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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Un regalo di Natale molto speciale, di Piera Maria Chessa 21/12/2019
 
Un regalo di Natale molto speciale

di Piera Maria Chessa




Era ormai tardi, bisognava andare a dormire, ma Ferruccio, quella sera, non aveva proprio voglia di riposare. Col papà Diego e la mamma Sandra aveva appena guardato alla televisione il telegiornale, dove in un servizio ricordavano ciò che era avvenuto esattamente un anno prima in Trentino, luogo in cui loro vivevano, quando la tempesta Vaia, con le sue terribili piogge, aveva procurato la caduta di un numero impressionante di alberi, raccontavano anche che cosa in quell'anno appena trascorso era stato fatto, e com'era ora la situazione, soprattutto nella foresta di Paneveggio, forse la zona più colpita dell'intera regione.

Ferruccio, che aveva solo nove anni ma una maturità straordinaria per la sua età, non aveva perso una virgola dell'intero servizio, e generoso com'era non si dava pace, nutrendo già per la natura un amore sconfinato. La mamma e il papà cercavano di rasserenarlo spiegandogli che ci sarebbe voluto ancora tanto tempo ma che non bisognava disperare, in qualche modo avrebbero trovato delle soluzioni.

Lui, che leggeva già tanto e di tutto, rivolgendosi ai genitori aveva detto:" Ma sapete quanto tempo occorre perché un albero abbattuto possa essere sostituito, non cresce mica in un giorno! Quanti anni passeranno? E ora ne è trascorso uno soltanto... Io, che sono un bambino, diventerò un ragazzo, e poi un uomo come te, papà, prima che tutti i nuovi alberi diventino grandi come quelli caduti. E' una cosa terribile!"

I suoi genitori non trovarono parole per replicare, e rimasero in silenzio, Ferruccio aveva ragione. Tutti e tre, dispiaciuti, andarono a dormire.


Si era a fine ottobre, il tempo passava veloce e dicembre non tardò ad arrivare, il Natale era ormai vicino. Ferruccio non vedeva l'ora, lo aspettava con impazienza, come tutti i bambini della sua età, ma la sua testolina sempre attiva non smetteva di lavorare. Soprattutto in quegli ultimi due mesi, quante volte aveva ripensato alla tempesta Vaia e ai danni che aveva procurato!

Era figlio unico, avrebbe desiderato tanto un fratello o una sorella, ma non erano mai arrivati, in compenso lui "era venuto su bene", come dicevano gli amici dei suoi genitori, che col tempo se n'erano fatti una ragione. Erano soddisfatti della loro vita e fieri di avere un figlio così. Ne capivano le necessità e lasciavano che si circondasse di amici; per questo motivo la loro casa e il loro giardino erano sempre molto "vissuti" e colmi di voci infantili che si rincorrevano.

Verso la metà di dicembre, come tutti gli anni, Ferruccio scrisse la sua lettera di Natale. In realtà, da qualche tempo, pur avendo solo nove anni, aveva smesso di credere alle belle favole e ai bei doni che sarebbero dovuti arrivare chissà da dove sulla slitta trainata dalle renne. Era stato purtroppo un suo compagno di scuola, un po' più smaliziato degli altri, a prendersi la briga di fugare ogni dubbio.

"Guardate che a me l'ha detto il mio papà, lui è grande e non dice bugie. E mi ha anche detto che non devo mai "farmi illusioni", proprio così ha detto!"

E fu così che Ferruccio e i suoi compagni quel giorno persero un pezzetto della loro infanzia e di colpo diventarono un pochino più vecchi.

Lui non perse tuttavia la bella abitudine di scrivere la sua lettera, e i nuovi destinatari diventarono i suoi genitori.

Lo faceva di nascosto, alla sera, quando si ritrovava da solo nella sua cameretta, e scriveva, scriveva... Raccontava di sè, dell'affetto che provava per loro, di quelli che erano i suoi desideri.

Ma quella sera non concluse la lettera, in fondo aveva ancora del tempo, voleva pensarci bene, magari nei giorni successivi gli sarebbe venuta qualche buona nuova idea sui regali da chiedere.

Andò a dormire sereno, soddisfatto di ciò che aveva già scritto. Il tepore della sua camera, e soprattutto del suo letto, gli conciliarono il sonno.


"Che freddo", disse Ferruccio, "perché sento tutto questo freddo? Mamma, ho la febbre!"

Aprì gli occhi spaventato, guardandosi intorno e cercando sua madre, ma intorno a sè vide soltanto buio. Che cosa stava succedendo?

"Ho paura, mamma, dove sei?", chiese sottovoce. Ma la mamma non c'era.

Per fortuna, lentamente, incominciava ad albeggiare. Sempre più preoccupato continuò a scrutare intorno. Si trovava in un bosco da solo, disteso vicino a dei grossi sassi, e percepiva sotto di sè il freddo della terra umida. Si mise seduto e guardò meglio. Vi era tanto verde, era l'erba cresciuta in quei giorni di pioggia. Guardò verso l'alto. Quanti alberi! Li riconobbe, erano i suoi amati abeti, e poi tanto muschio intorno che ricopriva i sassi. Si alzò per sgranchirsi le gambe, si sentiva indolenzito e sempre più infreddolito, meravigliato per quel che stava vivendo. A un certo punto sentì, sugli alberi che lo circondavano, il trillo di un uccello, subito dopo lo vide accanto a sè. Aveva il piumaggio rosso e verde, e lo osservava incuriosito emettendo un verso che a Ferruccio parve molto melodioso. Forse era il suo modo consueto di salutare, così pensò. Ma non fece in tempo ad abituarsi a quella singolare compagnia che d'improvviso avvertì uno strano brusio che, a mano a mano che si avvicinava, diventava più forte. La luce dell'alba, che ora filtrava tra i rami degli abeti, gli permise di vedere meglio.

Su un sentiero ricoperto d'erba avanzavano decine e decine di minuscoli ometti luminosi, così parvero a Ferruccio, poi, quando arrivarono ormai a pochi passi da lui, capì che si trattava del colore dei loro striminziti abitini gialli. Si posizionarono intorno formando un ampio cerchio, uno di loro si fermò nel mezzo. Sempre più sbalordito, Ferruccio sentì il suo cuore che batteva forte. L'omino al centro, forse il capo, o forse il più anziano del gruppo, prese solennemente la parola. La sua voce era quasi un bisbiglio, gentile ma ugualmente ferma.

"Ciao, ragazzo, ci presentiamo subito, siamo l'esercito degli Omini gialli e viviamo in questi boschi da tanto tempo, secoli o millenni, questo non te lo so dire, posso però dirti che non abbiamo età, non festeggiamo i compleanni, come fate invece voi umani, e rimaniamo sempre uguali a noi stessi. Vedi, siamo piccoli piccoli, ma non invecchiamo mai. Abbiamo un compito ben preciso, quello di difendere questi boschi straordinari, ci opponiamo alla natura, quando diventa matrigna, ma l'aiutiamo quando ha bisogno di noi. E soprattutto quando dobbiamo difenderla dagli uomini. Siamo molto piccoli, ma anche numerosi, e uniamo le nostre forze. Proprio come fanno le formiche, così capaci di trasportare persino grossi pesi. Quando ritornerai a casa, dovrai dire ai tuoi amici, ma soprattutto agli adulti, i più pericolosi, di non fare del male alla natura, perché non rispettandola fanno male innanzitutto a se stessi. Sono grandi e grossi, mica come noi, ma privi di cervello. Ora vai, e Buon Natale! Perdonaci se ti abbiamo spaventato.".


"Ferruccio, dormi ancora? Guarda che si fa tardi, oggi non è domenica, si va a scuola. Presto però potrai dormire a lungo, pochi giorni e sarà Natale!".

"Ma come? Dove sono? Quando sono tornato?" Ferruccio non si capacitava, dunque, aveva solo sognato? Guardò la mamma con uno sguardo perso, un po' il sogno, un po' la sorpresa lo avevano completamente disorientato. Lei aspettò con pazienza che si svegliasse per bene, doveva aver dormito profondamente quella notte. Ma Ferruccio si riprese in fretta e incominciò a raccontarle il suo strano sogno. Non lo avrebbe invece raccontato ai compagni, forse lo avrebbero deriso, ma soprattutto voleva tenerlo per sè, soltanto i suoi genitori avrebbero capito e non si sarebbero presi gioco di lui.

Ora avrebbe atteso il Natale con trepidazione, aveva ancora un impegno da assolvere: la sua lettera non era conclusa; quella sera stessa, prima di andare a dormire, avrebbe chiesto ai suoi genitori i due regali per lui più belli.

In fondo non abitavano poi così lontano dalla foresta di Paneveggio, desiderava tanto vederla, dopo ciò che era successo voleva accertarsi che, sia pure lentamente, le cose stessero migliorando. Alla televisione ne avevano parlato ancora, ricordava che qualcuno aveva fatto una proposta, quella di "adottare" un albero. Avevano usato proprio quel verbo, come si fa con i bambini, si disse, lui queste cose le sapeva, un suo compagno era stato adottato.

Avrebbe chiesto informazioni ai genitori, ecco, quello sarebbe stato un regalo di Natale davvero speciale per lui, che voleva sinceramente fare qualcosa per i suoi amati alberi.





 
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