A
forma di mezzaluna
di
Mariangela De Togni
Amava
sedersi sulla roccia piatta, a forma di mezzaluna, la sera, ad
ascoltare il vento che, secondo lui, lo chiamava per nome: “Gioele,
Gioele ….”
Nessuno
sapeva da dove venisse. L’avevano trovato addormentato, in
mezzo alle pecore, proprio la Notte di Natale. Quel giorno, un
agnellino, si era smarrito e quando, finalmente, lo trovarono,
intirizzito dal freddo, stremato dalla paura e dalla fame, i pastori
ebbero un sospiro di sollievo.
Fu
proprio Azzur, il cane pastore, a trovarlo, seminascosto e impigliato
in un fitto cespuglio di rovi. Lo portarono all’ovile, accanto
alla madre che belava disperata, e fu lì, mentre depositavano
quel fagottino bianco e tutto lana, che videro il ragazzo
addormentato. Aveva tra le mani un grappolo d’uva e alcuni
datteri.
Aveva
tratti belli, Gioele, grandi occhi verdi e i capelli scuri e
ricciuti. Non parlava molto, ma osservava ed era sempre grato a un
gesto di bontà nei suoi confronti. Il pezzo di focaccia che
gli veniva offerto, il formaggio o la ciotola di latte che gli veniva
data, lui, la condivideva sempre con qualcuno.
Amava
gli animali. Ne sapeva conoscere il carattere, i bisogni, quasi il
pensiero. Preferiva dormire nell’ovile con le pecore e l’unico
asinello un po’ malandato e il cane Azzur, il pastore tedesco
dallo sguardo vivace e intelligente.
Il
grigio gatto Malachia, diffidente per natura, si mostrava
indifferente agli sguardi di Gioele; ma una sera, in cui anche gli
animali sentivano il caldo amore del ragazzo, Malachia, gli saltò
sulle ginocchia e cominciò la sua danza felina. Lui, di
giorno, quando il gregge era al pascolo, si metteva alla finestra
dell’ovile, seminascosto da un po’ di paglia e
sonnecchiava, ogni tanto lanciando sguardi malandrini al bel merlo
che osava farsi beffe di lui, dall’olivo di fronte.
Elias,
il vecchio pastore, parlando bonariamente con lui, gli chiese, un
giorno: “Quanti anni hai?” “Non lo so”
rispose.
“E
i tuoi genitori, dove sono, la tua famiglia?”
Non
rispose subito, ma parve rattristarsi, poi in un sussurro: “Non
lo so” rispose.
Allora,
poiché era a piedi nudi, Elias, gli diede un paio di calzari
da mettere, dicendogli che la terra era dura e fredda, d’inverno.
Il giorno dopo, Elias, lo trovò con i calzari avvolti in un
ramoscello d’ulivo. “Ma perché te li sei tolti!”
quasi gridò, il pastore, un po’ confuso e insieme
addolorato, dall’assurdo comportamento di Gioele, che il
vecchio pastore non comprendeva. E Gioele, con un sorriso timido e lo
sguardo diritto in quello del suo padrone, rispose: “ Perché
così non si sciupano, Signore!” “Ma i tuoi piedi?”
“Oh, loro sanno camminare e non temono la durezza della terra”.
In realtà, la pianta dei suoi piedi era così callosa,
che poteva considerarsi la suola di un sandalo.
Il
vento soffiava dal mare, quel giorno, portando echi di tempesta.
Sotto una nuvola color carbone, il sole si nascose per lasciare
spazio alla volta celeste che si riempiva di stelle.
“Ecco,
la mia coperta per la notte!” Pensò Gioele.
Era
di spalle e i suoi riccioli, illuminati dalla luna, gli disegnavano
attorno al capo come un aureola di luce.
Sentì
pronunciare il suo nome, che il vento subito afferrò e fece
volare verso il deserto. Era il suo sogno, quello, che spesso lo
accompagnava, nel sonno, da quando si era perduto. “Giole, a
piedi nudi tu camminerai sulla terra dei fiumi, e diventerai
“principe” della pace.”
Questo,
ancora, gli stava ripetendo il “sogno” anche quella
notte. A volte gli ritornavano brandelli di memoria, come se una voce
gli mormorasse di non avere paura, e altre, più agitate, che
correvano via come l’onda del mare. Talvolta gli pareva,
chiudendo gli occhi, di intravedere il volto delicato di una donna,
ma talmente bello, da farlo piangere di gioia. Però, non
sapeva dare un nome a questi sogni così strani e che mai si
rivelavano di più.
Elias
lo guardava pensieroso e taciturno, succhiando la sua vecchia pipa,
cercando di capire quel ragazzo bello, smarritosi in chissà
quale tragedia della vita. Pareva avesse fatto sempre il pastore,
tanto conosceva bene il modo di condurre le pecore. Elias lo lasciava
fare, contento di sapere che Azzur, a sua volta, avrebbe seguito le
pecore e anche il ragazzo.
L’aria
era leggera anche se avrebbe dovuto essere caldo e Gioele trovò
rifugio tra due rocce sporgenti. Respirava ad occhi chiusi, c’era
calma intorno. Aveva sulle ginocchia l’agnellino ultimo nato
e, ai suoi piedi il cane pastore dagli occhi neri attenti e colmi di
tenerezza.
Non
lontano scorreva un piccolo torrente il cui profumo arrivava fino a
lui, portato dalle folate di vento. Più tardi, quando il
gregge sarebbe stato sazio e stanco di brucare, lo avrebbe condotto
laggiù a bere di quell’acqua fresca e pura, prima di
ritornare al riparo dell’ovile.
Il
deserto brullo con qualche ciuffo d’erba creava giochi di luce
deliranti sulla sabbia rocciosa. Un lembo di terra in mezzo al
silenzio intriso di storia.
Il
deserto di Giuda! Dalle dune alte e dalla forma un po’
spigolosa, circondato dalle colline rocciose e dai monti di Giudea è
denso di suggestioni, di emozioni rese dal paesaggio rimasto
inviolato.
La
linea irregolare del gruppo delle dune si spezza solo quando incontra
un’oasi e allora le tinte oro, platino, arancio, rosso e ocra
del deserto si trasformano in azzurro, azzurro delle cascate e delle
piccole piscine naturali.
Se
si resta immobili, seduti sulla cima di una duna, si può udire
la sua voce. E’ sottile, appena udibile, dal suono un po’
sordo. E’ il vento che, anche se pare non soffiare, smuove ogni
granello di sabbia e crea una sorta di musica, di fruscio.
Il
tempo passava, si avvicinava il periodo in cui anche il gregge veniva
portato all’ovile più a valle. Gioele si faceva sempre
più bello e grande e forte. Un giorno, verso il mese di
dicembre, Chalom, l’aiuto pastore, vide il ragazzo fermo sul
sentiero, come colpito da un fulmine, lo sguardo fisso in un punto
lontano.
Diede
una voce ad Elias che subito corse e anche lui guardò quel
punto da dove si vedeva come una nuvola di polvere rosa. Egli
conosceva il sogno del ragazzo. Ma si sa, i sogni sono come la
memoria. E’ come ricordarsi le cose ad occhi chiusi.
Il
cammello, finalmente, arrestò la sua corsa, proprio davanti a
loro. Ne scese un signore vestito riccamente, sembrava un re, o un
principe di un regno sconosciuto, tanto il suo sguardo era penetrante
e vero. Fissò Gioele e si avvicinò subito a lui. “Mi
riconosci? Sono Gamaliele, primo Ministro del re tuo padre ” .
Ma il ragazzo non rispose. Rimase attonito a guardare quella figura
solenne e nello stesso tempo mite, gentile, piena di premurosa
saggezza. Riprese a parlare: “I tuoi genitori e io ti abbiamo
tanto cercato! Ti pensavamo morto in quella tempesta. E il palazzo
del Governatore, lo ricordi?” Nei begli occhi di Gioele,
passò come un lampo di stupore e poi, guardando con più
intensità il suo interlocutore sorrise. “Sì,”
disse, dopo un po’ “sì, ora ricordo”.
Elias
fu il primo a riprendersi da quell’inatteso avvenimento e
invitò il forestiero a condividere con lui il suo desco,
dicendo: “Sono soltanto un povero pastore, non ho molto da
offrire al mio Signore”. “Il tuo cuore è buono e
generoso”, rispose Gamaliele, “io e il mio cammello
volentieri accettiamo, per la notte, la tua ospitalità”.
Sotto
le stelle di quel luogo solitario, profumato di acque fresche, di
ulivi e di frutta matura, Gamaliele raccontò come durante una
tempesta di sabbia nel deserto, Gioele, si fosse smarrito assieme al
suo servo Ben. Solo poco tempo fa, per caso, da un mercante in
Gerusalemme, vennero a sapere di un ragazzo presso un pastore, vicino
a un’oasi nel deserto di Giuda. L’oasi di Ein Prat.
Con
la sua bellissima sorgente, alle porte di Gerusalemme, situata nella
valle che, proseguendo verso Gerico, si ricongiunge al Waddi Kelt,
dov’è situato il Monastero di Koziba.
Volle,
poi, parlare da solo con Gioele, per aiutarlo a ricordare i
particolari di quella tragica giornata.
“Solo
una cavalcatura, disse Gamaliele, ritornò a palazzo, dopo tre
giorni”. “E il mio servo Ben?” chiese Gioele. “Di
lui, purtroppo, ancora non sappiamo nulla”, rispose Gamaliele.
“Però, alcuni di una carovana, ci raccontarono di aver
veduto un uomo simile a lui, nei bazar di Gerusalemme. Lo stiamo
ancora cercando”.
Ora
Gioele ricordava con emozione, il volto della madre che tante volte
in quel sogno appariva alla soglia del suo cuore. I fratelli, il
padre … piano piano la sua memoria riprendeva il filo del
pensiero interrotto e sepolto da quella tormenta di sabbia.
Quella
notte, volle dormire ancora sotto le stelle con accanto Azzur, che
ogni tanto uggiolava, quasi comprendesse che l’arrivo di quel
forestiero, gli avrebbe portato via l’amico. Perfino il gatto
Malachìa, d’un tratto, gli si accoccolò fra le
braccia.
Dal
cuore del ragazzo intanto, sgorgava il salmo della gioia e della
gratitudine: “Il Signore è il mio pastore, non manco di
nulla”.
Tante
altre cose raccontò quella notte ad Elias, Gamaliele. Parlò
del dolore profondo del suo Signore per la perdita del figlio che,
del resto, non avevano mai smesso di cercare, come non avevano smesso
di cercare il fedele servo Ben. Parlò della grande e generosa
bontà del suo re e della sua regina. Della pace che regnava in
quel regno la cui reggia era costruita sull’orlo del mare.
Raccontò della bellezza di quella terra e del suo suolo
lussureggiante, dell’abbondanza dei raccolti e ciò che
si diceva, in quel regno, del figlio più giovane del re, il
principe Gioele.
Narrò
come nel giorno della sua nascita, un uomo santo profetizzò
che sarebbe stato per molti il “principe della pace, nella
terra dei fiumi,”. Parole dal senso misterioso eppure così
belle perché bello era il cuore del giovane principe. “In
realtà, disse ancora Gamaliele, la nostra terra è fra
due fiumi.”
All’alba
del giorno dopo, prima di partire, Gioele volle ringraziare Elias di
quanto aveva fatto per lui. Avevano, negli occhi i bagliori
dell’aurora nascente e nel cuore la tenerezza per un incontro
che la vita aveva voluto per entrambi colmo di felicità. Elias
non aveva avuto figli, la sua giovane sposa morì un anno dopo
il loro matrimonio. Elias soffrì molto per quella perdita e
per lenire il grande dolore dell’anima, si ritirò nel
deserto e lì, iniziò a fare il pastore e così,
piano piano, ritrovò la pace. Quel ragazzo, capitato da lui
come un dono del cielo, lui lo aveva amato proprio come un figlio, il
figlio che non aveva mai avuto.
Poco
dopo, il cammello con le sue palpebre filosofiche, si incamminò
al fianco di Gioele, ritto su un cavallo nero come la notte. L’aveva
comprato per lui Elias, barattandolo con due agnelli dalla bianca
lana ricciuta. Il giovane nomade che gli cedette il cavallo, non
aveva nessun interesse a tenerlo, ma apprezzò molto, invece, i
due agnelli.
Si
dissero “addio” senza parole, nel solo modo a loro
congeniale. Guardandosi negli occhi. Il silenzio divenne totale, in
quell’istante, di intensa umanità. “ Ci rivedremo
ancora, un giorno!” disse Gioele ad Elias. Si guardò
attorno e abbracciò con lo sguardo tutte le cose e le creature
che gli erano state care, in quei giorni di smarrimento. Poi, tutto
riprese il suo moto quotidiano. Ma ognuno avvertiva, nel cuore, come
un senso di perdita. Persino Malacchìa, quel giorno, guardò
con un certo affetto il merlo, sull’ulivo di fronte.
Certo,
anche nella sua mente felina, qualcosa era rimasto di quell’amicizia
sincera, qualcosa anche in lui, a modo suo, rimaneva a dirgli che
aveva perduto un amico.
Lo
sguardo buono di Elias si levò al cielo a ringraziare Yahvè
del dono che gli aveva fatto. Un ragazzo, che per un po’ di
tempo, era stato importante per lui e gli aveva restituito la gioia
di vivere.
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