Sfranchirsi
di
Franca Canapini
Primi
di luglio del 1964. Per “sfranchirmi” che poi voleva dire
uscire dalla libertà selvatica della campagna per capire come
va il mondo, non trascorrere l’estate a leggere fumetti,
vincere l’estrema timidezza, imparare un mestiere, il mio babbo
decise che dovevo “passare la stagione” in qualche
negozio delle Terme.
Doveva essere facile allora trovare
un’occupazione qualsiasi perché, detto/fatto, venni
accolta come aiutante di mia cugina Corradina, commessa rifinita dal
biondo chignon sempre in ordine, nel negozio di abbiglimento Arbiter.
Sì, proprio quel negozio situato, per chi viene da Piazza
Italia, sul lato sinistro di viale Roma, sotto il Grand Hotel.
E
così, all’improvviso, fui scaraventata dall’estrema
periferia del territorio chiancianese nel suo centro più
vivace e stimolante. Ora quelle insegne all’orizzonte dalle
luci intensamente colorate, che di notte contemplavo da casa mia
quasi fossero mondi meravigliosi e lontani, mi circondavano e, nella
luce diurna dell’estate, perdevano il loro fascino immaginifico
per acquistare quello di una realtà di vita variegata e
sorprendente.
Non era una vera e propria assunzione la mia. Ero
la ragazzina di bottega alla quale si chiedeva più di guardare
che di lavorare e che, talvolta, veniva usata per portare pacchi agli
alberghi o per aiutare la sarta che, nella sua postazione sul
soppalco del negozio, provvedeva ad aggiustare gli abiti dei
clienti.
Il babbo mi accompagnava in lambretta fino a
Mezzomiglio, dopodiché si recava a lavorare in qualche
cantiere edile. Da lì, a piedi, percorrendo viale della
Libertà nel profumo dolciastro dei tigli in fiore, raggiungevo
Piazza Italia ed entravo a far parte del flusso della tanta gente in
movimento, che stava iniziando la giornata: da una parte i “clienti”,
che si sarebbero accalcati numerosissimi in fila con il bicchiere
graduato in mano per tutta la mattinata alle Fonti e, in seguito, si
sarebbero sparsi per i viali, nei parchi oppure,vogliosi di acquisti,
avrebbero affollato i tanti variopinti negozi; dall’altra parte
i “lavoratori” già in piena entusiasta attività,
pronti a servire con dedizione gli ospiti che arrecavano lavoro e
benessere economico.
Lungo i marciapiedi di Viale Roma già
dal primo mattino stazionavano parcheggiate decine e decine di
automobili lucenti, in prevalenza milleecento ma anche Giuliette
bianche come quella del sor Luigi, padrone dell’Arbiter.
L’ampio marciapiede diveniva ben presto palcoscenico per i
proprietari dei negozi che lì s’incontravano per
salutarsi, accordarsi per un caffè, raccontarsi la vita seduti
all’ombra degli alberi e spiare eventuali clienti che si
fermavano davanti alle loro vetrine. A qualche passo dall’Arbiter,
direzione Acqua Santa, potevi vedere il gioielliere Raffaele Jacente,
sempre elegantissimo tanto da parermi un Onassis nostrano, in giacca
blu e anello squadrato al mignolo, che intratteneva lunghe
conversazioni con figli e parenti. Più su, direzione Piazza
Italia, dal piccolo negozio di vini, situato accanto alle scalette
che dal parco del Grand Hotel conducono al viale, usciva la sempre
allegra e ben truccata Valeria, quell’estate incinta del primo
figlio che, appena poteva, s’intratteneva con mia cugina in
lunghe conversazioni sulla sua gravidanza e relative voglie di cibo;
“oggi ho mangiato un chilo di ciliegie!” esclamava,
ridendo contenta. All’interno del negozio la Signora Imola e il
Sor Luigi guidavano con austera benevolenza il balletto giornaliero,
dando disposizioni alle commesse e intrattenendo i numerosi e
affezionati clienti, mentre io m’incantavo sugli abiti
femminili e in particolare su uno fucsia, alla charleston, appeso in
bella vista, ricoperto di fitte file di perline che, scuotendolo,
cangiavano colore.
Era un mondo tutto bello, mobile, pieno di
sorprese. Un pomeriggio verso le sei entrò in negozio Valeria
eccitatissima, esclamando: “C’è Fellini! C’è
Fellini!”
Tutti uscimmo immediatamente in strada, appena
in tempo per vedere Federico Fellini e Giulietta Masina che si
dirigevano verso il parco dell’Acqua Santa, seguiti da uno
stuolo di persone in visibilio, che li stavano rincorrendo per avere
l’onore di complimentarsi con loro e, magari, chiedere qualche
autografo da riportare a casa come trofeo.
Capitava spesso di
incontrare personaggi famosi. Potevano essere una Rita Pavone con
annesso Teddy Reno, incontrata per le scalette del palazzetto delle
Poste l’anno dopo oppure una Lucia Mannucci, componente del
Quartetto Cetra, entrata in negozio dopo un lungo temporale
estivo.
“C’è quella del Quartetto Cetra”
sussurrò mia cugina arrossendo compiaciuta e le si avvicinò
per servirla. Io intanto le guardavo stupita i piedi. Calzava gli
stessi stivali di gomma che mia madre usava per andare a governare
gli animali quando pioveva e le piazze si riempivano di fango!
Com’era possibile che li indossasse anche un personaggio così
noto e popolare e soprattutto in città per camminare
sull’asfalto? Non sapevo ancora che quell’anno gli
stivali di gomma ribattezzati raffinatamente “calosches”
fossero di gran moda!
Non sapevo tante cose e avevo molta paura
di rendermi ridicola. Quando il sor Liugi mi metteva sulle braccia il
pacco di abiti da consegnare in qualche hotel, cadevo quasi in crisi
di panico. Cominciavo a sentirmi calda per l’emozione già
all’uscita del negozio e mi dirigevo lentamente verso l’hotel
in indirizzo, ripassando mentalmente quello che avrei detto alla
consegna. “Buongiorno, devo consegnare questo pacco al signor
…”.
L’ Hotel Patria mi divenne presto
familiare; l’Hotel Milano mi dava poca preoccupazione perché
ne conoscevo il portiere; i problemi più grossi venivano
quando dovevo consegnare nei grandi alberghi come l’Ambasciatori
o l’Excelsior. Lì, varcata la porta a vetri, mi venivano
incontro dal fondo delle vastissime hall il portiere e ben due suoi
aiutanti, tutti impettiti in divisa nera, alamari e chiavi d’oro.
La paura che mi sarei impappinata nel porgere loro il pacco e le
poche parole di accompagnamento mi travolgeva; anche se, costoro, che
poi erano solo i ragazzi del paese in alta uniforme, mi venivano
incontro gentili e mi sollevavano velocemente dalla gravosa
incombenza.
Una volta, però, all’Excelsior, il
portiere invece di prendermi il pacco, si rivolse a un signore che
stava beatamente intrattenendosi con gli amici nella hall,
informandolo: “Signor…, le hanno portato il pacco.”
Il signore in questione si girò verso di me, prese il pacco,
si frugò in tasca, e mi diede varie monete da cento lire
ringraziandomi molto. Tornai al negozio e porsi le monete al Sor
Luigi, il quale restò per un po’ imbambolato e poi
cominciò a ridere e non la smetteva più. “Questi
soldi sono tuoi! Ti ha dato la mancia!” E’ proprio il
caso di dire che ero più “candida” di Candide!
In
quei miei primi due mesi di “lavoro” tra clienti, datori
di lavoro e lavoranti conobbi tanta persone, alcune del paese, altre
che venivano da fuori e tutte per un verso o per l’altro
interessanti, ma colui che mi ritorna più spesso in mente è
Raffaele, il vecchio lustrascarpe napoletano che stazionava con il
suo carretto alla fine di Viale della Libertà, proprio
all’angolo in cui si deve svoltare per imboccare viale
Roma.
Ogni mattina lo trovavo lì con la sua vestaglia
nera, le spazzole in mano, il carretto aperto pronto ad accogliere i
clienti. Mi salutava con qualche battuta divertente e riusciva sempre
a coinvolgermi in brevi chiacchierate prima dell’”arrivederci
e buona giornata”.
Da lì a poco qualche cliente,
uscito dal Grand Hotel con il quotidiano in mano, si sarebbe seduto
sul suo scranno aprendo il giornale e allungando prima un piede e poi
l’altro. Raffaele si sarebbe chinato ai suoi piedi e, in cambio
di una magra ricompensa, gli avrebbe lucidato le scarpe.
A
pensarci, mi sembrava così ingiusto. Perché un essere
umano è costretto dalla necessità a piegarsi davanti ad
un suo simile? E soprattutto come può il più fortunato
accettare con indifferenza di ricevere un simile servizio?
Per
queste domande, a cui devo ancora trovare una risposta, la serena
rassegnazione di Raffaele è quanto di più umanamente
intenso ricordi di quei tempi.
Chianciano
Terme anni Sessanta – Ricordi
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