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  Scritti di altri autori  »  Narrativa  »  Il pirata del Buon Gesł e il miraggio del lago, di massimolegnani 19/10/2020
 
Il pirata del Buon Gesù e il miraggio del lago

di massimolegnani



Pochi giorni or sono, saltabeccando da un blog all’altro come un passerotto in cerca di briciole, sono capitato da Max il poeta (https://paginequotidiane.wordpress.com) dove ho trovato parole e immagini che mi hanno subito conquistato. Max raccontava di una valletta appartata, ramificazione della Val d’Ossola, e di un laghetto alpino tra i più belli. Ho guardato le fotografie e subito ho deciso che quella sarebbe stata la mia prossima gita, scompaginando i programmi precedenti.

Qualcuno sostiene che i laghi sono diventati la mia idea fissa a un livello maniacale, come un collezionista mezzo rimbambito che non parli d’altro che di francobolli rari, ah il “Gronchirosa” come mi piacerebbe possederlo. Il fatto è che i laghi non sono evanescenti come i mari che, senza confini, si continuano uno nell’altro e tu non ci puoi girare attorno, i laghi hanno un perimetro tangibile e una dimensione umana, adatta ai miei piedi, i bacini più piccoli, o ai pedali, quelli più grandi.

Così, dopo aver studiato cartine e meteo, giovedì scorso sono partito alla volta del Lago d’Antrona, 250 chilometri circa tra andata e ritorno, in due, massimo tre giorni, avrei completato il giro. Giornata stupenda, l’aria del primo mattino ancora frizzante, il sole basso a scaldarmi le spalle, ho iniziato con una pedalata tranquilla, era la mia prima uscita “lunga” dopo la rovinosa caduta di fine luglio e volevo distribuire bene le mie forze. Stavo ritrovando l’emozione del viaggio, mi sentivo bene, tutto era perfetto. Ma è durato poco.

Lungo il rettilineo del BuonGesù, a pochi chilometri da casa, un’auto nello svoltare a sinistra dalla carreggiata opposta non mi dà la precedenza e mi centra in pieno. Volo per qualche metro e atterro di schiena sul marciapiede urtando violentemente il fianco sul cordolo. Mentre io, sbalordito per quanto è successo, resto disteso per capire se ho qualcosa di rotto, il signore che mi ha fatto questo bel regalo se la svigna. Gli auguro che il dubbio di avermi provocato seri danni e il rimorso per non essersi fermato gli popolino di incubi le notti insonni di qui all’eternità. Ma non sarà così, i pirati hanno la pellaccia dura e la coscienza tenuta sotto chiave.

Quindi, gita finita? A dir la verità, no. Dopo essere stato soccorso e medicato da un infermiere che passava di lì, provo a rimettermi in sella. La cosa più ragionevole sarebbe tornarmene lemme lemme a casa, ma non voglio darla vinta alla sfiga. Così, senza forzare e cercando una posizione che non mi provochi dolore, proseguo nella direzione stabilita come se niente fosse successo. Un venticello gentile mi spinge alle spalle e il pensiero del lago che mi attende, intenso come un miraggio nel deserto, mi rende agevole la pedalata. Macino chilometri con inaspettata facilità e mi accorgo di andare addirittura più veloce del solito, sono avvolto da una strana euforia, mi sento invincibile e, se non fosse per il dolore al fianco, la caduta sembra un pallido ricordo.

Solo quasi in prossimità dell’imbocco della Valle Antrona mi rendo conto che sto viaggiando a frequenze cardiache spropositate, come se non fossi in pianura ma sui tornanti dello Stelvio. La prima idea è che il cardiofrequenzimetro si sia guastato nella caduta, ma è un’ipotesi che non regge, gli altri dati che mi fornisce l’apparecchio sono attendibili. Mi fermo e attendo che il battito torni normale, ma come riprendo a pedalare ecco che la frequenza sale vertiginosamente. Ripenso alla caduta, al dolore al fianco e mi assale il dubbio che la tachicardia sia il segno di un’emorragia interna che va aggravandosi di ora in ora. È evidente che con questo timore non posso affrontare la salita. Il miraggio del lago sfuma all’orizzonte e mestamente mi avvio verso Domodossola e il suo ospedale.

Il resto è cronaca: la sollecitudine del personale, l’inevitabile cazziatone in coro di medici e infermiere (quindi lei dopo la caduta ha pedalato per 100 chilometri, cos’è, matto??), gli esami a cui vengo sottoposto in rapida successione, prelievo, ecg, radiografie di torace e bacino, eco dell’addome, l’attesa dei risultati disteso sulla barella con la convinzione di finire direttamente in sala operatoria. Invece gli esami sono tutti normali, l’emorragia è esclusa come pure problemi cardiaci. Che cosa sia successo è un mistero. L’ipotesi più probabile è che lo stress per la caduta e forse anche un urto diretto sul surrene abbiano provocato un’abnorme e prolungata liberazione di adrenalina che spiegherebbe la tachicardia e la insensibilità al dolore e alla fatica. Comunque sia, vengo trattenuto qualche ora e a sera sono dimesso.

 
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