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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Riflessi di una vita, di Gloria Venturini 30/03/2007
 

Riflessi di una vita

 

Nel buio della soffitta s'accende un riflesso di bronzo, s'insinua timido e silente tra le pagine di un vecchio libro, il tomo dei ricordi di tutta una vita.

Sulla scala a chiocciola della memoria scende lentamente a ritroso sino ad arrivare all'origine del suo tempo. Inizia così una grande ed unica storia.

“ Sono nato sotto il riflesso cinereo della luna ad agosto. A quel tempo non c'erano incubatrici, una buona balia poteva comunque salvarti la vita e così fu per me.

La mia salute è sempre stata cagionevole e per i miei genitori sono stato un vero cruccio, anche perché ero il loro unico figlio.

Ricordo che da bambino ho trascorso la maggior parte dell'infanzia a letto, costantemente bloccato da febbri e tossi spesso violente, fortunatamente, anche se con ansia e difficoltà, riuscivo a superare le crisi.

Frequentavo la scuola il primo giorno d'ottobre, poi da maggio a giugno. La mia più grande insegnante fu mia madre.

Ricordo il riflesso del sole che penetrava nella mia stanza, illuminandomi gli occhi ed il cuore.

Provavo una grossa frustrazione quando vedevo gli altri ragazzi correre fuori e giocare, ma a me,

neppure con sciarpe e berretti davano il consenso di uscire all'aria aperta. – Troppo debole! – sentenziavano in coro i medici.

Credo che il destino di una persona venga segnato nello stesso momento in cui s'affaccia alla vita.

Rammento un ragazzo di nome Paolo che ogni tanto mi veniva a trovare, aveva un'aria affabile, una faccia da buono, se così si può dire, e anche se il suo nome significa piccolo, per me è stato un grande amico. Amava leggere, come me del resto, solo che lui poteva anche scegliere di giocare.

Veniva a trovarmi due pomeriggi alla settimana e in quei momenti parlavamo dei nostri sogni, del colore delle piante a primavera, dei miei voli fino alla luna quando la notte non mi prendeva il sonno perché le stelle erano troppo accese e facevano troppa luce sulla mia anima bramoso di vita e speranza.

Un giorno mi regalò un soldatino d'avorio, glielo aveva donato suo nonno tanti anni prima. Voleva lo tenessi io, diceva che quando era triste giocava col soldatino così non si sentiva solo, ora potevo farlo io, così avrei pensato alla nostra amicizia.

Lo custodivo come un caro e raro oggetto prezioso, era l'eccezionalità dell'affetto puro.

Regalai a Paolo due libri. Aveva gli occhi gonfi di lacrime quando li prese e mi abbracciò senza proferire alcuna parola.

Un giorno mi disse che se andava, lui e tutta la sua famiglia emigravano in un posto lontano.

Mi sentii abbandonato, triste e soprattutto solo. In me iniziò a calare quel poco appetito che mi dava un po' di forza e ben presto ebbi un'altra crisi respiratoria.

A primavera avanzata non va bene” -  diceva il dottore.

Riflessi multicolori di solitudine mi legavano maggiormente alla malattia, piansi molte lacrime di cristallo che si scioglievano alla luce del sole per poi cristallizzarsi nuovamente alla notte.

Giorno e notte sempre uguali.

La mamma mi regalò una bellissima statuina di cera, mi ricordava lei e la sua fragilità, sarebbe bastato un solo fiammifero per farla sciogliere in quel dolore atroce che malamente celava dietro il suo sguardo. I suoi occhi riflettevano le preoccupazioni, il suo amore per me e la profonda tristezza che faceva compagnia alla mia.

Il soldatino d'avorio e la statuina di cera mi sembravano una coppia perfetta, lui forte e chiuso nella sua immobilità, come la mia malattia; lei fragile e sensibile come i sogni che mi punzecchiavano l'anima.

Non riuscii più a riprendermi, ai giorni amari susseguirono quelli della sofferenza.

Venne a trovarmi anche Paolo, mi ha detto che era andato in visita dai nonni, ma dentro il mio cuore sapevo benissimo che era venuto a darmi l'ultimo saluto.

 

 

Mi sono impegnato per guarire, facevo ragionamenti con gli alveoli dei miei polmoni, a volte sembrava mi ascoltassero, altre, sopratutto quando il dolore al torace diventava insopportabile , erano sordi alle richieste di aiuto.

Nel cuore dell'autunno la mia vita si ottenebrò, mi spensi il primo novembre.

Lungo il percorso ho lasciato grandi affetti e dispiaceri, ma questo è stato il mio destino, con pochi sogni accesi e senza tante speranze perché si sarebbero rivelate inutili illusioni.

Un fato amaro e triste, un' esistenza che si è accontentata dei libri, delle visioni della vita che scorre dietro la finestra, di due cose preziose alle quali ho confidato i segreti più reconditi della mia anima: una statuina di cera e un soldatino d'avorio.

Di me resta solo questo, illuminato dall'ultimo riflesso di bronzo che ha chiuso per sempre il libro della mia vita.

Sono morto il giorno di ognissanti, forse perché un po' santo lo sono stato anch'io,  ma nonostante tutto non provo rancore perché sono convinto che la vita, quella vera, la vivi dentro te stesso e dentro al tuo cuore.

Emanuele”.

Sotto il riflesso di bronzo di un sole ormai stanco, nella soffitta di casa mia, c'era un libro con una scritta incisa sopra il cuoio della copertina, un appunto “ Alla mia vita, ai suoi riflessi e a tutto quello che rimane di me”. In prima pagina il disegno di due figure abbracciate, un soldatino e una statuina, avevano le ali.

 

 
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