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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Come un tramonto, di Sabrina Campolongo 16/03/2007
 

                   Come un tramonto

 

 

– Mi è passata.

Tosca lo dice a voce alta, alla cucina deserta. Stava ripulendo la superficie di acciaio attorno ai fornelli, ma a un tratto si è fermata. Ha sollevato lo sguardo e l'ha detto.

È ancora immobile. Con le mani infilate nei guanti di gomma rosa confetto sospese a mezz'aria.

Come accorgendosene abbassa lo sguardo. Fissa la spugnetta che ancora tiene tra le dita inguantate, con le sopracciglia che quasi si toccano nel mezzo, sopra la fenditura che si è scavata nel centro della sua fronte. Fissa quella spugna gialla e verde scuro come cercandovi le tracce di quello che crede di avere perduto, in mezzo all'alone scuro del grasso disciolto. Come se potesse averlo grattato via per sbaglio.

Resta così per un tempo che sarebbe imbarazzante, se ci fosse qualcuno a guardarla. Ma suo figlio è a scuola e Claudio, suo marito, è al lavoro.

– Hai visto un fantasma? – le chiederebbe, se fosse lì accanto a lei. Se fosse domenica, per esempio, e se lui fosse seduto lì in cucina nascosto dietro al giornale, con la tazza grande di caffè lungo all'americana posata di lato, sempre nello stesso angolo del tavolo.

E lei avrebbe pensato: stava leggendo il giornale, come diavolo si è accorto che mi sono fermata? Ma non gliel'avrebbe domandato perché chiederglielo era stato parte di un gioco tra loro, un gioco a cui Tosca da tempo non si sente più di partecipare. All'inizio della loro relazione, questo tocco speciale di Claudio la riempiva di stupore e di emozione. Lui sapeva sempre dove lei si trovasse e cosa stesse facendo, almeno finché restava a distanza di orecchio, lui sapeva se lei aveva aggrottato le sopraciglia anche se non la stava guardando, si rendeva conto immediatamente che le era successo qualcosa solo dal suo “pronto” al telefono…

E a Tosca piaceva ogni volta chiedergli “Come fai?” e le piaceva da morire la sua risposta. Ti sento.

Quanto ancora riesce a sentirla, Claudio, quanto ha compreso di quello che lei sta passando non le è dato saperlo, per quanto migliaia di volte si sia posta la domanda.

Ma forse da oggi può smettere di preoccuparsene.

Possibile? In un moto di ribellione si dice che non può essere accaduto così, all'improvviso.

In realtà quello che sta facendo, in piedi in mezzo alla cucina, mentre l'acqua continua a scrosciare a vuoto nel lavello,  è scavare. Dentro di sé rovista febbrilmente, con le unghie scava e cerca, senza grazia e senza riguardo.

Richiama immagini, pensieri passati, emozioni che un giorno sono state così potenti da piegarle le ginocchia.

Prova a rivivere tutti quei momenti che di solito tiene sigillati tra le pagine di quel diario che non ha mai scritto, ma che è sempre lì dentro la sua testa.

Quel diario che è rimasto bianco nella realtà. Il diario con la copertina cartonata. Non ha bisogno di chiudere gli occhi per vederla. Ce l'ha sempre davanti agli occhi, la  bambina sdraiata a pancia in su in mezzo al prato, il suo grande cappello di paglia che le nasconde il viso. Un cappello di paglia con un fiocco color lavanda, come i fiori sul suo vestito.

L'originale è custodito nel primo cassetto del suo comodino, con le pagine ancora vergini. Lo ha ricevuto in regalo per la prima comunione, assieme a due orologi praticamente uguali, uno bianco e uno rosa, assieme a un braccialetto di perle coltivate che sua madre ha requisito per paura che lei potesse perderlo e che Tosca ha ritrovato di recente, quando ha svuotato un altro cassetto nella stanza di lei, dopo la sua morte.

Per rendersi conto che anche lei l'aveva dimenticato, quel braccialetto.

Il diario è stato l'unico regalo veramente gradito. Le piaceva così tanto che non osava scriverci sopra. Così pensava a quello che avrebbe scritto, ci rimuginava su la sera, ogni sera, prima di addormentarsi. E le pagine erano rimaste bianche, il lucchetto soltanto aveva perso la sua patina d'oro fasullo, a furia di aprirlo e chiuderlo per niente.

Però quelle pagine, scritte nella testa, alcune ancora se le ricorda.

Una volta ha scritto: Nessuno saprà mai chi sono. Avrà avuto otto anni.

E non ha mai smesso di scrivere e rileggere, dietro la schiena delle palpebre chiuse. Ogni sera, solo di sera.

Oggi però Tosca fa un'eccezione.

Lascia cadere la spugna. Si leva i guanti e li appoggia sul piano ancora mezzo insaponato della cucina. Chiude il rubinetto sopra l'acquaio.

Si sposta in salotto con passo deciso e spegne lo stereo. Sospira, grata. Il cd che aveva scelto solo mezz'ora prima, di colpo è diventato insopportabile. La voce roca di Mia Martini le sembra troppo disperata, troppo appropriata a un addio.

Sta zitta, zitta Mimì, adesso, sshh

Silenzio.

Si siede sulla poltrona. Chiude gli occhi. Si stringe i pugni contro le tempie, schiacciando forte.

Ripassa sopra le parole. Quelle forti, prepotenti, quelle che di solito le fanno strizzare le lenzuola tra le dita. Niente.

– Giacomo.

Lo dice a volte alta, apposta. Il silenzio si richiude senza generare l'onda di ritorno che si aspetta.

Attenta a quello che desideri, perché potresti ottenerlo.

Tra i modi di dire, questo è forse quello su cui Tosca si è più volte fermata a pensare, nella sua vita.

Attenta a quello che desideri.

Potresti ottenerlo.

L'ha ottenuto?

Vuota, svuotata, si sente vuota.

Il dolore se ne è andato.

Il desiderio se ne è andato.

La frustrazione se ne è andata.

Il desiderio, il desiderio se ne è andato. Perché riesce pensare solo a quello adesso?

Stava male. È stata così male, certi giorni. Dovrebbe poter pensare a quelli. Sarebbe giusto che si sentisse grata.

Tutti quei dubbi, le apprensioni, i rischi, la paura di ferire, di essere ferita, l'aspettativa che paralizzava, il senso di colpa, la rabbia e l'inganno. Finiti.

Non sente niente.

Ieri, il fatto che Giacomo non l'avesse più cercata faceva ancora male. Oggi no.

Dovrebbe sentirsi (vuota?) grata.

E poi non è accaduto davvero di colpo.

Come un tramonto. Il sole ha continuato a scendere impercettibilmente sotto ai suoi occhi. Si è accorta, sì, che le cose, gli oggetti attorno a lei cambiavano colore. Che si arricchivano bevendo la luce del sole morente. I rossi diventavano più densi, i bianchi più caldi, i gialli più vibranti.

La sera prima lei e Claudio hanno riso assieme fino alle lacrime, per una frase sorprendentemente comica del figlio. Hanno riso guardandosi negli occhi, come non succedeva da tempo. E quella notte, quando hanno fatto l'amore, Tosca non ha dovuto lottare per svuotare la mente. I pensieri erano disarmati, insieme lascivi e futili. Piacere senza tormento.

Anche quella sensazione di fine, quello svuotamento lento, goccia a goccia: in qualche momento è stato persino dolce. L'oblio.

Solo che adesso il sole ha mosso l'ultimo passo oltre l'orlo dell'orizzonte e il mondo è scivolato in una sacca d'ombra che cancella i contorni, che smorza i colori.

E, sprofondata nel blu uniforme di un cielo senza stelle, Tosca si chiede se il pensiero dell'alba – inevitabile – basterà.

A riempire la notte che l'attende.

 

 

 

 

 
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