Come un tramonto
– Mi è
passata.
Tosca lo
dice a voce alta, alla cucina deserta. Stava ripulendo la superficie di acciaio
attorno ai fornelli, ma a un tratto si è fermata. Ha sollevato lo sguardo e
l'ha detto.
È ancora
immobile. Con le mani infilate nei guanti di gomma rosa confetto sospese a
mezz'aria.
Come
accorgendosene abbassa lo sguardo. Fissa la spugnetta che ancora tiene tra le
dita inguantate, con le sopracciglia che quasi si toccano nel mezzo, sopra la
fenditura che si è scavata nel centro della sua fronte. Fissa quella spugna
gialla e verde scuro come cercandovi le tracce di quello che crede di avere
perduto, in mezzo all'alone scuro del grasso disciolto. Come se potesse averlo
grattato via per sbaglio.
Resta così
per un tempo che sarebbe imbarazzante, se ci fosse qualcuno a guardarla. Ma suo
figlio è a scuola e Claudio, suo marito, è al lavoro.
– Hai visto
un fantasma? – le chiederebbe, se fosse lì accanto a lei. Se fosse domenica,
per esempio, e se lui fosse seduto lì in cucina nascosto
dietro al giornale, con la tazza grande di caffè lungo all'americana posata di
lato, sempre nello stesso angolo del tavolo.
E lei
avrebbe pensato: stava leggendo il giornale, come diavolo si è accorto che mi
sono fermata? Ma non gliel'avrebbe domandato perché chiederglielo era stato
parte di un gioco tra loro, un gioco a cui Tosca da
tempo non si sente più di partecipare. All'inizio della loro relazione, questo
tocco speciale di Claudio la riempiva di stupore e di emozione. Lui sapeva
sempre dove lei si trovasse e cosa stesse facendo,
almeno finché restava a distanza di orecchio, lui sapeva se lei aveva
aggrottato le sopraciglia anche se non la stava guardando, si rendeva conto
immediatamente che le era successo qualcosa solo dal suo “pronto” al telefono…
E a Tosca
piaceva ogni volta chiedergli “Come fai?” e le piaceva da morire la sua
risposta. Ti sento.
Quanto
ancora riesce a sentirla, Claudio, quanto ha compreso di quello che lei sta
passando non le è dato saperlo, per quanto migliaia di
volte si sia posta la domanda.
Ma forse da
oggi può smettere di preoccuparsene.
Possibile?
In un moto di ribellione si dice che non può essere accaduto così,
all'improvviso.
In realtà
quello che sta facendo, in piedi in mezzo alla cucina, mentre l'acqua continua
a scrosciare a vuoto nel lavello, è scavare. Dentro di sé rovista
febbrilmente, con le unghie scava e cerca, senza grazia e senza riguardo.
Richiama
immagini, pensieri passati, emozioni che un giorno sono state così potenti da
piegarle le ginocchia.
Prova a
rivivere tutti quei momenti che di solito tiene sigillati tra le pagine di quel
diario che non ha mai scritto, ma che è sempre lì dentro la sua testa.
Quel diario
che è rimasto bianco nella realtà. Il diario con la copertina cartonata. Non ha
bisogno di chiudere gli occhi per vederla. Ce l'ha
sempre davanti agli occhi, la bambina
sdraiata a pancia in su in mezzo al prato, il suo grande cappello di paglia che
le nasconde il viso. Un cappello di paglia con un fiocco color lavanda, come i
fiori sul suo vestito.
L'originale
è custodito nel primo cassetto del suo comodino, con le pagine ancora vergini.
Lo ha ricevuto in regalo per la prima comunione, assieme a due orologi
praticamente uguali, uno bianco e uno rosa, assieme a
un braccialetto di perle coltivate che sua madre ha requisito per paura che lei
potesse perderlo e che Tosca ha ritrovato di recente, quando ha svuotato un
altro cassetto nella stanza di lei, dopo la sua morte.
Per
rendersi conto che anche lei l'aveva dimenticato, quel braccialetto.
Il diario è
stato l'unico regalo veramente gradito. Le piaceva così tanto che non osava
scriverci sopra. Così pensava a quello che avrebbe scritto, ci rimuginava su la
sera, ogni sera, prima di addormentarsi. E le pagine erano rimaste bianche, il
lucchetto soltanto aveva perso la sua patina d'oro fasullo, a furia di aprirlo
e chiuderlo per niente.
Però quelle
pagine, scritte nella testa, alcune ancora se le ricorda.
Una volta
ha scritto: Nessuno saprà mai chi sono.
Avrà avuto otto anni.
E non ha
mai smesso di scrivere e rileggere, dietro la schiena delle palpebre chiuse.
Ogni sera, solo di sera.
Oggi però
Tosca fa un'eccezione.
Lascia
cadere la spugna. Si leva i guanti e li appoggia sul piano ancora mezzo
insaponato della cucina. Chiude il rubinetto sopra l'acquaio.
Si sposta
in salotto con passo deciso e spegne lo stereo. Sospira, grata. Il cd che aveva
scelto solo mezz'ora prima, di colpo è diventato insopportabile. La voce roca di Mia Martini le sembra troppo disperata, troppo appropriata
a un addio.
Sta zitta,
zitta Mimì, adesso, sshh…
Silenzio.
Si siede
sulla poltrona. Chiude gli occhi. Si stringe i pugni contro le tempie,
schiacciando forte.
Ripassa
sopra le parole. Quelle forti, prepotenti, quelle che di solito le fanno
strizzare le lenzuola tra le dita. Niente.
– Giacomo.
Lo dice a
volte alta, apposta. Il silenzio si richiude senza generare l'onda di ritorno
che si aspetta.
Attenta a
quello che desideri, perché potresti ottenerlo.
Tra i modi
di dire, questo è forse quello su cui Tosca si è più volte fermata a pensare,
nella sua vita.
Attenta a
quello che desideri.
Potresti
ottenerlo.
L'ha
ottenuto?
Vuota,
svuotata, si sente vuota.
Il dolore
se ne è andato.
Il
desiderio se ne è andato.
La
frustrazione se ne è andata.
Il
desiderio, il desiderio se ne è andato. Perché riesce pensare solo a quello
adesso?
Stava male.
È stata così male, certi giorni. Dovrebbe poter pensare a quelli. Sarebbe
giusto che si sentisse grata.
Tutti quei
dubbi, le apprensioni, i rischi, la paura di ferire, di essere ferita,
l'aspettativa che paralizzava, il senso di colpa, la rabbia e l'inganno.
Finiti.
Non sente
niente.
Ieri, il
fatto che Giacomo non l'avesse più cercata faceva ancora male. Oggi no.
Dovrebbe
sentirsi (vuota?) grata.
E poi non è
accaduto davvero di colpo.
Come un
tramonto. Il sole ha continuato a scendere impercettibilmente sotto ai suoi
occhi. Si è accorta, sì, che le cose, gli oggetti attorno a lei cambiavano
colore. Che si arricchivano bevendo la luce del sole morente. I rossi
diventavano più densi, i bianchi più caldi, i gialli più vibranti.
La sera
prima lei e Claudio hanno riso assieme fino alle lacrime, per una frase
sorprendentemente comica del figlio. Hanno riso guardandosi negli occhi, come
non succedeva da tempo. E quella notte, quando hanno fatto l'amore, Tosca non
ha dovuto lottare per svuotare la mente. I pensieri erano disarmati, insieme lascivi e futili. Piacere senza tormento.
Anche quella sensazione
di fine, quello svuotamento lento, goccia a goccia: in qualche momento è stato
persino dolce. L'oblio.
Solo che
adesso il sole ha mosso l'ultimo passo oltre l'orlo dell'orizzonte e il mondo è
scivolato in una sacca d'ombra che cancella i contorni, che smorza i colori.
E,
sprofondata nel blu uniforme di un cielo senza stelle, Tosca si chiede se il
pensiero dell'alba – inevitabile – basterà.
A riempire
la notte che l'attende.