rise ma strinse a sé il ragazzo e, chiamandolo
piccolo scemo,
lo trascinò sul letto. Lì, accarezzandolo e
spogliandolo con una lentezza quasi sbadata, gli raccontò il
fascino sottile delle parole e dei coltelli che sempre la lambivano
senza mai colpirla al cuore. L’amante
è come il lanciatore, disse;
possiede l’arte di sfiorare la mia pelle con i gesti e le
parole ed è tanto più bravo quanto più lieve sa
girare attorno al mio bersaglio. Ti amo lascialo dire a chi non sa
inventare altro.
Serse
ascoltava affascinato e non si rese conto, mentre riceveva piccoli
baci sul torace e vaghe carezze ai fianchi, di essere diventato lui
bersaglio e Gianna una lanciatrice di coltelli che precisa gli
sfiorava appena il cuore.
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