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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  La Concarena e il CoronaVi…, di massimolegnani 09/06/2020
 
La Concarena e il CoronaVi…

di massimolegnani



Non so di preciso cosa sia, se un’area geografica, una montagna, o la frazione di un paese. Avevo sentito quella parola da due ragazzi che parlavano tra loro di un entusiasmante itinerario ciclistico in ValCamonica. Io, seduto al tavolo vicino, mi ero segnato su un foglietto i nomi dei luoghi a mano a mano che li snocciolavano.

Era autunno inoltrato, troppo avanti la stagione per pensare di affrontare subito un percorso che prevedeva discrete altitudini, ma nel frattempo avrei studiato il giro sulla carta. Così, tornato a casa, mi sono armato di carta penna e atlante, ho individuato i paesi sconosciuti, ho scoperto vallette e passi alpini mai sentiti, ho ricostruito una tessera dopo l’altra tutto il mosaico di una futura pedalata, riportando i dati su un foglietto pro-memoria, parola quest’ultima che per me non è un modo di dire ma una necessità per trattenere nero su bianco ciò che mi volerebbe via nel giro di due giorni.

Solo Concarena è rimasto un nome ignoto.

Avessi usato un motore di ricerca o un indice analitico, di sicuro avrei scoperto cosa fosse, ma ho preferito lasciarlo nel vago e indefinito.

Concarena! Sa di messicano, di ballo allegro e disperato come una pedalata, sa di piatto tipico a base di polenta da saziare la fame della sera, sa di poesia del primo novecento, Carducci forse ne ha scritto tra il balzo del camoscio e il tuono di valanga. E sa di tanto altro, una bonaria ingiuria di paese (t’sé propi ‘na concarena!), un liquore tradizionale a base di erbe e noci, sconosciuto oltre i confini della valle, una tagliola in legno che un tempo i bracconieri usavano nei boschi, la caffettiera in stagno adatta ai cerchi della stufa, imbevibile il caffè ma vuoi mettere!

Ho messo il foglietto accanto al pc, che lo vedessi tutti i giorni come stimolo a uscire ad allenarmi al freddo dell’inverno in vista della salita a primavera.

Poi è arrivato il virus a scombinare i piani e rattristare i giorni.

I muscoli a rammollire come carciofi in salamoia, la bici che impigrisce al muro, i vetri a fare da confine invalicabile.

Ma il foglietto è sempre lì, un poco accartocciato ma leggibile, come una speranza che non cede, un’amara medicina che fa bene, un appuntamento solo rinviato.

Salirò, forse a luglio, forse a settembre, con più fatica del previsto, ma salirò determinato al passo del Vivione, poi giù verso Schilpario a prendere l’aria in faccia, e di nuovo su per l’altopiano di Borno fino a completare il giro, sgranando ovunque il rosario dei significati che nel tempo fermo avevo dato a Concarena.

Allora il ballo messicano, la caffettiera, la tagliola, la polenta, la poesia, l’ingiuria di paese, il liquore alle erbe, avranno tutti un senso e una verità loro, al ritmo lento del pedale.


 
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