La
piccola apocalisse di piazza Cordusio
di
massimolegnani
Lo
schianto fece tremare vetri e tazzine.
A
riascoltarlo era stato un breve rumore assordante, di ferraglia che
stride e si contorce. Erano seguiti alcuni istanti di silenzio,
fitto, macabro, come se piazza Cordusio fosse stata proiettata dal
botto nel mezzo di una distesa siberiana. Poi solo i lamenti dei
feriti e le urla della gente che accorreva.
Il
locale si svuotò in un attimo, io non mi mossi. Continuai a
centellinare il vino, ma tutta la mia attenzione era concentrata su
quanto stava succedendo là fuori. Quando immaginai che fosse
sopraggiunta una folla sufficiente, uscii a guardare con il bicchiere
in mano. Senza fretta mi avvicinai al luogo del disastro,
sorseggiando ogni tanto il buon Teroldego. Un tram, speronato da un
altro, era rovesciato su un fianco come una bestia preistorica
incornata a morte. Il secondo mezzo, rimasto sulle sue ruote, si era
incagliato nel primo, anzi gli era finito sopra, sovrastandolo, in un
dominio da animale ferito ma vittorioso.
In
cima a tutto, per metà fuori dalla cabina di guida,
penzolavano due corpi, marionette abbandonate sul bordo del
teatrino.
La
scena aveva qualcosa di inebriante e il vino mi aiutava a cogliere il
fascino sottile della morte ancora calda. Non condivisi la morbosità
dei curiosi che brulicavano voraci come formiche richiamate dai resti
di un picnic, né la solerzia dei soccorritori che si davano da
fare in modo tanto febbrile quanto maldestro. Gli uni e gli altri,
quando si accorgevano di me, maledivano scandalizzati il mio distacco
e l’attenzione con cui evitavo d’inzaccherarmi l’abito
e di mescolare il vino al sangue. Il fatto è che non ho grande
stima della gente
e il mio interesse era altro dal loro. Trascurai i passeggeri feriti,
che con i loro lamenti costituivano poco più che la colonna
sonora dell’evento. Io ero attratto dai due cadaveri che ancora
non avevano coperto coi teli.
Li
guardai da sotto.
Il
fermo immagine definitivo li aveva colti in pose grottesche: quello
con la divisa da tranviere aveva le braccia penzoloni e la testa
fracassata, gli occhi erano sbarrati in uno sguardo stupefatto, come
se solo all’ultimo istante avesse compreso il disastro che
stava combinando. L’altro, una capigliatura candida che andava
tingendosi di rosso, stringeva tra le braccia la custodia di uno
strumento, come se l’ultimo pensiero fosse stato che nell’urto
non si sciupasse il suo violino.
Non
riuscivo a staccare gli occhi dai due, studiavo i loro corpi, non
tanto le ferite quanto i dettagli che potessero aiutarmi a
immaginarmeli da vivi. La morte sconosciuta mi fa sempre questo
effetto, mi costringe a risalire il fiume della vita, mi trasforma in
un preveggente del passato.
Lo
chiamo “effetto-sala”.
Sai, quando ti capita di entrare in un cinema mentre il film è
quasi finito e dagli ultimi fotogrammi provi a ricostruire l’intera
trama nell’attesa che la pellicola riparta. Ma in casi come
questo, la piccola apocalisse di piazza Cordusio, la pellicola è
spezzata. Sta a te ricostruirla, scremando quel che era vivo da ciò
che vedi morto.
Rimasi
lì una buona mezz’ora. Quando mi convinsi che ormai
sapevo tutto, le narici corrose dell’autista, l’ impronta
al suo anulare di una fede ora mancante, la magrezza patologica, le
pupille dilatate e l’espressione di stupore di chi è
tornato sulla terra giusto in tempo per morire, e poi le mani
delicate del passeggero, il candore rosso dei capelli, il taglio di
sartoria del suo abito sbrindellato, la custodia elegante in pelle e
legno che scommetterei contenesse uno strumento prezioso, forse un
Guarneri, e altre piccole notazioni marginali che non sto a dirvi,
quando ebbi immagazzinato tutto questo, rientrai nel bar a passo
sostenuto.
Ordinai
dell’altro vino, tirai fuori di tasca taccuino e stilografica.
Piegandomi sul tavolino come un pianista sulla tastiera mi concentrai
sulle due vittime e scrissi: Giacomo
tira di coca appena prima di iniziare il turno, non riuscirebbe a
guidare la bestia senza. Ottavio ancora in pigiama accorda lo
strumento. Oggi, per la prova generale, andrà alla Scala in
tram per godersi un po’ la sua Milano.
Smisi
di scrivere e chiusi penna e taccuino. Ero soddisfatto, quella breve
traccia conteneva in nuce un intero romanzo che del resto avevo già
preciso in mente: due vite parallele e assai diverse, divergenti, che
alla fine si sarebbero incontrate su quel tram. Ma mi sarei fermato
lì, un istante prima del disastro, nessun accenno di morte,
lasciando intatta la possibilità che arrivassero vivi a
destinazione.
In
fondo con tutto il mio cinismo avrei prolungato loro la vita e, se
non a loro, ai due personaggi da essi scaturiti. Già,
perché a me interessano più i personaggi che le
persone, è ovvio.
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