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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Il cavadenti, di Grazia Giordani 21/09/2019
 
ll cavadenti

di Grazia Giordani



Ormai si è perso il gusto delle sagre di paese, quelle in cui si dava “la mancia” per la fiera ai bambini e ai ragazzi, proporzionata all’età dei riceventi e alle tasche dei genitori o parenti che l’elargivano.

Nelle famiglie si preparava un pranzo speciale con tortellini, tagliatelle grondanti ragù, polli, anatre ed altri volatili sfrigolanti in casseruola, dolci della tradizione. Momenti di convivialità, di festa, di giochi, di scherzi. A proposito di scherzi, ricordo quel mattacchione di mio cugino Enrico che girava con un tubo di dentifricio e – chiotto chiotto – ne lasciava abbondanti striature sulle giacche buone dei contadini vestiti a festa (di cui avrei voluto proprio vedere la faccia quando si fossero spogliati la sera). Era sempre lui – Enrico – quello che alle danze popolari della fiera, dove i ballerini venivano chiusi dentro un quadrato di corda a pagamento (una cosa di una finezza unica, come potete ben immaginare!) tirava gli elastici del reggiseno delle malcapitate sue partner di danza, come fossero fionde, procurando gridolini dalle suddette, più divertite che arrabbiate…

Bene, in questo clima di provinciali divertimenti – a Codigoro, paese di mia madre, quando la mitica Hena era poco più che bambina – veniva un ragazzetto con un orso bruno legato a un palo che faceva ballare in mezzo alla folla, accompagnato da un cavadenti, un tizio, munito di poderose tenaglie, che faceva accomodare i malcapitati clienti davanti a lui, su scomodi sedili, e in fianco aveva due suonatori di tromba e uno di tamburo.

«A cosa servivano i suonatori, mamma?» – chiesi io, da piccola, incuriosita dallo strano racconto.

«Suonavano all’impazzata – rispose mia madre – per confondere gli urli e i lamenti dei disgraziati a cui il cavadenti stava massacrando la bocca …»


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