Il
semaforo rosso
di
massimolegnani
Il
rosso scattò appena prima del suo arrivo. L’incrocio
con via Solferino era deserto e Guglielmo Spreafico fu tentato di
dare un’accelerata e passare, lo trattenne solo il timore di
telecamere attive anche di notte.
In
attesa che il semaforo cambiasse colore, fissava la palla rossa come
ipnotizzato o forse, data l’ora tarda, era semplicemente
assonnato.
Non
aveva visto l’uomo avvicinarsi alla macchina, si accorse di
lui solo quando questi spalancò la portiera e gli sibilò
di scendere. Guglielmo ebbe un sussulto, balbettò qualcosa, ma
non si mosse, paralizzato dalla paura e dalla sorpresa, che quello
fosse un poliziotto in borghese? Venne strattonato dal tipo che
cercava in tutti i modi di sradicarlo dal sedile, ma era trattenuto
dalla cintura di sicurezza. Per qualche istante vi fu un tragicomico
tiraemolla in cui Guglielmo costituiva l’elemento
passivo, sballottato di qua e di là come la pallina argentata
nel flipper.
Poi
tutto accadde rapidamente, Guglielmo senza sapere come si ritrovò
per terra sul pavè accanto alla sua macchina che un momento
dopo ripartì sgommando.
Il
semaforo continuava, imperturbabile, ad alternare il rosso e il
verde, inframmezzati da brevi istanti di giallo, in una normalità
da cui il signor Spreafico era escluso. Lui sembrava appena atterrato
da Marte, si guardava intorno stupefatto, ancora non aveva realizzato
in pieno la dimensione dell’accaduto. Aveva assistito al furto
della sua auto quasi senza reagire, un breve gemito, un braccio
alzato come a trattenerla. Aveva osservato la sua auto sparire in
fondo al viale, gli occhi e il pensiero fissi sulla luce di posizione
posteriore destra spenta, doveva farla riparare.
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